giovedì 25 luglio 2013

JUSTIÇA NOS TRILHOS Un workshop di fotografia sociale in Brasile

(Di Chaim Waibel) - Il nostro compito era documentare la vita, le persone e i contesti coinvolti nelle azioni del Movimento Sem Terra (MST), da anni impegnato in tutto il Brasile nella lotta per la giustizia sociale e per una vita dignitosa attraverso la redistribuzione della proprietà della terra (riforma agraria), l'esproprio dei latifondi improduttivi e l'occupazione delle terre incolte.
Riportare poi questa esperienza nei nostri contesti locali e nazionali, così come promuovere mostre o vendita di foto, attraverso cui raccogliere fondi da inviare al Movimento, oltre che occuparsi di diffondere informazioni e attività di sensibilizzazione, erano considerati a tutti gli effetti parte del compito.
Il mio percorso di avvicinamento alla fotografia sociale è pertanto iniziato con un forte senso di responsabilità rispetto a ciò che saremmo andati a fare.
Fresco di laurea triennale, il mio desiderio di nuove esperienze e conoscenze si è incrociato con la proposta di un viaggio nel Nordest del Brasile, negli stati di Pará e Maranhão, sotto la guida del fotografo Giulio di Meo. L’idea era potere approcciare insieme la fotografia e la cooperazione internazionale.
Justiça nos Trilhos è un progetto che da anni segue le comunità che vivono lungo i binari del treno della Vale, appartenenti anche al MST, che nel tempo hanno dato il via alla crescita e alla diffusione di una serie di attività industriali associate a questa multinazionale.
E questo era anche il titolo del workshop organizzato dall’ARCS (Arci Cultura e Sviluppo) e delle successive esposizioni fotografiche presentate in Italia. Il motivo del treno – e della Vale – e degli abitanti MST sono le direttrici lungo cui si è basato il nostro approccio alla fotografia sociale.
Quando si partecipa a un workshop l’intento è migliorare le proprie abilità e competenze. Ma nel caso della fotografia sociale la partecipazione a un workshop porta con sé un significato che va al di là dell’insegnamento, teorico e tecnico, di un normale corso di fotografia.
La fotografia sociale, in altre parole, non si limita alle metodologie dello scatto, a regole e pratiche inerenti all’occhio e alla macchina, ma costituisce un approccio alla fotografia più libero, diverso e unico rispetto ad altri generi, con un contatto tra chi scatta la foto e il soggetto, e che non si limita dunque alla fotografia in sé.
L'avventura era già cominciata alcune settimane prima della partenza, con un seminario a Roma durante il quale abbiamo avuto modo di conoscerci e di conoscere i partecipanti al nostro workshop.
Fin da principio era stato messo in chiaro che la partecipazione era intesa come una esperienza attiva di volontariato, ovvero un’esperienza meno consueta di un viaggio convenzionale ma importante per la crescita personale e culturale: un'esperienza da vivere come un vero e proprio lavoro.
Nel corso di questo viaggio abbiamo potuto conoscere la situazione del MST, ma ci siamo anche avvicinati alla problematica della Vale, entrando in contatto diretto con gli effetti devastanti della presenza indiscussa delle multinazionali, il cui potere sulla vita delle persone e dell'ambiente si intreccia, qui come altrove, con gli interessi locali e nazionali dei poteri forti.
Si è trattato di un viaggio intenso e a tratti faticoso, non tanto per gli spostamenti quanto per il continuo cambiamento di contesti, di persone e di esperienze. Un viaggio sicuramente da rifare per approfondire e meglio comprendere una situazione di per sé complessa e contradditoria, che questo primo viaggio ha già in qualche modo contribuito a farci conoscere.
Quella del “potere” è una chiave di lettura utile a comprendere il duplice percorso che questo workshop ha voluto offrire ai partecipanti. Il “potere” dei fazenderos deriva dalla mancanza in Brasile di una riforma agraria che tuteli i lavoratori agricoli e provveda a un'equa distribuzione della terra.
