giovedì 11 febbraio 2016

Il Progetto Qutapiquiña: tre anni di sfide in poco più di tre giorni.



“Le case dei minatori, annerite anch'esse, davano direttamente sul
marciapiede e conservavano ancora l'intimità e le dimensioni delle case di
cento anni prima.(…) e macchia dopo macchia, di mattoni rossastri e crudi, si giungeva alle nuove colonie minerarie. Queste
stavano talvolta nelle cavità e talvolta si ergevano orribilmente brutte a
seguire la linea dei pendii. Nel mezzo stavano i resti laceri della vecchia
Inghilterra, dell'Inghilterra delle diligenze e delle graziose casette,
l'Inghilterra di Robin Hood, dove i minatori erravano con la tristezza di chi
sente soppresso in sé l'istinto alla caccia. Inghilterra, mia Inghilterra! Ma
qual è la mia Inghilterra?”

Mentre le nostre jeep arrancano lungo le strade sterrate dentro le comunità dell’Altopiano di Apolobamba, non posso fare a meno di riportare alla memoria le impressioni della Lady Chatterley di D. H. Lawrence mentre questa assiste sgomenta alla desolazione ambientale e umana che caratterizzano le campagne delle Midlands, devastate dalla attività mineraria e dalla sete di profitti della classe dirigente inglese durante gli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale.
Le similitudini con l’Inghilterra degli anni ’20  descritta da Lawrence sono notevoli: attraversando le comunità dell’ Area Naturale d’Apolobamba osservo le medesime squallide e spoglie pareti di mattoni rossi a vista delle nuove case dei minatori, le medesime strade grigie piene di gente immobile e spettrale, come in attesa di un treno che non passa sotto i medesimi cartelloni pubblicitari scoloriti e sgualciti di articoli occidentali simbolo di progresso e benessere distribuiti un po’ ovunque nei poveri caseggiati; uscendo da alcuni villaggi di minatori sembra di approdare in un paesaggio lunare, caratterizzato da crateri scavati nella terra e da montagne di detriti ammassati al lato della strada, opera dell’attività delle cooperative minerarie nascoste chissà dove fra i monti circostanti. Di queste ultime gru, ruspe ed altri macchinari abbandonati qua e là rappresentano per il visitatore l’unico segno vestigiale del loro passaggio.
Allontanandosi dagli abitati lungo le strade ciottolose che tagliano dritte come ferite l’altopiano, si riesce finalmente a dare un poco di sollievo alla vista: i segni di questa umanità da fine del mondo scompaiono, si attenuano e lasciano spazio al vuoto calmo della radura, all’armonia dell’orizzonte disegnato dalle montagne della Cordigliera di Apolobamba: ampi spazi pianeggianti popolati unicamente da greggi di lama e d’alpaca fra i quali se si aguzza bene la vista, si possono distinguere alcuni animali un poco più leggeri ed eleganti, più sottili: le vigogne.
La vigogna è la più piccola specie fra i camelidi sudamericani. Pesa fra i 35 e i 50 kg e misura fino ad 1 m al garrese. Il collo lunghissimo le permette di individuare i nemici a distanza mentre grazie al mantello color cannella sul dorso e bianco sul ventre riesce a mimetizzarsi fra le sterpaglie dell’altipiano. È un animale selvatico da cui attraverso i secoli è derivato per addomesticamento l’alpaca il quale riesce, grazie al suo fine vello e all’alta concentrazione di eritrociti nel suo sangue, a sopportare le condizioni di freddo e bassa pressione tipiche delle regioni della Puna altoandina.
È presente oltre i 3000m s.l.m., fra  la latitudini 9°30′S, in Perù fino alla latitudine 29°S fra Cile e Argentina, aree che coincidono con le regioni popolate da Aymara e Quechua .
