martedì 5 agosto 2014

Agricoltura famigliare

Sono passati ormai più di tre mesi dal mio arrivo in Bolivia, l'acclimatazione all'eterna primavera di Cochabamba è stata rapida e in poco tempo mi sono trovato immerso in tre progetti, nati dalla collaborazione tra ProgettoMondo e la Fundación Agrecol Andes: il mercato biologico Ecoferia, un sistema partecipativo di garanzia del biologico e un piano di supporto per gli orti famigliari sviluppatisi nei quartieri periferici della città.
Il filo che conduce queste iniziative è la promozione dell'agricoltura biologica e sostenibile nelle aree urbane e peri-urbane, con lo scopo di garantire diete più salutari e autosufficienza alimentare alle famiglie produttrici, grazie al progressivo ricongiungimento del ruolo del consumatore con quello del produttore.
Negli ultimi tempi si è sentito parlare molto di agricoltura urbana in Bolivia, come risposta concreta al problema della sicurezza alimentare, con il sostegno tanto di Ong quanto di istituzioni. Secondo i più ottimisti gli orti casalinghi, sviluppatisi più o meno autonomamente, potrebbero contribuire in maniera significativa all’indipendenza alimentare delle famiglie cittadine.
Personalmente, trovo questa visione tuttora un miraggio fuorviante e poco coerente con il vero volto della città, che per definizione è un agglomerato di persone non auto-sufficienti.
Il valore dell'agricoltura urbana, a mio avviso, sta piuttosto nel riportare nelle città, sempre più in cemento e plastica, la semplicità della coltivazione di una pianta; sta nel valore pedagogico (per bambini e adulti) del riavvicinarsi ai cicli stagionali, climatici ed ecologici; del conoscere l’importanza della propria alimentazione, parallelamente alla soddisfazione personale del far crescere e maturare i propri semi.
Un'ulteriore perplessità mi sorge osservando i frequentatori abituali dell'Ecoferia: una buona parte della clientela è costituita da stranieri, cooperanti e volontari di passaggio che si fanno coinvolgere e si impegnano nel progetto, ma generalmente solo per un tempo limitato. I restanti clienti invece sono soprattutto persone di età avanzata, chiaramente appartenenti alla classe medio-alta cochabambina.
Questa situazione non è sorprendente: la coscienza dell'importanza di un'alimentazione salutare e le preoccupazioni ecologiste sono infatti più presenti in Europa e America del Nord, così come tra le persone che vivono in una certa agiatezza e che hanno ricevuto un certo tipo di educazione. Il processo di riavvicinamento tra produttori e consumatori inizia quindi inevitabilmente da questo segmento di popolazione, ma il fulcro deve essere - e qui sta la vera sfida - nel coinvolgimento di un altro tipo di cliente, più locale, giovane e popolare.
Credo sia importante, inoltre, ricordare che in Bolivia il settore biologico è una nicchia di mercato molto limitata che, a parte per prodotti dietetici o molto specifici, non offre al produttore un valore aggiunto interessante. Tant’è che il grosso della produzione biologica boliviana (quinoa, cioccolato, caffè) viene esportato, mentre ciò che resta deve essere venduto pressoché allo stesso prezzo del cibo convenzionale.
All'Ecoferia ci troviamo quindi ad uno stadio iniziale, ideologico e propedeutico, che punta soprattutto ad educare i clienti e i produttori allo sviluppo di una filiera biologica in scala locale e rurale.
Alla fine sarà però fondamentale capire e discutere chiaramente che tipo di obiettivo si sta ricercando: se si intende con agricoltura biologica un semplice cambio tecnico e commerciale, o se si sta cercando di costruire un modello di sviluppo alternativo e sostenibile su ogni piano.

Marco Goldin
Casco Bianco a Cochabamba
ProgettoMondo Bolivia

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