giovedì 29 marzo 2012

Progetto Qutapiqiña. Si Parte

Dalla vigogna si produce il filato più raro e pregiato che esista al mondo, più fino del cashmere, a un prezzo varia dai 410 dollari americani al chilo per la fibra grezza, ai 600 dollari della fibra lavorata.
Se ci si domanda come mai il filo di vigogna sia così ricercato, basti pensare che da ogni esemplare si ottengono appena 200 grammi di filato, che si tosano le vigogne solo ogni 2 anni e che una sciarpa di questa fibra ha un peso che varia dai 200 ai 250grammi.
Così, con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo economico di 1.185 famiglie coinvolte nel trattamento della vigogna in Bolivia, ProgettoMondo Mlal, in collaborazione con l’Asociaciòn Integral Villa San Antonio de Qutapiqiña (AIQ) e Soluciones Pràcticas (ITDG) ha presentato lunedì 26 marzo 2012, con una cerimonia inaugurale organizzata nel Palazzo della Vicepresidenza dello Stato Plurinazionale a La Paz, l’avvio del suo nuovo Progetto, Qutapiqiña.
Dopo avere conquistato il quinto posto tra 115 progetti presentati all’Unione Europea, il progetto Qutapiqiña ha ottenuto un cofinanziamento importante che gli permetterà di intervenire, nell’arco di 42 mesi, nell’Area Natural de Manejo Integrado Apolobamba e aree limitrofe, del dipartimento di La Paz, con un investimento complessivo di circa 1.100.000 €, di cui il 25% a carico di ProgettoMondo Mlal e dei rispettivi partner.
Come ha sottolineato Aurelio Danna, nostro rappresentante in Bolivia, Qutapiquina darà appunto priorità alla trasformazione e valorizzazione della fibra di vigogna per la commercializzazione all’estero del suo prodotto finale. “La materia prima che si esporta oggi, essendo grezza – ha infatti spiegato il cooperante aostano - genera oggi un valore limitato”. Da qui l’idea di acquisire un valore addizionale successivo alla lavorazione della fibra”. Per i primi 3 anni, l’obiettivo commerciale sarà produrre 300/400 sciarpe di pura fibra di vigogna”.
Apolobamba si trova a 350 km da La Paz, a quasi 7 ore di viaggio, ed è considerata un’area protetta che, dal 1972, si inserisce nella categoria di Area Natural de Manejo Integrado con l’obiettivo di tutelarne la diversità biologia e lo sviluppo sostenibile della popolazione, con particolare attenzione per la protezione dell’ecosistema alto andino e della vigogna stessa che, in quest’area, rappresenta la più popolosa del paese.
L’area si trova nel nord est del Dipartimento di La Paz, tra i 4.400 metri e i 4.700 metri d’altezza, nelle provincie di Bautista Saavedra, Franz Tamayo y Larecaja e conta una superficie di 483.743 ettari. Superficie che vanta due ecosistemi: una parte di “bosco umido” sempreverde e un’altra di altipiano secco con clima mesotermico.
Malgrado si tratti di un’area protetta, con più di 800 specie di piante e 296 specie registrate di vertebrati, non mancano però le minacce. La principale è costituita dall’attività mineraria aurifera, che qui conta più di 27 cooperative, oltre a un considerevole numero di lavatoi artigianali. Inoltre, le attività agricole vengono spesso ostacolate da altri fattori, come nel caso del chaqueo, pratica tradizionale con cui vengono bruciati i terreni o per pulirli o per rinnovare i territori a pascolo permanente, o per fertilizzare il suolo che provoca erosione e perdita di vegetazione. O, ancora, a causa della convivenza forzata nella zona dell’altipiano dove, le vigogne, che sono camelidi selvatici, dovrebbero spartirsi i magri pascoli con l’alpaca, dalla quale viene prodotta una fibra di valore molto inferiore. Da qui, spesso, lo sconfinamento in Perù, alla ricerca di maggiori pascoli, con la conseguente perdita dell’animale.
Un altro problema è legato da sempre alla caccia illegale di camelidi a scopo alimentare, di difesa, o come preda di caccia. Fenomeno che grazie a un precedente programma di protezione è fortunatamente in sensibile diminuzione.
“Infatti - ha rivelato nel corso della conferenza Juan Quispe, rappresentante di AIQ- nel 1996 vi erano ad Apolobamba 6.536 vigogne e 33.844 in tutta la Bolivia. Mentre nel 2001 erano tornate ad essere 56.383 e 67.278 nel 2009”.
Ed è appunto in questo contrariato contesto, dove principi di preservazione ambientale e faunistica, voglia di cambiamento e di crescita, si scontrano con povertà, mancanza di formazione e tecnologia, che il progetto Qutapiqiña si pone l’obiettivo di rafforzare lo sviluppo economico locale, puntando ad ottimizzare lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali ma anche aumentando le competenze di gestione da parte dei partner locali e dei municipi di Peluchuco, Charazani, Curva, Ayata e Mocomoco.
Saranno infatti loro a svolgere la parte centrale del Progetto, grazie appunto - come ha illustrato Victor Yapu di ITDG – "all’attività di formazione su utilizzo di strumenti tecnologici e disegno dei capi che verrà offerta nei 3 anni di durata del Progetto”.
Senza contare che, al termine della formazione, si proseguirà sulla stessa strada, andando a creare “un marchio di garanzia sui prodotti che proverà l’autenticità di produzione su animali vivi”.
Per monitorare avanzamento e risultati del Progetto, si punterà a raggiungere 4 obiettivi concreti: il potenziamento della gestione sostenibile delle risorse naturali (pascoli e acqua), a beneficio della popolazione dei camelidi, una maggiore e migliore produzione di fibra di vigogna, grazie alle innovazioni apportate nella comunità, un’articolazione commerciale nazionale e internazionale gestita direttamente dai produttori locali, e la partecipazione congiunta, tra le famiglie indigene interessate e i 5 municipi, nella pianificazione locale di sviluppo ambientale di quest’area protetta.
Interessanti saranno inoltre alcune singole iniziative, che verranno messe in campo nell’ambito dello stesso Progetto: l’innovazione nella produzione della fibra (attraverso tecniche e strumenti di tosatura a tecniche di cattura sostenibile) il recupero e raduno di tutti i camelidi, senza spargimenti di sangue, per un periodico controllo sanitario. In questo modo si potrà recuperare tempo, oggi impiegato per la fase di tosatura, da sfruttare invece meglio nella cura e nel controllo medico veterinario.
Il Progetto, oltre al tema della tutela ambientale e a quello dell’innovazione nelle pratiche di trattamento della vigogna, punterà infine sull’equità del genere e sulla promozione interculturale.
La gestione della lavorazione sarà ad esempio affidata alle donne, per dare loro parità di trattamento e di opportunità. E, dal momento che la popolazione coinvolta dal Progetto appartiene al popolo originario Kallawaya, dichiarato nel 2008 dall’UNESCO “Patrimonio Culturale Intangibile dell’Umanità”, si interverrà nel rispetto dell’identità culturale e nell’applicazione del diritto dei popoli originari.