Negli anni precedenti purtroppo il prezzo della loro lana ha rappresentato un pericolo per questi buffi camelidi che hanno quasi rischiato di estinguersi poiché vittima di bracconaggio indiscriminato. Dopo molti sforzi volti alla loro conservazione oggi è un animale fuori pericolo di estinzione e dal 1997 fanno parte dell’appendice 2 del CITES (Convention on International Trade of Endangered Species), e possono essere catturate a tosate per la loro fibra purché in maniera sostenibile e rispettosa del loro benessere.
Tutto il progetto Qutapiquiña è incentrato maggiormente proprio su questo buffo camelide e su tutto ciò che gli gira attorno come la tutela del suo habitat, lo sfruttamento sostenibile della sua preziosa fibra e il potenziamento delle capacità di gestione da parte delle popolazioni locali.
Quando ho iniziato la mia attività di volontario per ProgettoMondoMlal non avevo la minima idea oltre che sulla vigogna, di quanti e quali fattori un progetto di cooperazione arrivasse a considerare, di quali realtà e di quante variabili ci fossero da conoscere e quanti attori da coinvolgere ed armonizzare.
Per fortuna nella prima calda settimana di dicembre ho avuto per la prima volta l’opportunità di addentrarmi di persona dentro tutto questo universo che è la cooperazione allo sviluppo e di poter conoscere davvero il progetto nel suo insieme e nella sua complessità.
Sono salito sull’altipiano con Aurelio e Anna, i cooperanti della nostra ONG, che questa volta si vedono impegnati nel difficile compito di esporre ai referenti europei di cooperazione, Meritxell Gimenez Calvo, recentemente nominata Jefe de Cooperación Adjunta, e Emmanuel Hondrat, obbiettivi e risultati del progetto proprio nei luoghi dove si era intervenuti.
Con noi c’erano anche alcuni dei rappresentanti dei nostri partner di progetto, l’associazione boliviana locale AIQ, (Asociación Integral Villa San Antonio de Quitapiquiña) e la ONG britannica Soluciones Prácticas.
Il progetto Qutapiquiña è appoggiato in larga misura dall’Unione Europea che da anni finanzia progetti di cooperazione in Bolivia e nel resto del mondo; infatti gli obbiettivi di Qutapiquiña sono ampiamente complementari e ricalcano la filosofia d’intervento del progetto bilaterale Ue-Bolivia PACSBIO, Programa de Apoyo a la Conservación Sostenible de la Biodiversidad (Programma di Appoggio alla Conservazione Sostenibile della Biodiversità). Quest’ultimo si trova nella cornice del Programa de Apoyo al Sistema Nacional de Áreas Protegidas (Programma di Appoggio al Sistema Nazionale di Aree Protette) impegnato in 22 aree protette nazionali, inclusa l’ANMIN-Apolobamba, che ha lo scopo di preservare la biodiversità e migliorare le condizioni generali di vita delle popolazioni locali.
Qutapiquiña che col suo obbiettivo generale dichiara per l’appunto di voler aumentare il tenore di vita degli abitanti dell’area protetta attraverso un uso responsabile delle popolazioni di vigogne e di tutte le altre risorse naturali.
È interessante ricordare che l’UE ha stanziato solo per PACSBIO 18 milioni di euro, un notevole finanziamento che viene assegnato al Tesoro General de la Nación (TGN) dello stato boliviano in più aliquote anziché in un’unica tranche, le quali vengono elargite, man mano che i vari obbiettivi vengono raggiunti dal governo locale, nei vari settori di progetto secondo il metodo del APS, Apoyo Presupuestario Sectorial (Appoggio al Bilancio di Previsione Settoriale). L’APS per lo meno in Bolivia, è stato usato fino ad adesso in maniera molto fruttuosa dall’UE in vari ambiti, come nella lotta contro la povertà  attraverso generazione di opportunità economiche per micro e medie imprese, nell’appoggio alla strategia boliviana nella lotta al narcotraffico e nello sfruttamento sostenibile delle risorse; solo nel periodo 2007-2013 infatti la cooperazione bilaterale europea in Bolivia ha previsto 249 milioni di euro.
Tornando al progetto gli obbiettivi previsti sono quattro e sono distribuiti fra i vari attori che partecipano alla loro realizzazione.