È stato calcolato che in Brasile ci sono circa 800 milioni di ettari di terra (600 milioni sono le terre coltivabili) e di queste solo 200 milioni sono pubblici
, il resto è in mano ai privati, ovvero circa l’1% dei proprietari terrieri possiede 1/3 del territorio disponibile nel Paese. Privati che mantengono queste terre a fini speculativi e congelano i fondi mantenendoli improduttivi, privati che abitano in Florida o California, multinazionali che con l’agricoltura hanno poco a che fare. Ciò significa che, a discapito dei quasi 4 milioni di persone, oggi prive di terra e di forme di sussistenza, il Brasile, pur di non perdere l’aureola di potenza economica emergente, non è disposto a concedere una riforma agraria che metta al primo posto le necessità vitali delle persone e non il potere e il denaro.
Il MST si pone nel solco della denuncia di Paulo Freire sulla “cultura del silenzio” che condiziona gli oppressi rendendoli involontariamente complici dei loro oppressori, ed evidenzia l’importanza di una loro coscientizzazione attraverso l'educazione popolare e l'impegno politico. Insieme ai Missionari Comboniani, gli attivisti dell’MST si spostano tra i villaggi per informare, coinvolgere e rendere coscienti dei loro diritti popolazioni che per anni hanno dovuto subire il potere dei fazenderos con l'accondiscendente complicità delle forze dell'ordine e delle istanze politico-istituzionali del Paese.
Il compito del Movimento Sem Terra è appunto rivendicare i diritti di queste persone, lavorando all’interno stesso della comunità, per arrivare alle mobilitazioni e ai tentativi di dialogo con i poteri istituzionali.
Un dialogo spesso reso macchinoso proprio da quelle istanze pubbliche che più dovrebbero difendere gli interessi dei più deboli.
Se la mancanza di una riforma agraria ha dato il via al movimento sociale dell’MST, e su questo aspetto si è focalizzato il workshop, il nostro itinerario seguiva però anche un’altra direzione, ovvero quella legata al fenomeno dell’inurbamento per conto della multinazionale la Vale (Companhia Vale do Rio Doce) di aree un tempo ricoperte dalla foresta Amazzonica.
Negli Stati che abbiamo visitato, nel 1985 questa compagnia ha dato inizio ai suoi interventi con l’esplorazione delle miniere del Carajás nello Stato del Pará. La necessità di esportare il ferro via mare nel resto del mondo ha fatto sì che venisse costruita una ferrovia, che da quello che era il cuore della foresta Amazzonica arrivasse a São Luís, capitale del Maranhão: 892 chilometri, 3.2 chilometri di vagoni per un totale di 340 vagoni, fanno di questo treno una minaccia costante alla vita di tutte quelle migliaia di persone che si sono trasferite negli anni per cercare lavoro nella miniera.
Si è verificato perciò uno spostamento di popolazioni dalla capitale São Luís verso l’interno del Brasile con la prospettiva di lavoro e speranza per decine di migliaia di persone. Utilizzando lo stesso "treno del ferro", queste persone hanno iniziato a spostarsi in massa, superando l’offerta di lavoro della miniera che nel frattempo aveva già accolto circa 8.000 persone. È successo quindi che persone che avevano impegnato gli ultimi risparmi per prendere quel treno si siano ritrovate senza alcuna risorsa e nella necessità di ricominciare una vita dal nulla.
Lungo i binari del treno sono così sorte piccole comunità di famiglie che hanno iniziato a coltivare la terra, la stessa terra di proprietà di quell'1% sopra menzionato.
