lunedì 12 marzo 2012

La testimonianza di Edoardo Buonerba. "Lavorare con gli adolescenti è stata scoperta e crescita"

Edoardo Buonerba, originario di Nettuno (Roma), 26 anni, ha da poco concluso il suo anno di Servizio Civile per ProgettoMondo Mlal in Guatemala. Qui fa il punto su quella che è stata la sua esperienza in Guatemala all’interno del Progetto educativo Edad de Oro- Montecristo.

"Avevo conosciuto l’opportunità del servizio civile nel 2009. Impegni di studio non mi hanno permesso di fare domanda ma ho continuato a interessarmene. Così il bando del 2010 è uscito proprio al momento giusto: laureato in specialistica e occupato solo in esperienze di breve periodo. Tra i vari progetti sono stato attento a selezionare quelli che comunque potessero rappresentare ideologicamente una linea di raccordo con quanto studiato a Gorizia: progetti che si dedicassero al microcredito e alla cooperazione economica. Tra tutti, due avevano richiamato la mia attenzione: Nicaragua e Guatemala, entrambi di ProgettoMondo Mlal di Verona. Credo sia stato per ragioni di maggiore problematicità del secondo Paese che ho optato per questo.
Il progetto in Guatemala prevedeva sulla carta il sostegno a una cooperativa di microcredito per giovani agricoltori che aveva avuto infatti un momento di particolare splendore nel periodo prima e durante le violenze nel Paese, offrendo corsi e aiuto cooperativistico ai propri soci in un momento in cui qualsiasi mano tesa alle popolazioni indigene era perseguibile dai militari.
La maggior parte dei soci è però nel frattempo scappata dal Paese o è deceduta nel periodo delle violenze e la cooperativa al giorno d’oggi necessiterebbe nuova linfa e un rilancio nella sua attività. Anche se negli ultimi anni ha sempre avuto un ruolo importante all’interno della società, sostenendo indirettamente le necessità delle scuole elementari del distretto: lavori infrastrutturali, maestri di sostegno, etc. Da questa sensibilità nei confronti della scuola, e dall’importanza data all’educazione come fattore dello sviluppo, nasce l’idea di creare, in una zona rurale vicina alla città di Chimaltenango, un centro educativo. Grazie poi al sostegno di fondazioni italiane amiche e al finanziamento dell’Unione Europea, viene costruito il Centro Monte Cristo che apre le proprie porte nel 2003. Ed è così che al giorno d’oggi, io mi sono ritrovato in un progetto educativo che nulla ha più a che vedere con il microcredito.
Il Centro Montecristo è dunque innanzitutto una scuola media, a 7 chilometri dalla città, in un territorio che non dava opportunità di studio ai ragazzi usciti dalle scuole elementari.
Qui i figli degli agricoltori non hanno le possibilità materiali di poter fare qualcosa di diverso nella vita. Per questo il progetto, oltre ad essere una scuola, offre laboratori tecnici che possano insegnare non solo un’agricoltura più ecologica e remunerativa, ma anche falegnameria, sartoria e cucina. A questo si aggiunge una particolare sensibilità ai temi della salute e del benessere, attraverso l’insegnamento e anche una piccola clinica medica al servizio delle comunità circostanti. Insomma, un progetto dai mille aspetti, che si prende cura dell’apprendimento dei ragazzi, ma anche dei valori: l’uguaglianza di genere, il benessere comunitario, il rispetto della propria cultura e della propria religione.
Il progetto promosso da ProgettoMondo Mlal grazie a un cofinanziamento dell’8 X mille, e della durata di 2 anni, prevede specificatamente un intervento nelle scuole elementari delle comunità circostanti Monte Cristo. Tra le attività garantite, un controllo dello stato di salute di tutti gli studenti e dei bambini tra gli 0 e i 5 anni delle comunità, interventi strutturali nelle cucine delle scuole per garantire migliori condizioni di lavoro e igieniche, formazione alle cuoche al fine di preparare pasti equilibrati e formazione ai maestri perché possano sensibilizzare le comunità sul problema. Infine si interviene anche con l’implementazione di frutteti e di orti scolastici per garantire il fabbisogno e la riduzione del problema dell’acqua che affligge diverse comunità.
Personalmente ho avuto un ruolo attivo in ognuno di questi ambiti: sono stato educatore all’interno di attività scolastiche, in occasione delle elezioni studentesche e con un laboratorio di cucina, oltre all’appoggio per eventi vari.
Non nego di aver anche giocato a pallone con i ragazzi durante gli intervalli!
Sono stato in visita alle varie comunità, per le riunioni con maestri e personalità delle varie località. Ho raccolto i dati necessari allo studio nutrizionale nelle venti comunità interessate e collaborato nelle giornate di salute organizzate dal Centro. Sono poi stato dietro alle necessità di comunicazione con l’Italia: sulle attività del progetto, sulla situazione politica guatemalteca e sulle pratiche del Sostegno a distanza che Mlal promuove in Italia a favore del progetto.
Sono infine stato più volte autista e incaricato una volta a settimana della spesa e delle altre necessità del Centro in città.
Ciò non toglie che in un anno ho avuto anche modo di pitturare, dare da mangiare alle galline, spennarle, piantare caffè e spostare legna.
Insomma, davvero ho fatto un po’ di tutto.
Una piacevole sorpresa per me è stato il gusto di lavorare con ragazzi adolescenti.
Ero molto spaventato all’inizio, perché mi consideravo lontano dall’educazione e pensavo sarebbe stato uno sforzo enorme. Invece, vedendoli mi sono ricordato quanto è bella la loro età e come ero io all’epoca delle medie. E’ stato tutto più facile, ed è stato per me la vera motivazione per completare l’anno di Servizio, sopportando anche momenti o condizioni difficili.