Il risultato numero uno è affidato a Soluciones Prácticas con la collaborazione di AIQ ( Asociación Integral Villa San Antonio de Qutap`iqiña) e prevede il potenziamento della gestione sostenibile delle risorse naturali (suolo ed acqua) a favore delle popolazioni di vigogne e altri camelidi da parte delle comunità locali che le gestiscono.
L’habitat più importante per la vigogna è infatti costituito dai bofedales o vegas, praterie umide che rappresentano da sole la prima fonte foraggera di questo camelide e degli altri camelidi domestici, sebbene rappresentino solo il 5,4% di tutta l’Area Protetta.
Julieta Vargas di  Soluciones Prácticas ci porta davanti ad uno degli invasi artificiali che qui chiamano qutañas costruito, nell’ambito del progetto, nella parte alta del comune di Pelechuco per trattenere le acque superficiali; esordisce parlandoci  proprio dei bofedales che senza accorgercene stiamo calpestando: questi appaiono come una distesa di morbidi cuscinetti verdi che Julieta ci racconta essere derivati dall’affioramenti di falde freatiche e da depressioni più o meno pianeggianti del terreno dove le acque confluiscono. Queste praterie umide sono inoltre caratterizzate da un sistema di drenaggio sia superficiale sia profondo dell’acqua che così non ristagna, ma anzi, secondo le ricerche considerate da Soluciones Prácticas, addirittura verrebbe purificata.
Il suolo di natura torbosa fa da base ad una massa fibrosa di radici, talli e foglie di piante semi-acquatiche, vive o in distinto stato di decomposizione, frammiste a fango e sabbia. Un ecosistema assai complesso e prezioso quindi che avrebbe un ruolo importante anche nel trattenere molta della CO2 atmosferica.
Per proteggere questo ambiente sono stati identificati otto bofedales da tutelare sui quali sono stati effettuate ricerche biochimiche e geologiche sullo stato delle acque e delle falde profonde e superficiali con l’appoggio della ONG americana WCS; sono stati previsti dei cercos, ossia recinzioni atte a proteggere fazzoletti di bofedales dagli alpaca eccessivamente numerosi per i pascoli dell’altipiano. Oltre alle qutañas, sono stati costruiti dei canali per permettere l’infiltrazione delle acque nel terreno detti zanjas, che appunto permettono all’acqua di trattenersi e nutrire i bofedales invece di scorrere via a valle rapidamente.
L’obbiettivo più importante di questo primo risultato è forse però quello di aver  contribuito all’utilizzo di un sistema satellitare, il SIG-ANMINA-M capace di distinguere le varie tipologie di ambienti biotici ed abiotici, acque dolci, ghiacciai, bofedales etc. o persino la presenza di miniere illegali tramite la rivelazione dello spostamento di terreno; se da un lato il SIG è stato consegnato nelle mani del SERNAP (Servizio Nacionale Aree Protette) al fine di controllare lo stato del territorio dell’area protetta di Apolobamba, dall’altro si è riusciti a formare molto a fatica quattro guardaparco attraverso laboratori specifici volti all’apprendimento dell’utilizzo del software ArcGIS che raccoglie tutti i dati GPS, generando di conseguenza un database sempre aggiornato sullo stato del territorio.
Julieta ci spiega come in questi ultimi anni i bofedales stiano in molti casi espandendosi a causa del maggior apporto di acqua dovuto allo scioglimento dei ghiacciai causato dal cambiamento climatico che qui, a oltre 4000 m s.l.m. , è forse più evidente che altrove.
Altro problema legato invece alla biodiversità e allo stato di salute delle praterie umide sono i prodotti chimici derivati dall’estrazione dell’oro che qui viene compiuta dalle cooperative minerarie o da piccoli privati, spesso senza norme di smaltimento delle acque reflue che inevitabilmente finiscono per contaminare le falde acquifere e di conseguenza i bofedales che da esse dipendono. Infatti l’attività estrattiva dell’oro prevede, tra le altre cose, l’utilizzo di mercurio, il quale accumulandosi nel terreno sta letteralmente provocando la distruzione del delicato habitat dei bofedales.