Vanni De Michele
ProgettoMondo Mlal
Casco Bianco – Bolivia

mercoledì 28 marzo 2012

Una lettera aperta per i diritti dell'infanzia

ProgettoMondo Mlal aderisce alla lettera aperta promossa dai movimenti dei bambini lavoratori latinoamericani, che già sostiene tramite il Movimento dei bambini e adolescenti lavoratori ITALIANATs, di cui è socio fondatore, oltre che con il Progetto di cooperazione “Il mestiere di crescere” avviato in Perù, Bolivia e Colombia. Ed è proprio da quest’ultimo paese che, in questo caso, arriva l’appello inviato alle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia dalla fondazione colombiana Escuela Viajera. In Italia la lettera sta trovando diffusione anche attraverso il Centro Diritti Umani e pace-Cattedra Unesco-Università di Padova, grazie all’interessamento dei docenti Antonio Papisca e Marco Mascia.
Di seguito il testo della lettera:

74 esperti di tutto il mondo, in rappresentanza della società civile e del mondo accademico, hanno inviato una lettera aperta alle Nazioni Unite per porre l’attenzione sul tema dei diritti economici, sociali e culturali dei bambini/e, considerando che a Ginevra si sta presentando il nuovo rapporto mondiale sui bambini/e che lavorano e vivono in strada in occasione della 19* sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite sui diritti umani.
Tra le personalità firmatarie si nota la presenza di illustri rappresentanti del mondo ecclesiale come Padre Javier Hernan - Rettore dell’Universita’ Salesiana dell’Ecuador, Nery Rodenas, Direttore dell’Ufficio diritti Umani dell’Arcivescovado di Citta’ del Guatemala (fondato da Mons. Juan Gerardi, vescovo martire), Nigel Cantwell, Fondatore di Defence for Children International DNI, presente a livello mondiale, Jaap E. Doek, Vice Presidente del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo (2001-2007), ricercatori sociali come Antonella Invernizzi, Brian Milne, Ivonne Oviedo, Cristiano Morsolin, docenti universitari come Manfred Liebel, Zamudio Lucero (Decana dell’Universita Externato di Colombia), Osvaldo Torres (Universita del Cile), Marily Piotti (Universita’ Nazionale di Cordoba-Argentina), Lourdes Zariñana Nava (Centro Estudi sociologici della Facolta’ di Scienze Politiche e Sociali UNAM-Citta del Messico), Michael Bourdillon (Universita del Zimbawe), don Luca Pandolfi (Universita’ Urbaniana di Roma), Mauricio Roberto da Silva (Universita Santa Caterina-Brasile), Riccardo Lucchini (professore emerito dell’Universita’ di Friburgo-Svizzera), Bernard Schlemmer, Direttore Emérito del CEPED –Universita’ di Parigi, ONG riconosciute a livello internazionale come Rita Panicker, Direttrice dell’ONG Butterflies- India, Alberto Croce – Direttore del SES di Buenos Aires, Raffaele Salinari, presidente a livello europeo dell’Alleanza Internazionale Terre des Hommes TDH e molti altri.

La riflessione si riferisce ad un lavoro investigativo incaricato dall'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra al Consortium for Street Children di Londra che ha realizzato il report “STREET CHILDREN: A Mapping & Gapping Review of the Literature 2000 to 2010“, un rapporto che documenta la letteratura sul fenomeno dei bambini di strada solo in lingua inglese, escludendo tutti i contributi in lingua francese, spagnolo, portoghese e italiano.

“L’insieme delle indagini sociologiche e le esperienze in questi ultimi 30 anni dimostra che l’esperienza dei bambini/e che vivono e lavorano in strada, va ben oltre le tattiche limitate e i comportamenti di “rischio”. Include gli encomiabili sforzi e le lotte per far fronte nella vita quotidiana ad ambiente adversi, sviluppando relazioni solidali con altri bambini e adulti.
(...) Esiste una varieta’ di punti di vista per mettere a fuoco le diverse questioni relative alla vita dei bambini/e che vivono e lavorano in strada. Non ci devono essere barriere teoriche e concettuali per la costruzione di un quadro flessibile di riferimento. L’intervento e la ricerca analizzano diversi aspetti e problemi dei bambini. La costruzione di un quadro adeguato e’ possibile attraverso una rete di esperti (del mondo universitario, delle ONG e delle agenzie ONU) che lavorino insieme. Negli Anni ’90 questo dialogo fruttuoso e’ stato realizzato dal Gruppo di lavoro internazionale sul lavoro minorile IWGCL. Crediamo che si debba andare avanti in questa direzione. Crediamo che sia vitale che tutti i punti di vista e le varie metodologie si riflettano in questo percorso attivato dalle Nazion Unite”, si sottolinea nel documento collettivo.
La lettera aperta è sostenuta dalla Rete Europea di Masters in politiche per l’infanzia ENMCR, dalla Rete Latinoamericana di Masters per l’infanzia e si sta diffondendo a livello mondiale grazie anche alla diffusione promossa dal Senatore Barque Cristovam, attuale Presidente della Commissione sull’Educazione del Senato Federale del Brasile e già Ministro dell’Educazione nel governo Lula.
Vernor Muñoz, relatore speciale ONU per il diritto all’educazione (2004-2010) e attualmente docente dell’Istituto di Studi Latinoamericani dell’Universita Nazionale di Costa Rica, ha evidenziato che “sostengo questa carta aperta perche’ considero che la situazione dei bambini/e di strada mostra un grave impatto dell’abbandono, dell’esclusione e della discriminazione nelle nostre società. È necessario approfondire l’analisi delle cause e della ricerca di soluzioni che conducano a migliori interventi governativi fondati su politiche pubbliche culturalmente pertinenti e socialmente effettive. Per questo si richiede che le azioni avviate dalle agenzie e organismi delle Nazioni Unite, ampliino i suoi margini di azione, in modo che si possa rafforzare la ricerca sociologica e l’azione interculturale e intersettoriale”.
Gulnara Shahinian, attuale relatrice speciale ONU per le forme contemporanee di schiavitu, ha dichiarato “a fine marzo saro’ in Ecuador per fare laboratori sull’implementazione delle raccomendazioni del mio studio del 2010 e sono ben lieta di incontrarmi con i firmatari della lettera aperta per discuterne insieme visto che i diritti dell’infanzia sono al centro del mio mandato istituzionale”.
C’è anche l’importantissima adesione del Premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel: “condivido le indicazioni dei 74 esperti perche’ credo sia di vitale importanza tenere in considerazione la partecipazione reale dei bambini/e e giovani nel disegno e nell’implementazione di politiche per l’infanzia in modo che siano ascoltate le loro esperienze. Appoggio tutte le azioni che si possano promuovere per migliorare la qualita’ della vita dei bambini/e che vivono in strada e lavorano, affinche’ termino le violazioni dei loro diritti”.
Ivonne Oviedo Poveda ha dechiarato “la Fundación Escuela Viajera de Bogotá promueve questa importante carta aperta perche’ e’ parte della sua proposta educativa, come ho appena documentato nella mia tesi del Masters all’Universita Districtal F. Caldas “il discorso della politica pubblica y i contenuti della rappresentazione sociale dei diritti dell’infanzia e adolescenza”.

a cura di Cristiano Morsolin, rappresentante legale della Fondacion Escuela Viajera e già collaboratore di ProgettoMondo Mlal per ITALIANATs

martedì 27 marzo 2012

ProgettoMondo Mlal al convegno "Verona e il mondo"

Creare una rete tra le molteplici istituzioni e associazioni di Verona e provincia che si occupano di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo, in particolare nell’ambito dell’istruzione e della salute.
E portare all’attenzione della città questa realtà molto diffusa e poco conosciuta.
Il progetto è stato lanciato in occasione della presentazione del convegno “Verona e il Mondo promosso da Università e Comune in collaborazione con Caritas, Centro Missionario Diocesano, Comboniani e Medici Senza Frontiere, e in programma per sabato 31 marzo alle 8.30 nell’aula T3 del Polo Zanotto.
Durante la giornata si parlerà dei diversi aspetti della cooperazione internazionale e degli obiettivi da perseguire nei prossimi anni. Seguiranno i racconti dei protagonisti impegnati nel garantire il diritto all’istruzione e alla salute nei Paesi in via di sviluppo, e in rappresentanza di ProgettoMondo Mlal parlerà Emilia Ceolan, già presidente dell'organizzazione e volontaria con un’esperienza di 25 anni nella cooperazione internazionale.