Quello che è cambiato nel tempo è stato l’ambiente naturale. Con l’espansione della multinazionale Vale e della relativa produzione di ferro e di altri minerali, sono sorte in Pará come in Maranhão moltissime carbonerie, segherie e altre industrie ai margini degli stessi binari lungo i quali si sono sviluppati gli acampamenti. Per non parlare delle nuove piantagioni di eucalipto, che hanno sostituito le primordiali foreste allo scopo di velocizzare la produzione di carbone. Le popolazioni senza terra si trovano così a vivere in agglomerati industriali pur trovandosi “nel cuore della foresta Amazzonica”.
Violenza e sangue hanno accompagnato la nascita e la vita di questi accampamenti, minacciati costantemente dai fazenderos e dalla loro milizia armata. Il massacro di Eldorado dos Carajás del 1996 in cui la polizia ha risposto alla richiesta di un fazendero di intervenire contro i Sem Terra, è ricordato ancora oggi come una delle più gravi violazioni dei diritti umani in America Latina negli ultimi anni: 19 lavoratori senza terra morirono e altri 69 rimasero feriti.
Ferrovia e MST, miniera e accampamenti, sono stati quindi i due fili conduttori del nostro viaggio.
Abbiamo così appurato che sussiste una profonda diversità nel funzionamento e nell’operatività del Movimento, a seconda che si consideri il Nordest o il Sud del Paese. Il fattore economico sembra aver assunto particolare rilievo, tanto che è stato spiegato come le mobilitazioni, i programmi e l’organizzazione stessa del Movimento dipendano molto dalle risorse finanziarie, e in Maranhão, per esempio, a quanto sembra queste risorse mancano. Ed è triste pensare come un movimento sociale, che negli anni ha conosciuto moltissimi successi, aiutando decine di migliaia di famiglie, si sia poi dovuto confrontare con un declino così veloce. Qui l’MST sembra aver perso infatti il carattere originario di attivismo condiviso tra i membri dei villaggi.
A São Luís abbiamo parlato con Zaira Sabry, responsabile del Movimento per il Maranhão. Quello che ci ha rivelato è che qui il MST ha raggiunto una fase in cui ha più urgenza di gestire con le risorse residue quanto già fatto che non sostenere l’attivismo e l’appoggio agli ideali del movimento stesso. In mancanza di fondi il Movimento è costretto a tagliare tanto sui progetti quanto sul personale. E se anche le mobilitazioni nei luoghi pubblici, rappresentano sicuramente uno dei maggiori fattori di visibilità per un movimento per definizione sociale, la loro organizzazione richiede risorse finanziarie non facili da reperire.
La gestione di realtà urbane disperse in territori vastissimi e differenti dal punto di vista geografico, ambientale e sociale, rende necessaria un’amministrazione molto complessa, ma dal momento che a questa si rendono di fatto disponibili poche persone, una effettiva e capillare rete organizzativa risulta difficile se non impossibile.
Nel centro MST di São Luís abbiamo conosciuto il vertice organizzativo del Movimento per il Maranhão, 6 persone in tutto, ciascuna responsabile di territori immensi da amministrare, al cui interno si contano moltissimi acampamenti o assentamenti. Seguire gli sviluppi dei singoli contesti urbani è pertanto affidato a singole assemblee che amministrano in maniera il più possibile autosufficiente le diverse realtà, rinunciando sempre di più alle risorse economiche centrali del Movimento.
I Padri Comboniani continuano a sostenere la vita degli accampamenti con la loro spola quotidiana tra i villaggi. Questo il compito per esempio di Padre Dario, Padre Comboniano di Varese, la cui missione – ci ha spiegato- è ascoltare i bisogni delle persone e rispondere alle esigenze organizzative di ciascun accampamento e assentamento, con riunioni che si svolgono nelle chiese de villaggi.