Sembra inverosimile, una stonatura clamorosa, il fatto che in una riserva naturale sia lecita l’estrazione mineraria e soprattutto in una maniera così incontrollata. Ancor di più se si pensa al fatto che quest’area protetta nasce nel1972, mediante il Decreto Supremo (D.S.) N° 10070, proprio con l’obbiettivo di proteggere la vigogna e di conseguenza preservare l’ambiente delle terre alto andine che rappresentano l‘habitat naturale di questo camelide.
L’inghippo c’è e non è certo velato visto che si trova nel nome stesso dell’area protetta, ANMIN-A (Área Natural de Manejo Integrado Nacional Apolobamba), e soprattutto nell’espressione “Manejo Integrado” (gestione integrata).
Infatti lo stesso decreto di creazione dell’ANMIN-A  prevede la possibilità di sfruttamento delle risorse naturali in accordo con l’articolo 64 de la Ley de Medio Ambiente Nº 1333 e gli articoli 28, 31, 32 e 38 del Reglamento General de Áreas Protegidas. Come se non bastasse l’articolo 89 del Código de Minería ammette, pur con  alcune restrizioni per lo meno formali in materia di sostenibilità ambientale, la possibilità di estrarre minerali dal sottosuolo delle aree protette nazionali boliviane.
Per tutti coloro che invece conoscono meglio le vicende ultime di questo paese andino tutto questo assunto non deve suonare poi così strano viste le ultime dichiarazioni del governo boliviano, ossia di voler  consentire, nonostante l’obbiezione di varie associazioni ambientaliste e ONG, l’esplorazione e lo sfruttamento di nuovi pozzi petroliferi e di gas naturale che rappresentano l’asse portante del paese, la cui economia continua a basarsi sull’estrazione e sull’esportazione di materie prime.
Ma torniamo alle impressioni della nostra Connie Chatterley: come nel caso della sua Inghilterra anche qui ad Apolobamba l’estrazione mineraria ha connotato da sempre il paesaggio e le attività umane anche se oggigiorno non è più solo quella del mulo, piccone e setaccio ma della ruspa e dell’escavatrice.
Ce lo conferma il naturalista francese Alcide Dessalines d'Orbigny (1826-1878) nel suo saggio Descripción geográfica, histórica y estadística de Bolivia, dove riferendosi al territorio di Pelechuco, uno dei centri più importanti dell’altipiano, racconta: “Ella es una de esas numerosas colonias cuya fundación, tanto entre los Incas como entre los conquistadores, solo pudo ser determinada por la sed insaciable del oro” (È una di quelle numerose colonie la cui fondazione, tra gli Inca come tra i conquistadores, solo poté essere dovuta alla sete incontentabile di oro).
Ancora oggi la ricerca dell’ora è la principale fonte di reddito di molti fra gli abitanti di questa regione, ed ancora oggi è motivo di miseria per le popolazioni locali, benché il suo noto valore lasci pensare il contrario.
Nel rifugio costruito dal progetto si preparano i proiettori per spiegare con video e PowerPoint ai due referenti europei gli altri risultati del progetto.
Juan Quispe Tito di AIQ spiega i risultati raggiunti nell’obbiettivo 2 del progetto, ossia conseguire un migliore sfruttamento della fibra di vigogna. Ci spiega che il primo passo per raggiungere questo obbiettivo fu quello di approvare nel marzo 2013 un manuale di buone pratiche per gestire le vigogne durante la cattura, immobilizzazione, tosatura e liberazione, attività che altrimenti possono causare un forte stress all’animale con conseguente possibile immunosoppressione che col tempo aumenterebbe l’esposizione ad alcune patologie (v. appunti tesi). Successivamente dopo aver abilitato alcuni guardaparco e vigilantes comunales si è organizzato nel 2013 con il metodo del transetto lineare un censo con lo scopo di aggiornare quello effettuato dallo stato nel 2009, da cui è derivato che nell’ANMI-Apolobamba ci sono circa 12.000 vigogne con un’oscillazione dell’andamento della popolazione di circa 1.500 individui durante l’anno.