Sono oltre 60 le associazioni e le organizzazioni non governative di Verona che operano in questo settore, e anche l’ateneo di Verona è impegnato in prima linea nel sostegno del diritto all’istruzione e alla salute nei Paesi in via di sviluppo. Quella del volontariato è dunque una realtà tanto diffusa quanto variegata che necessita di istituire una rete per ottimizzare al meglio sforzi e risorse alla luce di un obiettivo unico: garantire il diritto all’istruzione e alla salute anche nei Paesi in via di sviluppo.
“Il diritto all’istruzione, così come il diritto alla salute sono diritti fondamentali della persona umana riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e da tutte le carte costituzionali dei Paesi democratici, tra le quali la Costituzione della Repubblica italiana – spiegano i promotori dell’iniziativa -. Ma in numerosi Paesi molteplici fattori ostacolano sia il diritto alla salute che quello all’istruzione e spesso ai problemi di natura socioeconomica, etnica e geografica, si aggiungono, per le popolazioni che vivono in regioni con focolai di guerra, quelli della sicurezza”.

Scarica il programma completo: Verona e il mondo

giovedì 22 marzo 2012

In Honduras. Il Paese più violento al mondo

L’Honduras è Caraibi, l’Isola dei Famosi, le spiagge candide e i costumi a pois che piombano in prima serata nelle televisioni del Nord del mondo, per parlare di simulacri di fame e di litigi sguaiati, tra bellimbusti offesi e starlette stralunate…
Ma l’Honduras è anche un Paese di bambini e giovani, un Paese dal futuro mancato: non possiamo permettere che un’intera generazione venga spazzata via è uno sforzo complesso e lungo, ma è anche terribilmente necessario.
Il contesto attuale che attraversa il sistema-paese è realmente negativo, e gli adolescenti e i giovani sono senza ombra di dubbio tra i maggiormente a rischio, quindi anche i piú coinvolti e colpiti dal clima di violenza che si respira in Honduras.
Qui infatti nel 2009 la stabilità democratica è stata messa a dura prova da un colpo di stato soft che ha però riportato i militari nelle strade, e che è stato appoggiato dai grandi imprenditori depositari di forti interessi economici e preparati ad azioni anche radicali di lobby.
Così, oggi, la democrazia appare come un velo, una patina formale che nasconde un retroterra fatto di perdita di potere (volontaria) dello stato, di violenza dilagante, predominio onniscente del Narcotraffico, e consolidamento di bande giovanili capaci di esprimere marginalitá rabbiose e veri e propri contro-poteri nelle comunità.
Le sparizioni forzate, le minacce a giornalisti e attivisti, la corruzione dominante nelle alte sfere del potere politico e giudiziario e tra le truppe della pubblica sicurezza, hanno generato nel tempo una cultura della paura e dell’impunità drammatica per la gente comune, estremamente funzionale a chi può permettersi il lusso quotidiano di muovere i fili del potere economico e degli investimenti finanziari.
Attualmente l’Honduras è il Paese più pericoloso al mondo, con tassi di omicidio superiori a quelli di tanti Paesi in situazione di conflitto armato (per fare pochi esempi, si tratta di indicatori superiori a quelli di Iraq o Afghanistan).
Si parla di circa 82 morti violente ogni 100mila abitanti. Giusto per fare una comparazione: il dato medio mondiale si aggira intorno alle 8 morti violente ogni 100mila abitanti.
A farne le spese sono prevalentemente gli adolescenti e i giovani
: nell’anno 2009 i dati mostravano 111,6 morti violente tra i ragazzi tra i 15 ed i 19 anni, 253,4 morti violente tra i giovani tra i 20 e i 24 anni, e addirittura 313,8 morti violente tra i giovani tra i 25 ed i 29 anni.
Si tratta dunque di una vera e propria epidemia a base di piombo, una tragedia nazionale che sta distruggendo il futuro del Paese e il diritto alla vita dei suoi cittadini più giovani.
L’escalation di violenza non è cresciuta per caso, ma è il risultato del trend negativo sperimentato dal Paese nell’ultimo decennio, un trend le cui cause si possono riassumere nella fortissima disuguaglianza nella distribuzione delle risorse (Honduras è uno dei Paesi piú diseguali al mondo), nella marginalizzazione di un intero segmento giovanile incapace di accedere al mercato lavorativo formale, ed escluso progressivamente da un sistema educativo che privilegia l’alfabetizzazione primaria e si “dimentica” dell’educazione media e superiore (lasciando di fatto la possibilitá di continuare a studiare in mano ai figli delle classi piú agiate), e negli spaventosi flussi migratori che rompono la struttura famigliare e dilaniano i tessuti affettivi.
La collocazione geografica dell’Honduras, sulla piú importante rotta di mercato di cocaina del mondo (esattamente tra la Domanda degli States e l’Offerta dei paesi andini) ha fatto il resto.
Oggi un ragazzo hondureño, proveniente da una famiglia di scarse risorse economiche, ha a disposizione le seguenti scelte di vita: un lavoro informale, sottopagato e senza tutela, o lavoro formale e sfruttato nelle maquiladoras e nelle grandi produzioni per l’esportazione (attività stagionale); la migrazione, prevalentemente verso l’estero, principalmente verso ipotesi di sfruttamento ed ulteriore marginalità e violenza; l’arruolamento nelle pandillas (bande giovanili auto-organizzate in situazioni borderline), nelle maras (gruppi criminali in cui predomina una età media molto bassa, coinvolti in dinamiche delittuose di ampia scala, nel controllo del territorio, e abituate a un uso efferato della violenza quale meccanismo dimostrativo e simbolico nei confronti della popolazione e delle autorità), o addirittura nelle reti del narcotraffico che hanno trasformato l’Honduras in un privilegiato Hub per lo stoccaggio e il trasporto di sostanze psicotrope e stupefacenti lungo la tratta Nord-Sud del mondo.
La questione è ancora più complessa quando si affronta il tema di genere, e la situazione delle bambine e delle ragazze nel paese. Nei primi 6 mesi dell’anno 2007 sono state presentate 3.800 denunce di violenza domestica (dato che comunque sottostima la reale entità del problema), il fenomeno del femicidio è costantemente in crescita in un Paese che già soffriva un profondo machismo culturale nelle relazioni inter-personali di genere, la tratta di bambine e ragazze è all’ordine del giorno, e persino attraverso un semplice lavoro di ricerca come il diagnostico promosso da ProgettoMondo Mlal nell’area di Choluteca e Nacaome si raccolgono dati gravissimi come quello per cui il 25% delle adolescenti ha subìto nella propria scuola una qualche forma di attenzione/violenza a sfondo sessuale almeno 1 volta.

