lunedì 8 aprile 2013

Giovani in carcere: il nuovo modello di giustizia riparativa in Bolivia

Di fronte a un reato, lo Stato esercita il suo potere punitivo. In primo luogo attraverso l'arresto, poi, se effettivamente il soggetto si dimostra colpevole, applicando una pena che prevede la privazione della libertà. Tradizionalmente l'applicazione di questo sistema di giustizia penale, si è imposto come il modo giusto per combattere il crimine. Quindi, se lo Stato decide che un cittadino deve essere privato della propria libertà per aver commesso un crimine, si prende anche la responsabilità di mantenere questa persona, di assicurargli il diritto a una vita dignistosa, a una dieta corretta, garantendo servizi sanitari adeguati e tutelando il diritto alla vita delle persone recluse.
Il carcere è stato progettato come un luogo di prigionia e costrizione per persone che hanno commesso crimini, senza però dimenticare che questi soggetti rimangono persone da trattare quindi con umanità e nel rispetto dei diritti umani.
Nella società boliviana il rifiuto verso chi commette reati è molto forte, siano essi adolescenti o adulti, e si tende a non considerare i fattori che portano a infrangere la legge, come la mancanza di opportunità, l’assenza di uno stato capace di risolvere problemi come la sanità, l'istruzione, la povertà, la mancanza di posti di lavoro, etc.
In un contesto simile la situazione degli adolescenti e dei giovani è ancora più sensibile. Ogni volta che un giovane abbandona il nucleo familiare per entrare a far parte di un mondo del lavoro a bassi salari in cui viene sfruttato, il rischio che si metta a delinquere per ottenere beni di prima necessità, come il cibo e la salute per sé e per i propri familiari, è alto. Una volta recluso, poi, viene trattato come un adulto e sottoposto a una giustizia lenta e ritardata, mentre i minori che hanno violato la legge meritano un programma di reinserimento sociale specializzato e diverso da quello di un adulto.
Come alternativa al tradizionale sistema penale sta prendendo piede piede la nuova proposta di giustizia riparativa, che si basa sull’assunzione che la compensazione di un crimine (tramite una pena per l’aggressore) non significa sempre “giustizia”. Considerando che lo scopo della pena è quello di proteggere la società dal crimine, quando una persona commette un reato e viola la legge non fa male solo alla vittima (come individuo), ma anche alla comunità nel suo insieme. Quindi, se ci si concentra sulla pena o punizione fornita dal sistema penale classico, si nota che esso fa ben poco per riconoscere i danni fisici e immateriali subiti dalla vittima e dalla comunità, e ignora inoltre gli aspetti che hanno portato questa persona (il delinquente) a commettere il crimine.
Qalauma, nato come il primo centro per minori di 21 anni in cui viene applicato il modello socio-educativo, rappresenta un’alternativa di reinserimento sociale per molti adolescenti e giovani che meritano una seconda opportunità. Il centro, infatti, permette non solo la conclusione della formazione scolastica (con percorsi che portano i giovani a ottenere il diploma di maturità) o l’apprendimento di un nuovo mestiere; ma assicura anche la presa di repsonsabilità da parte del giovane di fronte al danno causato, secondo appunto i principi della giustizia riparatoria.

Ninoska Ayala
responsabile tema giustizia del Centro de derechos ciudadanos (CDC), nostro partner nel progetto MAE

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