Anche se con molto fatica, a causa delle resistenze dei locali verso questo metodo, è stata poi introdotta la tosatura meccanica che permette di ridurre drasticamente il tempo in cui si maneggiano gli animali e quindi lo stress. Per abilitare i comunarios alla tosatura meccanica,  che all’iniziano temevano per una strana credenza essere causa di alopecia nelle vigogne, sono stati chiamati dei formatori dal vicino Perù dove l’industria della lana è molto sviluppata, e per esercitarsi sono state utilizzati alpaca domestici.
Sono stati realizzati dei monitoraggi ematologici e parassitologici su vigogne ed alpaca per accertarsi della situazione delle greggi mentre, per agevolare la cattura, sono state comprate reti per costruire le così dette Mangas, ossia recinzioni a forma d’imbuto dove le vigogne vengono radunate prima di essere immobilizzate e tosate; così si è arrivati nel novembre 2015 a tosare il 45% dell’attuale popolazione. La lana di vigogna ha un prezzo altissimo, fino a 430$ al kg. Il grande successo del progetto è stato anche quello di appoggiare AIQ nel compiere i requisiti del CITES di rispetto del benessere dell’animale durante la cattura/tosatura necessario per ottenere un codice di tracciabilità presso il SENASAG (Servicio Nacional de Sanidad Agropecuaria e Inocuidad Alimentaria), l’autorità sanitaria nazionale, necessario per l’esportazione verso l’Europa, ed in particolare verso l’Italia che è la maggiore trasformatrice di fibre di vigogna.
Si è inoltre conseguito l’obbiettivo di creare e registrare il marchio Vicuña Bolivia, che resterà nelle mani dell’associazione AIQ. Verso la metà del gennaio 2015, proprio in vista del lancio dei nuovi capi prodotti in Italia per la prima volta in fibra di vigogna boliviana, si è tenuta a La Paz, in presenza dei ministeri boliviani interessati e di altre autorità nazionali e internazionali, la presentazione del marchio Vicuña Bolivia e del progetto in generale, per spiegare il lungo percorso che ha portato in questi anni a raggiungere questi obbiettivi.
La vigogna non è ovviamente l’unico destinatario del progetto e il risultato 4 ce lo ricorda; a beneficiare del progetto ci sono ovviamente le famiglie indigene originarie che vivono anche degli introiti derivanti dalla fibra raccolta e che gestiscono il territorio dei 3 Municipios dove la vigogna vive e si riproduce.
Verso questi soggetti sono stati organizzati laboratori per confrontarsi sulla gestione dei rifiuti domestici (visto che manca un sistema di smaltimento), delle acque fognarie, su come preservare le praterie native per i propri animali domestici; A Pelechuco è stata scritta una Charta Organica del municipio e uno statuto volto a proteggere bambini ed adolescenti dal maltrattamento; ottimi risultati sono stati raggiunti a Curva, uno dei luoghi simbolo dell’antica cultura Kallawaya, dove si è avanzati insieme alla municipalità lungo il difficile cammino verso lo stato di autonomia indigena del municipio, che conferirebbe il riconoscimento ufficiale da parte del governo della specificità culturale e territoriale.
I referenti dell’unione sembrano soddisfatti degli obiettivi raggiunti, è questo rende orgogliosi tutti gli attori di questo progetto durato più di tre anni che per buona parte hanno ricevuto i finanziamenti comunitari.
Per me è stato davvero un privilegio assistere all’audit del progetto perché mi ha permesso di avere un riassunto di tutti i successi e le difficoltà che tante persone hanno affrontato in questi anni; mi ha permesso di avere un quadro più definito non solo di come si svolge ed evolve un progetto di cooperazione ma anche della situazione Bolivia e di capire qualcosa in più della sua gente.
Stefano Russo
Servizio Civile La Paz
ProgettoMondo Mlal Bolivia


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