Alessandro Gambarini
capoprogetto Giovani per la Democrazia
ProgettoMondo Mlal Honduras

Giovani per la democrazia. E' la ricetta di ProgettoMondo

Di fronte alla drammatica realtà che si vive in Honduras, i programmi di ProgettoMondo Mlal nel Paese prevedono un intervento a fianco degli adolescenti e i giovani per riuscire a motivare in loro un cammino e un percorso alternativo a quelli drammatici all’ordine giorno del loro quotidiano: il progetto “Giovani per la Democrazia”, avviato in collaborazione con CDH, nostro partner strategico nel Paese, e finanziato dal Fondo delle Nazioni Unite UNDEF, si propone di stimolare appunto nelle città di Choluteca e Nacaome una maggiore partecipazione dei giovani hondureñi nella vita sociale e politica del Paese e quella delle loro comunità di base.
Attraverso attività di ricerca e la promozione di indagini, si cerca di capire realmente lo stato di vulnerabilità del segmento giovanile, e le potenzialità di partecipazione dei giovani nelle dinamiche pubbliche e nella vita sociale.
Quindi, grazie a iniziative di sensibilizzazione e formazione sulle tematiche dei diritti, si vuole favorire una maggiore consapevolezza dei giovani rispetto alle proprie potenzialità e capacità.
Inoltre, attraverso un sostegno tecnico alla strutturazione di organizzazioni giovanili e reti di organizzazioni, perché possano lavorare con le comunità e nelle comunità, si cercherà di rendere protagonisti i giovani affinché possano svolgere un ruolo di proposta e di cambiamento. Infine, con la promozione di attività mirate, rivolte ai poteri pubblici locali, regionali e nazionali, si cerca di trasformare l’attivismo giovanile in proposte concrete per il miglioramento delle loro condizioni di vita, e della situazione che vivono quotidianamente le rispettive comunità.

Alessandro Gambarini
capoprogetto Giovani per la Democrazia
ProgettoMondo Mlal Honduras

Nuovo sbarco ad Haiti. Nel caos tra suv e muli

Appena arrivati, quindici giorni fa, ad Haiti, ci si è materializzato davanti agli occhi tutto il disagio che la popolazione si trova ancora a vivere due anni dopo il terremoto: la difficoltà dello sgombero delle macerie e poi, di conseguenza, quello della ricostruzione.
La capitale Port-au-Prince è molto caotica. Città studiata per 250 mila persone, è abitata da circa 1 milione persone, con tutto ciò che questo comporta. Come in tutte le grandi città, ci sono dei quartieri meno raccomandabili di altri, per attraversare i quali è bene prendere determinate precauzioni, indubbiamente si nota un evidente ampio divario tra la classe più povera e quella più benestante: per rendere l’idea dirò solo che in una stessa strada è facile vedere contemporaneamente avanzare appaiati un mulo e una Cayenne.
Come lo si può vedere anche entrando in un supermercato, dove tutto è carissimo: un litro di olio di oliva costa 12€, una latta di piselli 2,20€, 450g di pasta 2,30€. Per una notte in hotel si spendono almeno 80€, per l’affitto di una casa la spesa è di almeno di 500-600€.
Poi, d’altro lato, c’è la gente che non possiede nulla. Che non ha casa, che mangia tutti i giorni riso, fagioli e banane. Questo è il loro cibo quotidiano, difficilmente riescono a variare.
Un altro problema macroscopico, presente in tutto il Paese, è quello dello smaltimento dei rifiuti.
Qualsiasi scarto finisce per terra, sia che sia biodegradabile sia che sia plastica pura. Perciò ci sono ovunque montagne di immondizia ai bordi delle strade, nei letti dei fiumi, ovunque. E per fare pulizia ogni tanto viene dato fuoco al tutto... facile immaginare l’odore nauseabondo di plastica bruciata..., e cosa significhi per la salute umana il vagare delle diossine...
Dopo 10 giorni di vita in capitale, ci siamo spostati verso l’interno, a Papaye.
È un paesino di campagna, poco distante dalla città di Hinche.
(se lo cercate su google maps scrivete Haiti, Hinche e poi fate un super zoom appena sopra la città (nord est), vi appare la chiesa battista, noi siamo a 10 minuti a piedi da lì).
Ci siamo sistemati in una casetta carina con un po’ di giardino, nel quale ogni giorno passano un sacco di animali: caprette, galli e galline, faraone, cani, gatti, lucertoline verdi...
Abbiamo un pannello solare che ci fornice corrente per illuminare la casa di notte, e in caso di necessità abbiamo anche una lampada solare che può fare luce per un paio di ore!
In casa ci sarebbe anche un frigorifero, ma nella costruzione della casa hanno sottodimensionato l’impianto, così quando proviamo ad attaccarlo salta tutto.
Non abbiamo accesso continuo all’acqua, ma solo in determinati momenti. Di conseguenza, disperse tra il bagno e la cucina, abbiamo sistemato bacinelle per raccoglierla... Anche perché dobbiamo ancora capire quali sono le fasce orarie esatte in cui viene aperta l’acqua, e l’abbiamo invocata in così tanti momenti che viene facile comprendere quanto sia fondamentale per tutti noi l’accesso all’acqua. Per fare la doccia scaldiamo un pentolone di acqua, e con un secchio ci si lava... provare per credere! Per bere, invece, dobbiamo acquistare bottiglioni di acqua purificata che purtroppo però non contengono sali minerali... In sintesi è come se bevessimo acqua distillata e i nostri muscoli ne risentono già... Dunque ci organizzeremo per comprare dei sali da sciogliere dentro.
Da queste parti ci si sposta in moto, a cavallo, con l’asino o a piedi. Per cucinare tagliano la legna e ne fanno carbonella. E questo è un altro problema grossissimo: hanno stimato infatti che nel Paese solamente l’1,5 % di suolo è ancora ricoperto da alberi. Praticamente il Paese è stato quasi completamente deforestato.
In questi giorni abbiamo iniziato a conoscere i nostri colleghi haitiani. Abbiamo la difficoltà della lingua ma anche la fortuna che molti di loro hanno studiato in Repubblica Dominicana o a Cuba, perciò ci si arrangia anche con lo spagnolo.