La povertà incontrastata unita alla rassegnazione è elemento che caratterizza la situazione degli abitanti di un accampamento, per anni e anni costretti a vivere in condizioni precarie dal punto di vista sanitario, alimentare e lavorativo. Lentamente si sono raggiunti degli obiettivi, ma la possibilità di andare oltre si scontra, oltre che con la carenza di risorse finanziarie, anche con la difficoltà di coinvolgimento delle persone, necessaria per la compattezza di un movimento sociale. E' importante che i membri di un movimento vi si riconoscano, anche attraverso i simboli e le iniziative che lo connotano, un inno, una bandiera o le forme di educazione proposte. Ma in Maranhão come in Pará le cose stanno cambiando.
Nel primo caso la ricerca per un lavoro, infatti, ruota intorno a due grandi centri abitati, quali la capitale São Luís e Parauapebas, quest’ultima nata per i primi minatori del progetto “Projeto Ferro Carajás” e che oggi conta più di ventimila persone. La povertà inizialmente ha spinto la gente a lasciare la capitale in cerca di lavoro presso questa miniera, oggi la seconda al mondo per produzione.
Il progetto Justiça nos Trilhos va a proteggere proprio questa situazione, in cui i Sem Terra sono costretti a vivere tra il treno e la carboneria, tra il treno e la piantagione di eucalipto, e come non bastasse a unire il tutto ci può anche essere un laghetto tossico. Li dove fino a dieci anni fa si estendeva incontaminata la foresta Amazzonica, oggi lo sguardo si perde tra le praterie fino all’orizzonte, in un paesaggio surreale che ricorda più la pianura Padana che il Brasile, non fosse che per le sporadiche palme. Tra i momenti di contatto con le persone, uno su tutti mi ha colpito particolarmente: la situazione di un assentamento nei pressi di Açailandia. Il contesto geografico è esattamente quello del laghetto, il treno che passa alto sopra le teste degli abitanti diciotto volte al giorno, il fragore della carboneria che non deve aspettare la notte per essere spento.
La gente ha occupato parte del terreno di un fazendero ancora più di trent’anni fa, quando tutt’intorno era ancora foresta Amazzonica, e prima che la Vale iniziasse a sconvolgere le loro vite, partendo dalla salute. Nel momento in cui tutto quello che possiedi è la stessa baracca, che dà rifugio nella foresta è diventata un cumulo polveroso al ciglio della strada, capisci che l’unica salvezza sarebbe spostarsi, ma, non avendo altro, ciò non è possibile. Un’immagine che non ho dovuto scattare per imprimerla nella mia mente, è l’interno di una baracca, il cui cortiletto, spoglio e nero, confina con il muro attraverso il quale è possibile scorgere la carboneria.
Inquinamento e morte a parte, immaginare queste persone vivere nello stesso posto da così tanti anni è davvero inquietante. Quelli che se ne sono andati hanno venduto la loro casa e la loro rosa, il loro campo, per una cifra che può sembrare allettante per un lavoratore abituato a 12 euro di compenso giornaliero ma che la vita in città velocemente cancella.
Si verificano infatti due situazioni che vanno ad influenzare il senso stesso del Movimento negli assentamenti, e a caricare di ulteriore lavoro i membri dell’MST a São Luís.
Se da una parte coloro che hanno scelto la città si sono ritrovati senza più né un soldo, né una casa dopo poco tempo, la loro situazione di Sem Tetto viene comunque supervisionata dall’MST che si reca nei villaggi sorti nella prossimità della capitale e sui cui sono nati ulteriori contesti di povertà e inquinamento.
All’inizio di questo viaggio la prima tappa è stata osservare proprio come queste persone abbiano trovato riparo nella zona di São Luís, su cui oggi si estende la proprietà della Vale, e a cui arriva e riparte tutto il materiale estratto e lavorato per il resto del Mondo. Qui abitano persone che hanno perso tutto, trasferendosi qui perché precedentemente arrivate per cercare senza successo un lavoro, perché in confronto una realtà migliore di quella in cui vivevano, e perché espropriati delle loro terre dalla Vale non hanno più potuto vivere nel territorio a loro destinato.
