Queste tre etnie costituiscono senza ombra di dubbio la maggioranza della popolazione boliviana; ma al di là di mere questioni numeriche non va dimenticata la comunità Afroboliviana.
Qualche giorno fa ho avuto la possibilità di conoscere da vicino le interessanti radici culturali di questa comunità, partecipando a un festival di Saya (ballo tipico afroboliviano) in Tocaña, nello Yungas di La Paz, dove è stato festeggiato l’arrivo del nuovo anno. È stata un'esperienza meravigliosa, frutto di un vero e proprio intercambio culturale e di una forte partecipazione di tutti i presenti, boliviani, afro e, come nel mio caso, stranieri. Un’intera giornata di danze tipiche, prelibatezze locali, canti, gioia e voglia di stare insieme al di là delle differenze e del colore della pelle.
La comunità Afroboliviana discende dagli antichi schiavi neri portati forzatamente dai conquistatori spagnoli dalle proprie terre dell’Africa, principalmente dal Congo o dall’Angola, ma anche dal Centroamerica come nel caso delle Antille; questi hanno costituito una importante forza lavoro nelle ricche miniere di minerali, come argento, oro, zinco nelle haciendas, o ancora come servitù di ricche famiglie spagnole. Le condizioni di vita nelle miniere erano durissime, sia per il lavoro in sé, che per le condizioni climatiche e di altitudine a cui tali persone non erano minimamente abituate. Moltissimi morirono a causa di malattie dovute alle esalazioni tossiche a alla durezza del lavoro e degli agenti atmosferici. Si stima che circa 8 milioni di africani e nativi morirono tra il 1545 e il 1825, anno dell’indipendenza della Bolivia. Con la consistente riduzione dei minerali nelle miniere del paese e con l’emancipazione degli schiavi ottenuta nel XIX° secolo, questi si spostarono in massa verso zone più calde del Paese, come lo Yungas nel dipartimento di la Paz. Ciononostante continuando a lavorare come schiavi per i padroni delle haciendas, lavorando nei campi coltivando soprattutto coca, frutta e manioca. Col tempo il lavoro nelle haciendas andò migliorando in favore dei diritti dei neri. Nel 1945 l’allora presidente Gualberto Villarroel promulgò l’importantissimo Decreto Supremo N° 319, che dichiarò l’abolizione dei servizi di schiavitù e servitù, e qualche anno dopo assegnò agli afroboliviani terre in cui ancora attualmente vivono e lavorano in armonia e serenità. Oggi vivono circa 25 mila afroboliviani nei territori dello Yungas, mentre un numero cospicuo vive nelle grandi città come La Paz e Santa Cruz, in cerca di migliori condizioni e remunerazioni lavorative.
Attualmente la comunità afroboliviana vanta forti radici culturali, basate sul patrimonio lasciatole dagli antenati emigrati dall'Africa. Le sue più grandi espressioni culturali si basano sul canto, sulla danza e sulla cucina. La cultura afroboliviana ha deposto le proprie tradizioni all'interno della cultura della Bolivia, e le sue influenze principali sono la Saya, danza oggi ballata in tutto il paese, che rifletteva le preoccupazioni sociali del tempo con versi rima e un gran ritmo africano fatto di tamburi e altri strumenti tipici dell’Africa.
Le lingue e le variazioni dialettiche, la musica, l'atteggiamento e il modo di essere dell’afro-boliviano, restituiscono una speciale miscela di nero, aymara e meticci creoli, con una forte e specifica personalità. Nonostante la forte influenza cristiana, si conservano ancora elementi dei riti Macumba e Vuh-duh, soprattutto in popolazioni di Mururata e Chicaloma, dove alcune tradizioni sopravvivono ancora oggi.
Uno degli impegni del Governo Morales, che ha posto come punto cardine del proprio programma e della propria agenda di governo la difesa dei gruppi nativi e indigeni e delle minoranze etniche, è quello di riuscire ad assicurare maggiori diritti lavorativi e più in generale sociali alla comunità afroboliviana, eliminando le ancora forti componenti razziali presenti nel paese.
Luca Di Chiara
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia
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