Che il Guatemala fosse un Paese difficile, lo sapevo. Ha alle spalle un lungo scontro tra i detentori del potere politico, economico e militare e le popolazioni indigene, piena di violenze e zone d’ombra. Le principali famiglie del Guatemala sono discendenti dei coloni spagnoli, posseggono la maggior parte delle terre e delle risorse economiche. Le violenze erano strumentali alla salvaguardia di questo sistema iniquo: contro l’educazione e la formazione delle popolazioni indigene e soprattutto contro quella rivoluzione agricola che si era auspicata nel secondo dopoguerra. Gli episodi che ancora oggi ti raccontano sono purtroppo raccapriccianti: parlano di camionette militari arrivate nei villaggi per sparare sulla popolazione; parlano di capifamiglia a cui venne tagliata la testa e impalata, come monito alle comunità; parlano di fenditure naturali del terreno nella regione del Quiché riempite di cadaveri e di persone scappate in Messico; ma soprattutto parlano di ex-militari che al giorno d’oggi vincono ancora le elezioni presidenziali.
Né è stato fatto alcun lavoro di comprensione di quegli avvenimenti: la necessità più grande, dopo gli accordi di pace del ’96, è stata quella di dimenticare il prima possibile.
Di questi avvenimenti, stando un periodo in Guatemala, se ne sente parlare. Anche io ho avuto testimonianze da parte della famiglia del progetto che, come ho detto, rischiava la propria vita per dare la formazione agli agricoltori e l’educazione ai bambini delle comunità. Una fonte incredibile di queste storie è stato don Manuel: abbandonò la sua fattoria rifugiandosi con la sua famiglia in Messico ed è tornato 10 anni fa, nella stessa fattoria, ricomprandola nuovamente.
Al giorno d’oggi porta avanti una produzione agricola autosufficiente interamente organica. Si può stare con lui ore, ascoltando queste storie, senza stancarsi, ma disilludendosi un poco dell’umanità, questo sì.
Un aspetto che spesso è difficile da immaginare prima di partire è la solitudine a cui si va incontro in un’esperienza simile, e credo che per un volontario in Servizio Civile sia necessario alla fine trovare un punto di appoggio.
Soprattutto all’inizio, il Progetto è soprattutto la stretta realtà del volontario, 24 ore al giorno. Al di fuori si può cominciare con il conoscere la signora che vende il pane, il proprio barbiere. Ma mancano quelle relazioni più strette di cui avere fiducia.
Io ho avuto la fortuna di avere, soprattutto all’inizio, una valvola di sfogo in due volontarie che si trovavano a 5 minuti da casa.
Poi nel tempo ho stretto molto i rapporti con tre – quattro persone all’intero del progetto, con cui ho potuto sempre confidarmi in piena fiducia. Alla fine dell’anno, ho confermato la mia amicizia con quelle tre o quattro persone, di avere nel frattempo stretto dei rapporti forti anche al di fuori del progetto e di aver anche saputo costruire un’amicizia buona col mio compagno di avventura, con il quale abbiamo vissuto anche momenti difficili, ma credo sia una tappa normale in una convivenza forzata.
Al giorno d’oggi, posso dire di poter tornare in qualunque momento in Guatemala e di trovare un gruppo di solidi amici. Il Guatemala è un paese che ha un patrimonio artistico, culturale e naturalistico impressionante. So di aver descritto una realtà sociale molto difficile, ma la gente è comunque molto ospitale e la rete turistica è ben organizzata e sicura. La cultura maya ha segnato questo territorio e non si può non rimanere estasiati. E’ un peccato che i nostri turisti si limitino ai territori battuti della costa messicana e non scendano un po’ più a sud!
Infine, grazie anche a questa esperienza di volontariato, sono entrato a fare parte della Consulta del Servizio Civile, che è un organo all’interno del quale sono rappresentati i volontari, gli enti che propongono i progetti e lo stesso Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. Un organo di puro carattere consultivo, ma importante foro di discussione di tematiche, dalle più generali come i tagli previsti ai finanziamenti alle più specifiche, come ad esempio segnalazioni di progetti che hanno problemi".

Prima di ripartire per una nuova esperienza all’estero Edoardo ha raccontato la sua esperienza alla rivista universitaria con la quale collabora da anni, Sconfinare.

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