Luisa Zamperini
equipe Nuove Energie
ProgettoMondo Mlal Haiti

Nuove Energie per far crescere Haiti

Contro il progressivo e inarrestabile disboscamento e impoverimento del Paese, il progetto Nuove Energie, promosso da ProgettoMondo Mlal grazie a un partenariato con Climate Development Foundation, una fondazione di Belluno attiva nella diffusione delle energie rinnovabili, e un cofinanziamento dell’Unione Europea, tenterà di promuovere un modello di sviluppo sostenibile nel territorio comunale di Hinche, Départment du Centre, nel plateux central haitiano.
Beneficiari diretti di questo nuovo intervento che va ad aggiungersi agli altri tre Progetti in via di realizzazione (Scuole per la Rinascita, Piatto di Sicurezza, Viva Haiti) saranno circa 75.000 residenti delle aree rurali, estremamente povere e caratterizzate da elevati livelli di degrado delle risorse naturali e da una costante perdita del potenziale produttivo dei suoli.
Tre sono le iniziative su cui lavoreremo nei prossimi anni: innanzitutto è in programma un intervento sulla filiera bosco-legno-energia, attraverso campagne di sensibilizzazione e formazione delle comunità di base, mirate alla gestione del bosco, all’utilizzo della legna e, dunque, a una più efficace trasformazione della legna in carbone, attività che purtroppo costituisce una delle poche attività fonte di reddito per gli haitiani. Quindi il Progetto punterà a facilitare l’accesso, privato e pubblico, all’energia elettrica, in particolare fotovoltaica, grazie anche all’attivazione di un sistema di microcredito. Infine, in quest’area centrale del Paese, verranno sperimentate tecnologie utili a migliorare le condizioni di vita della popolazione, promuovere la purificazione dell’acqua attraverso i raggi UV, recuperare energia dagli scarti di produzione agricola, introdurre l’utilizzo di cucine migliorate per ridurre in cucina l’utilizzo di legno e carbone, costruire piccoli Centri comunitari illuminati, elettrificare 5 scuole e 2 Centri di salute comunitari.
La base operativa, tecnica e logistica del Progetto è a Papaye, cittadina a una decina di chilometri da Hinche, sede di MPP, nostro partner locale.
Anche noi come abbiamo deciso di stabilirci qui a Papaye. E la casa in cui viviamo rappresenta proprio il modello che il Progetto Nuove Energie vorrebbe proporre a livello domestico, ovvero un’abitazione con un accesso duraturo, ed economicamente sostenibile, all’energia elettrica e con una drastica riduzione nell’utilizzo di legno e carbonella in cucina.
Nella nostra nuova casa un pannello solare fotovoltaico garantisce l’approvvigionamento elettrico minimo indispensabile (permette cioè il funzionamento di lampadine e piccoli elettrodomestici), e, nel caso che le batterie siano completamento scariche, abbiamo una lampada solare che garantisce illuminazione per un paio d’ore.
La cucina è invece alimentata a gas e permette di non proseguire nello sfruttamento del legno come unico combustile.
Consapevoli che, almeno per ora, la cucina a gas costituisce un bene al di sopra delle risorse economiche delle famiglie locali, si è pensato di introdurre nell’uso quotidiano la cucina migliorata che permette di “risparmiare” legno e carbone. L’accesso ai sistemi fotovoltaici e alle cucine migliorate avviene infine grazie a nuove opportunità di accedere a sistemi di microcredito.
Tutte soluzioni che, come le altre tecnologie proposte, si basano su tre criteri essenziali, tecnologie appropriate, compatibilità ambientale e compatibilità socioculturale.

Michele Magon
capoprogetto Nuove Energie
ProgettoMondo Mlal Haiti

Bienvenidos en la tierra de la Chaskañawui!

Prima settimana in Bolivia come Casco Bianco. Sono di ritorno da Santiago de Cotagaita, città del Dipartimento di Potosì nella provincia Nor Chichas, dove il 16 e 17 marzo si è svolta la “XIV° Feria Fructicola y Festival Folkòrico de Cotagaita”, ovvero la quattordicesima edizione dell’annuale Fiera frutticola, nella capitale della frutta, anticipata dall’altrettanto tradizionale Festival Folcloristico.
Si tratta di un grande evento, molto sentito nella zona, che ha richiamato l’attenzione di moltissime persone delle varie comunità locali, specialmente produttori frutticoli che naturalmente attendono questa occasione per promuovere i loro prodotti, venderli e, nello stesso tempo, partecipare anche alla grande festa.
Venerdì 16 la città era in fermento per il festival folcloristico; fin dalla prime ore del giorno la piazza principale si preparava all’evento in trepidazione, accogliendo varie delegazioni in rappresentanza delle maggiori comunità locali del Dipartimento, gareggiano in gruppi più o meno variegati, a seconda della loro “cultura”, con balli, canti e costumi coloratissimi, e diversi per zona di appartenenza.
La piazza si è poi riempita di colori, odori (composizioni di fiori, ampia scelta di petardi, e numerose proposte alimentari vendute dagli ambulanti), e soprattutto di allegria, voglia di stare insieme e di farsi conoscere e incontrare le tutte le differenze culturali che fanno parte di questa area geografica boliviana.
La comunità vincitrice ha continuato a danzare, cantare e a fare baldoria per tutta la notte e anche nei giorni a seguire, fieri di essere loro i vincitori.
Al termine della premiazione, è stata inoltre inaugurata una nuova statua rappresentativa della Chaskañawui, la cholita (donna boliviana vestita con abiti tipici del campo) di un celebre romanzo di formazione del boliviano Carlos Medinaceli, “La Chaskañawui”, ambientato in quest’area meglio conosciuta come la “Tierra de la Chaskañawui”. I canti e le danze dei vincitori e delle altre delegazioni ci hanno accompagnato per tutta la notte.
Sabato 17, nonostante una nottata praticamente insonne, la città era nuovamente in fermento già alle prime luci dell’alba per l’apertura della Fiera Frutticola 2012. Lungo la via principale era stato allestito un mercato variegato, formato dai tanti stand in cui agricoltori e produttori locali, appartenenti a numerose comunità, avevano esposto i loro prodotti rigorosamente biologici. Al termine della giornata una giuria ha assegnato vari premi, sotto forma di attrezzature e materiali per la produzione agricola, suddivisi in base a differenti categorie.
Come ProgettoMondo Mlal abbiamo partecipato alla Fiera a sostegno di due Organizzazioni economiche contadine con cui, grazie anche al contributo di Unione Europea e del nostro Ministero Affari Esteri, collaboriamo da anni nell’ambito del Programma “Vita campesina”: l’Asociacion Integral de Productores Archo Iris Nor Chichas (AIPAI-NCH) della comunità di Ckara Ckara, e l’Asociaciòn Central de Organizaciones Agriculas, Pecuarias y Artesanales de Nor Chichas (A-COAPA NCH).
AIPAI-NCH rappresentano di più di 150 famiglie di produttori associati ed esponevano i loro prodotti, soprattutto preparati di mais, marmellate, dolci, frutta sciroppata, frutta disidratata, distillato di pera, liquore di melograno e Singani (un distillato dell’uva bianca).
A-COAPA NCH, promuovevano i propri prodotti, soprattutto vini, bianchi, rossi, dolci e secchi, nonché liquori locali molto apprezzati come appunto il Singani.
Alla Fiera hanno partecipato anche istituzioni locali, tra cui la giunta municipale ed il governatore del Dipartimento di Potosì che hanno voluto assaggiare i prodotti dei vari concorrenti e affrontare con i produttori i problemi e le difficoltà, riscontrate in particolar modo quest’anno, soprattutto dalle forti piogge e dalle grandinate che hanno inevitabilmente intaccato la produzione locale.
Al termine della gara, la popolazione cotagaitense e tutti i rappresentanti delle varie aree del dipartimento, non si sono persi certo l’occasione di continuare la festa a oltranza, danzando, cantando e bevendo in allegria.
Io sono rientrato a Cochabamba, capitale dell’omonimo distretto, felice di aver partecipato a un evento che mi ha fatto entrare in contatto diretto con questa nuova realtà con cui dovrò confrontarmi nei prossimi mesi, la Bolivia e la sua gente.

