giovedì 3 settembre 2015

La domenica di Haiti

È domenica, non c’è neanche una nuvola. Il cielo è azzurro Caraibi. Caldo. Arriva l’acqua, faccio il bucato, riempio secchi e bidoni, e mi preparo per andare a messa. I cinque minuti di passeggiata fino alla chiesa sono sufficienti per arrivare fradicio di sudore e attirare i risolini dei presenti. Sì perché, la domenica mattina a messa, gli abitanti di Papaye sono impeccabili. È giorno di festa e lo si vede anche dall’abbigliamento curato, pulito, stirato, scarpa in pelle per l’uomo, tacco per la donna, volant di tulle, treccine e perline multicolori per le bambine.
A quest’ora, chi non è già in chiesa è intento a lavare i panni, la moto e a fare le pulizie di casa. Nel mio tragitto verso la chiesa, noto che la famiglia Monerot si è divisa equamente i compiti: gli uomini si occuperanno della casa e le donne possono andare a messa. La nonna guida la delegazione composta da Ketoun, fresca di maturità, Laura, Lenski e Mikerly. Laura e Mikerly, le due bimbe, portano un vestitino rosa bonbon improponibile dalle nostre parti, ma quanto mai bello da queste.
Bisogna fare presto perché è d’obbligo essere in chiesa prima dell’arrivo del prete (che viene dalla cittadina di Hinche) e d’altra parte c’è solo una messa, questa messa. Nonostante questa sia considerata una parrocchia, non c’è una sagrestia. Così, al di fuori delle celebrazioni, il corpo di Cristo viene ospitato nella cappella della Casa dei Petits frères Sainte Therèse.
Oggi il compito di animare la messa tocca al gruppo Kiro, un movimento giovanile ispirato a San Paolo molto attivo soprattutto nel nord Europa e in Africa. Il jazz, come lo chiamano in creolo, è essenziale per far vivere bene la celebrazione e oggi siamo al completo: tamburo, maracas, gratwa, bambo soffiato e percosso. Nelle occasioni speciali, in realtà, vengono aggiunti anche strumenti elettrici come il basso e la chitarra, ma oggi è un giorno qualsiasi e la corrente non c’è, come nelle altre 48 domeniche dell’anno. In compenso, ormai da qualche mese, c’è il microfono, una sorta di karaoke a batterie che, a ogni parola o suono amplificato, cambia colore, giallo, verde, blu. A noi fa sorridere, improponibile dalle nostre parti ma quanto mai bello da queste.
Questa mattina oltre a père Allens, il parroco, c’è père Delacruz, responsabile dell’ufficio OPM in Haiti che con cipiglio deciso celebra la messa. L’omelia è interattiva, prevede scambi di opinioni e interrogazione finale ai fedeli presenti. Il celebrante è il primo a battere le mani a tempo durante il canto del Santo, a muoversi a ritmo di musica al termine della consacrazione, ad improvvisare una benedizione comunitaria dopo avere diligentemente citato tutti coloro che in settimana hanno festeggiato i propri compleanni. A suo tempo, anche noi tre (io, mia moglie e la piccola Marta) siamo stati benedetti in questa chiesa e questo ci ha fatto sentire parte e figli della comunità. Improponibile dalle nostre parti, ma quanto mai bello da queste.
Mi ha sempre affascinato, e particolarmente coinvolto, l’aspetto socioculturale e religioso della messa della domenica ad Haiti. Qui la fede e la cultura locale si mescolano, si integrano, sembrano dialogare e rispettarsi. In questo piccolo villaggio, dove siamo presenti come ProgettoMondo Mlal, mi pare tutto più vivo e, parallelamente, che tanto ancora si può costruire, a partire dal concetto stesso di famiglia: spesso infatti siamo l’unica famiglia che seduta nello stesso banco assiste alle celebrazioni. In compenso, liturgicamente parlando, mi sento più partecipe di quello che succede durante la funzione rispetto a ciò che viene celebrato e del motivo perché io sono in chiesa. Il momento più ricco e toccante resta naturalmente la Comunione che, ad Haiti, si fa con pane e vino, corpo e sangue di Cristo, come credo debba essere. Perché è improponibile dalle nostre parti?

Michele Magon
ProgettoMondo Mlal Haiti

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