È il caso di un villaggio pressoché fantasma nella periferia di São Luís in cui lentamente si stanno ritrasferendo le persone che, ancora dieci anni fa, erano state costrette a spostarsi in una sorta di conca dove, alla prima alluvione, hanno perso tutto e sono tornate nelle case che avevano lasciato, ma che oggi si trovano in terreno proprietà della Vale. Questo per quel che riguarda il Maranhão.
In Pará la situazione è diversa, e sembra che la fertilità del terreno sia uno degli elementi che permette alla gente dei villaggi di godere di un tenore di vita migliore rispetto ai vicini del Maranhão. Di conseguenza, un contadino il cui terreno dà più frutti, permette a quest’ultimo di dedicarsi anche ad altre attività come l’educazione e il piccolo artigianato, come ad esempio produzione di stoffe e altre mansioni secondarie che vanno ad arricchire le entrate della rosa. Nel caso di contadini giunti successivamente al momento dell’occupazione, la fertilità di questi terreni concede lavoro anche a loro, che andranno a lavorare nelle rosa dei Sem Terra già presenti da più tempo.
Di conseguenza il movimento stesso può esercitare la sua funzione di collante sociale con maggiore libertà attraverso iniziative di coinvolgimento della popolazione, come ad esempio l’educazione. Questo è emerso particolarmente da una visita in un acampamento (Helenira Rezende) di recente origine in cui l’aria di movimento sociale è ancora presente e condivisa. Non si tratta solo dell’esposizione di bandiere del movimento, oppure del momento rituale dell’inno, quanto piuttosto del ruolo che l’assemblea degli abitanti ricopre effettivamente nella gestione quotidiana del villaggio stesso. All’interno del villaggio l’appartenenza a un movimento sociale era tangibile in ogni situazione con cui ci siamo confrontati.
Ed è stato quasi un conforto scoprire questo attaccamento al MST dopo le diverse esperienze vissute in Maranhão.
L’aver visitato diversi accampamenti e assentamenti sia in Maranhão che in Pará ci ha permesso di capire come varia il tenore di vita delle persone e gli ideali del Movimento Sem Terra siano ancora appoggiati e condivisi con gradi di partecipazione differente.
Com’è emerso dal viaggio, sussistono grandi divergenze anche tra stati geograficamente vicini, che per motivi economici e produttivi legati alla rendita dei terreni presentano stili di vita diversi che influiscono sullo sviluppo degli accampamenti, ovvero dei primi insediamenti di quelle famiglie che fanno comunità sotto l’MST nelle terre occupate, e degli assentamenti, ovvero quegli accampamenti riconosciuti dallo stato dai quali poi si sviluppano vere e proprie città.
Se a livello fotografico rimanere più a lungo in un villaggio permette di scattare più foto e quindi di avere una scelta maggiore per la selezione, dal punto di vista umano il fattore tempo fa sì che non si possa instaurare un vero rapporto con le persone, che non si limiti a una generica informazione sulle loro vite. Il fatto di doversi spostare lungo distanze impegnative fa sì che il tempo per visitare le comunità rurali debba essere utilizzato al meglio.
L’utilizzo della fotografia per documentare alcune realtà del Movimento Sem Terra è stato sicuramente utile ed efficace, soprattutto perché è stato possibile utilizzare le foto sia come strumento che come fine. Se lo scopo del viaggio era documentare una realtà di difficile esistenza per moltissime persone costrette a vivere in accampamenti anche per più di cinque anni, in un regime di sopravvivenza sempre in bilico tra l’avere un proprio terreno e la paura di venirne espropriati perché privi di un riconoscimento legale, il contatto con le popolazioni, necessario per poi procedere alla documentazione fotografica, richiedeva comunque un coinvolgimento personale, nella forma della coabitazione e della convivenza quotidiana, che ha consentito di conoscere più in profondità le realtà di vita di queste persone, le loro storie e i loro problemi.

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