Luca Di Chiara
Casco Bianco, progetto Bienvenidos!

mercoledì 21 marzo 2012

La viscacha della Valle della Luna

Sabato scorso, sfruttando il mio giorno libero ed ascoltando i consigli di alcuni locali, sono andato a visitare la “Valle della Luna” che rientra nel Circuito Ecoturistico e Culturale di Mallasa, comune a soli 10 km dalla città di La Paz (Bolivia). Questo sito turistico, oltre ad essere meta di turisti internazionali, è molto conosciuto tra gli Paceños (gli abitanti di La Paz) che vengono qui sin da bambini in gita e scolastica per poi tornarci con i propri figli per una gita fuori porta.
La bellezza di questa valle data dalla sua particolare conformazione rocciosa e dalla sensazione di tranquillità e pace che si respirano attraversandola, porta sicuramente la mente a pianeti lontani. Non è sicuramente l’unica valle o luogo dall’aspetto lunare, vi è una Valle della Luna in Chile nel deserto di Atacama e ricordo molto bene, per esempio, il paesaggio del Monte Teide a Tenerife, isola dell’arcipelago delle Canarie, teatro di film come “Il pianeta delle scimmie”.
Questa piccola e splendida valle però si differenzia per il fatto di ricreare un piccolo e unico ecosistema di habitat della viscacha (in italiano viscaccia) e di flora naturale con in primis il cactus. Infatti, in questa miriade di enormi stalagmiti rocciose, che vanno da un color beige chiaro al marrone più scuro fino a raggiungere in alcune parti del color rosso e viola scuro, se si è fortunati,vista la pochissima presenza, si può osservare la viscaccia, conosciuta qui anche come chinchillón. Il “Lagidium Viscacia”, questo il suo nome scientifico, è un roditore erbivoro, della famiglia Chinchillidae che vive prettamente nelle zone desertiche dell’altipiano andino e presenta una forte somiglianza con il coniglio. Si differenzia da quest’ultimo per la lunga coda e per la caratteristica del suo colore grigio e rossiccio che lo rende mimetizzabile tra le rocce in cui usualmente vive.
Non ero a conoscenza di questo buffo animale, cugino del più tristemente conosciuto Cincillà (tristemente perché conosciuto più la pelliccia che l’animale), assomigliante al coniglio ma con caratteristiche di una marmotta. Fortunatament, o per un “regalo di Pachamama”, l’ho trovato gironzolare tra queste rocce.

Vanni De Michele
Casco Bianco Bolivia
ProgettoMondo Mlal

lunedì 19 marzo 2012

Nuove Energie per Haiti. Michele Magon si presenta

Michele Magon è il responsabile del progetto "Nuove Energie" appena avviato ad Hati per aumentare le opportunità di accesso della popolazione a fonti di energia alternative. In poche righe e qualche botta e risposta si presenta.

Mi chiamo Michele Magon, sono nato a Verona nel 1977. La mia infanzia e adolescenza è stata arricchita da diversi periodi di residenza all’estero, in particolare Ecuador e Bolivia al seguito della mia famiglia. Ho terminato le scuole elementari a Riobamba (Ecuador), le scuole medie a Cochabamba (Bolivia) e mi sono diplomato a Verona. La carriera scolastica si conclude con la laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorio conseguita presso l’università di Trento.
Dal 29 giugno 2008 sono sposato con Luisa.
Le mie passioni più grandi sono la musica, in particolare la batteria che mi accompagna da ormai quasi vent’anni, e lo sport, calcio, calcio a 5 e negli ultimi 10 anni la bicicletta. Estate, inverno, caldo, freddo, per andare in centro o in ufficio, l’importante è salire in sella e magari affrontare qualche salita.


Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
ProgettoMondo Mlal è entrato a far parte della mia vita nel 2005, quando serviva manovalanza in quello che era l’ufficio rendiconti. Dapprima part-time, fino a essere impegnato a tempo sempre più pieno in seno all’ufficio progetti da una parte e all’amministrazione generale dall’altra.
Cosa ti aspetti da questa esperienza professionale?
Grazie a questi anni di collaborazione con l’Ufficio Progetti di ProgettoMondo Mlal nelle fase di gestione e rendicontazione dei progetti, è cresciuto in me il desiderio di affrontare sul “terreno” quelle attività previste, descritte e rendicontate. A dir la verità credo che il seme del cooperante sia stato piantato dai miei genitori in tempi non sospetti.
L’occasione che mi è stata offerta dal progetto Nuove Energie in Haiti costituisce per me il taglio di un traguardo, la fusione tra i miei studi e la loro realizzazione pratica.
Credo che sarà un ottimo banco di prova e di interscambio di conoscenze tra tutti gli attori protagonisti di questo progetto.
Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?
Spero di continuare a essere utile alla causa, come in questi anni, continuando a essere me stesso, con i miei difetti e miei pregi, senza voler strafare e senza pretendere di avere tutte le risposte pronte e giuste.

Nuove Energie per Haiti. Luisa Zamperini si presenta

Luisa Zamperini ha appena raggiunto Haiti insime al marito Michele Magon, per entrare a far parte dell'equipe del progetto "Nuove Energie". Brevemente si presenta.

Mi chiamo Luisa, sono nata a Verona il 28 febbraio 1978. Dopo essermi diplomata al liceo scientifico, ho deciso di continuare i miei studi presso la facoltà di ingegneria di Trento. Una volta laureata ho trovato lavoro come insegnante al centro di formazione professionale don Calabria di Verona, nel reparto meccanico.
Dal 29 giugno 2008 sono sposata con Michele.
Una delle mie grandi passioni è la pallacanestro: ho iniziato a giocare all’età di 10 anni, percorrendo tutti gli anni di giovanili fino ad arrivare in prima squadra, con il ruolo di capitano. L’altra passione è dipingere: dal 2000 partecipo a corsi per l’acquisizione di varie tecniche pittoriche e per ora quella che prediligo è la pittura a olio.


Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
Sono venuta a conoscenza di ProgettoMondo Mlal grazie a mio marito che ci lavora e con cui ho potuto condividere molte tematiche riguardanti il mondo della cooperazione. Abbiamo avuto la fortuna di visitare alcuni progetti in Guatemala nel 2002 e in Bolivia nel 2010 che mi hanno appassionata ed entusiasmata. Quando ci hanno fatto la proposta di venire a lavorare in Haiti con ProgettoMondo Mlal ci hanno letteralmente spiazzato...non ce lo aspettavamo. Quello che ci ha fatto decidere è stata la voglia di mettersi in gioco in prima persona per collaborare con culture differenti e arricchirsi vicendevolmente. Per contribuire, nel nostro piccolo, all’integrazione, alla crescita e al rispetto reciproco.
Cosa ti aspetti da questa esperienza professionale?
Da questa esperienza mi aspetto di poter dare il mio contributo nel miglior modo possibile, investendo con gioia le mie energie. Mi aspetto che sia un’esperienza positiva nella quale poter crescere sia professionalmente che personalmente. Augurandomi che il fatto di viverla anche come esperienza di coppia possa arricchirci giorno per giorno, dandoci la possibilità di trasmettere ciò che ci farà crescere a tutti quelli che vorranno.
Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?
Mi propongo di mettermi in gioco, giorno dopo giorno, cercando di non dimenticarmi di essere io la straniera in terra straniera.

giovedì 15 marzo 2012

Media e immigrazione, le parole che discriminano. Tavola rotonda all’Università di Verona

Le parole che discriminano: media ed immigrazione in Veneto”. Questo il titolo della tavola rotonda che si terrà mercoledì 21 marzo, alle 16 a Verona, in occasione della giornata internazionale Onu contro la discriminazione razziale, presso l’aula D del Silos di Ponente dell’Università degli studi di Verona in via Cantarane, 24. L’incontro, organizzato dall’Associazione Nazionale Stampa Interculturale (Ansi), gruppo di specializzazione Fnsi, con il patrocinio dell’Ordine dei giornalisti del Veneto e di Assostampa Verona, vuole essere un momento di confronto e dibattito sull’applicazione della Carta di Roma, protocollo deontologico dei giornalisti, concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
La relazione presentata dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) al Parlamento, diffusa lo scorso 8 marzo, indica nei mass-media uno dei settori in cui la discriminazione si manifesta in modo più frequente. Parole “sporche” quali «clandestino», «extracomunitario», «zingaro», «vù cumprà», secondo l’Unar, hanno assunto nell’immaginario collettivo connotazioni fortemente stigmatizzanti, attraverso associazioni di parole costantemente ripetute, contribuendo alla costruzione di stereotipi.
Su un campione di 230 segnalazioni ricevute, l’Osservatorio Antidiscriminazioni di Venezia ha rilevato, su tre quotidiani (Corriere Veneto, il Gazzettino, la Nuova di Venezia e Mestre), in un periodo compreso tra il 1 ottobre e il 30 novembre 2011, l’utilizzo, in 195 casi, di parole “sporche”. La parola «vù cumprà», nonostante sia un termine coniato dai giornalisti, continua a resistere anche in Veneto.

