mercoledì 24 luglio 2013

Haiti: rabbia e disperazione alimentano la tensione

Nel consueto rapporto annuale pubblicato in giugno sul consolidamento dello stato di diritto nei vari Paesi del mondo, la rivista americana Foreign Policy pone Haiti all’ottavo posto tra le nazioni più deboli e meno consolidate del pianeta (178 Paesi in tutto).
Tra gli elementi che influiscono in questo giudizio radicale e in questa triste valutazione, vi sono i problemi economici contingenti e strutturali, l’assenza di servizi pubblici, l’insicurezza costante, la corruzione, e la necessità di un intervento straniero -la missione delle Nazioni Unite Minustah- per favorire la stabilità del Paese, e non lasciarlo scivolare nell’ingovernabilità.
Il risultato di questa situazione di crisi, che non può più essere considerata emergenziale ma è ormai sistemica, è da un lato il forte flusso migratorio dei cittadini haitiani verso l’estero, e dall’altro una crescente insoddisfazione della popolazione di fronte all’incapacità dello Stato di rispondere in modo soddisfacente ai bisogni primari, alla corruzione endemica e allo strano ruolo di protezione/dipendenza provocato dalla presenza ormai quasi decennale della Minustah, e dal suo apparato militare e burocratico farraginoso e alieno alle istanze della gente comune.
In sostanza, la rabbia e la tensione covano sotto la cenere, e s’alimentano della disperazione e della mancanza d’opportunità sociali ed economiche. Dieci milioni di persone, in prevalenza bambini e giovani, si raccolgono in poco meno della metà dell’isola d’Hispaniola - prima occhiata sul “nuovo mondo” del conquistatore Colombo - e provano a sopravvivere.
Gli effetti del terremoto del gennaio 2010 sfumano, quindi, di fronte alle emergenze della quotidianità, a una vulnerabilità ambientale sempre più forte, e al fallimento dello Stato come espressione di rappresentanza e come custode dei processi democratici.
S’avvicina una nuova stagione di uragani tropicali, e nella terra dei giacobini neri, nel primo Stato nero indipendente nella storia moderna dell’uomo, le nuvole s’addensano come sempre, reclamando una pioggia violenta e impedendo ipotesi alternative di sviluppo.
Sta a noi società civile nazionale e internazionale provare a invertire la tendenza, cercare margini e spazi per contro-arrestare la vulnerabilità della terra e i bisogni violentati dall’uomo, riscoprire il senso comune di una terra caraibica che guarda, cura e coltiva orgogliosamente, la propria identità senza smettere mai, nonostante le tremende difficoltà, di sorridere e danzare.

Alessandro Gambarini
ProgettoMondo Mlal Haiti 

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