Ne discuteranno:
Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto,
Maria Fiorenza Coppari, vice presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto,
Paolo Dal Ben, fiduciario Assostampa Verona,
Maurizio Corte, docente di Giornalismo interculturale presso l’Università degli studi di Verona,
Beatrice Montini, co-fondatrice “Giornalisti contro il razzismo”,
Alessia Giannoni, responsabile progetti Media e Immigrazione Cospe,
Viorica Nechifor, presidente Associazione Nazionale Stampa Interculturale
Ismail Ali Farah, giornalista di Nigrizia, socio Ansi
moderati da Jessica Cugini, caporedattrice Combonifem.

mercoledì 14 marzo 2012

Cinque case per cinque famiglie

Dopo oltre cinque mesi di lavoro il “progetto Unquillo” è finalmente realtà.
Un mese fa, 5 capifamiglia donne, con i loro figli, hanno potuto finalmente entrare in casa, una casa nuova di loro proprietá. Non un regalo dello stato, naturalmente. Ma una nuova dimora che loro stesse hanno contribuito a costruire.
Il programma che ProgettoMondo Mlal e il partner argentino AVE hanno sviluppato con il Municipio di Unquillo é stato, anche dal punto di vista dell’esperienza, un esperimento importante: quello che possiamo definire con orgoglio un processo di costruzione integrale dell’Hábitat.
Integrale significa per noi “tutti insieme secondo le proprie possibilitá”. Le case infatti sono state costruite da persone comune, da muratori disoccupati formati appositamente, che dunque hanno creato il proprio gruppo di lavoro e hanno potuto svolgere un’attivitá utile a se stessi e alla comunitá.
Anche le rispettive famiglie o quelle beneficiarie delle case hanno aiutato. Queste 5 donne sole con i loro figli, ad esempio, hanno contribuito pitturando le pareti, occupandosi di dare ristoro ai muratori e creando con loro un rapporto che é andato oltre quello di contrattante-lavoratore, un legame che è stato di reale condivisione.
Il Municipio ha poi fatto la sua parte, non solo economicamente, ma mettendo a disposizione un’equipe di esperti, composta da assistenti sociali e architetti, che ha accompagnato l’opera di costruzione e assistito le singole famiglie in questo intenso processo di cambiamento di abitazione, di cambiamento di vita. Inoltre, ha offerto a persone qualificate del paese la possibilità di appropriarsi di un lavoro che ha contribuito al miglioramento della comunitá, umanamente ed economicamente.
Contenitore e volano dell’intero progetto, il Programma di cooperazione allo sviluppo “Habitando”, con in testa la ong AVE e i suoi tecnici, supportati da ProgettoMondo Mlal.
Dunque oggi le case sono state ultimate, e con tutti i servizi. Sono state consegnate alle famiglie che hanno iniziato una nuova fase della loro vita, speriamo più dignitosa e di soddisfazione anche personale.
Il processo di costruzione integrale é sicuramente più complesso di un normale iter edilizio. Prevede componenti delicate ed essenziali quali l’ascolto, la comprensione profonda delle necessitá di ognuno, e del contesto tutto. Richiede la pazienza di sapere vivere dei piccoli passi, insieme, giorno per giorno. Un processo lento, perciò, che offre però importanti risultati umani, oltre che materiali.

Nicola Bellin
capoprogetto Habitando
Cordoba, Argentina

martedì 13 marzo 2012

In natura la coca non è droga

La Paz,12 Marzo 2012. Esco di casa, e La Paz, solitamente molto caotica, è stranamente silenziosa e tranquilla. Scendendo nella via principale mi rendo conto che la città è completamente ferma, paralizzata. Si sente solo amplificata della tradizionale musica boliviana che accompagna una enorme manifestazione.
E´ in corso “La Marcha en favor de la Acullicu”. Acullicu o pijcheo è la masticazione della foglia di coca, con la relativa palla tenuta a un lato della bocca. Oggi si “marcia” per chiedere l’abrogazione della ratifica, senza riserve, della Convenzione Unica contro gli stupefacenti del 1961 dove, la coca e la sua masticazione allo stato naturale, vennero iscritte nella lista dei veleni o delle sostanze proibite.
Per il popolo boliviano tutto ciò è inammissibile, perché in questo Paese la coca è una pianta sacra, le vengono cioè riconosciute proprietà medicinali che curano il mal di stomaco e aiutano la respirazione in altitudine, e che proprio per questo motivo fa parte integrante da secoli della loro cultura.
Erano in migliaia, arrivati da ogni area del Paese per questa importante manifestazione in difesa della propria identità: associazioni di coltivatori, gruppi di rappresentanti di singole città, studenti e normali cittadini boliviani.
Tutti, con in mano un sacchetto di foglie di coca, a dimostrazione di un uso atavico e quotidiano, manifestano la loro posizione.
Camminano uniti per le vie della città e offrendo ai presenti le loro sacre foglie, al grido: “La coca en su estado natural no es droga”.

Vanni De Michele
ProgettoMondo Mlal
Casco Bianco Bolivia

lunedì 12 marzo 2012

Marocco. Immaginari e stereotipi

Che peso ha la religione in Marocco? Il Corano regola tutti gli aspetti della vita di una persona? Le donne, velo sì, velo no e perché? Come si concilia il rispetto dei diritti umani, non negoziabili e validi per ogni essere umano, con l’osservanza del testo sacro?
La curiosità degli insegnanti che hanno partecipato al corso di formazione organizzato a Verona da Amnesty Italia, il 28 e 29 febbraio, nell’ambito del progetto “Human Dignity: Strumenti e metodi per l’educazione allo sviluppo e ai diritti umani”, mette in evidenza come sia ancora sensibile il gap tra immaginario e realtà, e non pochi i preconcetti e la diffidenza verso un Paese, e i suoi abitanti, che sono il nostro dirimpettaio diretto, nonché l’area di origine della maggior parte degli alunni italiani di origine straniera. Tanto che non si sono lasciati scappare l’occasione di dibattere con Touria Bouabid, responsabile di Amnesty Marocco, invitata a raccontare la storia e l’esperienza della sezione marocchina dell’organizzazione inglese nell’Educazione ai Diritti dell’Uomo.
Touria ha spiegato come il Marocco abbia, da sempre, scelto un islam moderato quale religione di stato riconosciuta anche nella recente Costituzione del luglio scorso. “Il Corano rappresenta una fonte d’ispirazione per il corpo giuridico del Paese ma non è certo il testo che regola la vita istituzionale, politica, sociale ed economica del Regno nella sua globalità”. Non bisogna infatti, ha ribadito, far confusione tra interpretazione e applicazione letterale del Testo, la famosa Shari’a, e un rimando ad esso: il Marocco non è in questo senso l’Afghanistan dei Taliban.
Del resto il mondo musulmano troppo spesso viene pensato come un blocco monolitico privo di sfaccettature, divergenze e veri e propri scismi al suo interno. Basta aprire un atlante per capire, anche solo geograficamente, la complessità intrinseca dell’Islam: una religione che si estende dall’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico, dal Marocco all’Indonesia e alle Filippine, tra deserti, montagne, fiumi millenari e foreste tropicali.
In Marocco una pluralità di fedi sono tollerate e rispettate, la moschea può sorgere a pochi passi da una cattedrale” ha raccontato Touria, tratteggiando una realtà forse non scontata per un Paese musulmano. Le genti del Libro, le tre grandi religioni monoteiste da sempre hanno percorso le vie del Paese e vi vivono stabilmente in pace: la comunità ebraica marocchina, ingrossatasi a seguito della cacciata dei sefarditi dalla Spagna nel XV sec., era numerosissima (negli anni ‘50 molti ebrei sono emigrati in Israele) e ancora oggi gli ebrei marocchini godono di uno statuto particolare riconosciuto dalla Carta Costituzionale. Visitando le montagne intorno alla città di Béni Mellal capita di imbattersi in villaggi berberi, amazigh, dove la popolazione ricorda la bravura degli artigiani ebrei nel lavorare il legno, i metalli, i tessuti; conoscenze che si sono conservate e che tracciano una sorta di ponte ideale tra i due estremi del Mediterraneo e che sembrano quasi una dolce speranza per il futuro.
“La regola fondamentale in Marocco - ha sottolineato Touria - è non compiere pubblicamente atti offensivi nei confronti della fede islamica che possano disturbare i credenti musulmani”. Ad esempio, durante il mese sacro del Ramadan, il mese del digiuno, non è possibile cibarsi o bere durante il giorno in pubblico, a meno che non si appartenga ad una “categoria” esentata (malati, donne incinte o mestruate, bambini, anziani, persone in viaggio). Negli ultimi anni tuttavia un gruppo di giovani che si oppone all’obbligatorietà di questa regola (Mouvement alternatif pour les libertés individuelles - MALI), ha apertamente sfidato questa convenzione, punita anche penalmente con il carcere, per affermare la libertà di scelta personale di ogni individuo. Il dibattito è a tutt’oggi aperto: “l’importante - ha detto Touria - è cominciare a discutere delle rispettive idee e posizioni, questo è il primo grande esercizio della libertà”.
Tante domande, tante immagini e idee che sono cambiate, che sono rimaste, che devono ancora essere discusse. La giornata con Touria ha dimostrato quanto è importante coinvolgere i professori in prima persona nell’evoluzione delle mentalità e nella difesa dei diritti di ogni uomo. Come formatori dei giovani, è bello e importante che anche loro si pongano delle domande e che trovino qualcuno, come Touria, che può dare loro un punto di vista privilegiato.

Antonino Ferrara
Casco Bianco Marocco
ProgettoMondo Mlal

La testimonianza di Edoardo Buonerba. "Lavorare con gli adolescenti è stata scoperta e crescita"

Edoardo Buonerba, originario di Nettuno (Roma), 26 anni, ha da poco concluso il suo anno di Servizio Civile per ProgettoMondo Mlal in Guatemala. Qui fa il punto su quella che è stata la sua esperienza in Guatemala all’interno del Progetto educativo Edad de Oro- Montecristo.

"Avevo conosciuto l’opportunità del servizio civile nel 2009. Impegni di studio non mi hanno permesso di fare domanda ma ho continuato a interessarmene. Così il bando del 2010 è uscito proprio al momento giusto: laureato in specialistica e occupato solo in esperienze di breve periodo. Tra i vari progetti sono stato attento a selezionare quelli che comunque potessero rappresentare ideologicamente una linea di raccordo con quanto studiato a Gorizia: progetti che si dedicassero al microcredito e alla cooperazione economica. Tra tutti, due avevano richiamato la mia attenzione: Nicaragua e Guatemala, entrambi di ProgettoMondo Mlal di Verona. Credo sia stato per ragioni di maggiore problematicità del secondo Paese che ho optato per questo.
Il progetto in Guatemala prevedeva sulla carta il sostegno a una cooperativa di microcredito per giovani agricoltori che aveva avuto infatti un momento di particolare splendore nel periodo prima e durante le violenze nel Paese, offrendo corsi e aiuto cooperativistico ai propri soci in un momento in cui qualsiasi mano tesa alle popolazioni indigene era perseguibile dai militari.
La maggior parte dei soci è però nel frattempo scappata dal Paese o è deceduta nel periodo delle violenze e la cooperativa al giorno d’oggi necessiterebbe nuova linfa e un rilancio nella sua attività. Anche se negli ultimi anni ha sempre avuto un ruolo importante all’interno della società, sostenendo indirettamente le necessità delle scuole elementari del distretto: lavori infrastrutturali, maestri di sostegno, etc. Da questa sensibilità nei confronti della scuola, e dall’importanza data all’educazione come fattore dello sviluppo, nasce l’idea di creare, in una zona rurale vicina alla città di Chimaltenango, un centro educativo. Grazie poi al sostegno di fondazioni italiane amiche e al finanziamento dell’Unione Europea, viene costruito il Centro Monte Cristo che apre le proprie porte nel 2003. Ed è così che al giorno d’oggi, io mi sono ritrovato in un progetto educativo che nulla ha più a che vedere con il microcredito.
Il Centro Montecristo è dunque innanzitutto una scuola media, a 7 chilometri dalla città, in un territorio che non dava opportunità di studio ai ragazzi usciti dalle scuole elementari.
Qui i figli degli agricoltori non hanno le possibilità materiali di poter fare qualcosa di diverso nella vita. Per questo il progetto, oltre ad essere una scuola, offre laboratori tecnici che possano insegnare non solo un’agricoltura più ecologica e remunerativa, ma anche falegnameria, sartoria e cucina. A questo si aggiunge una particolare sensibilità ai temi della salute e del benessere, attraverso l’insegnamento e anche una piccola clinica medica al servizio delle comunità circostanti. Insomma, un progetto dai mille aspetti, che si prende cura dell’apprendimento dei ragazzi, ma anche dei valori: l’uguaglianza di genere, il benessere comunitario, il rispetto della propria cultura e della propria religione.
Il progetto promosso da ProgettoMondo Mlal grazie a un cofinanziamento dell’8 X mille, e della durata di 2 anni, prevede specificatamente un intervento nelle scuole elementari delle comunità circostanti Monte Cristo. Tra le attività garantite, un controllo dello stato di salute di tutti gli studenti e dei bambini tra gli 0 e i 5 anni delle comunità, interventi strutturali nelle cucine delle scuole per garantire migliori condizioni di lavoro e igieniche, formazione alle cuoche al fine di preparare pasti equilibrati e formazione ai maestri perché possano sensibilizzare le comunità sul problema. Infine si interviene anche con l’implementazione di frutteti e di orti scolastici per garantire il fabbisogno e la riduzione del problema dell’acqua che affligge diverse comunità.
Personalmente ho avuto un ruolo attivo in ognuno di questi ambiti: sono stato educatore all’interno di attività scolastiche, in occasione delle elezioni studentesche e con un laboratorio di cucina, oltre all’appoggio per eventi vari.
Non nego di aver anche giocato a pallone con i ragazzi durante gli intervalli!
Sono stato in visita alle varie comunità, per le riunioni con maestri e personalità delle varie località. Ho raccolto i dati necessari allo studio nutrizionale nelle venti comunità interessate e collaborato nelle giornate di salute organizzate dal Centro. Sono poi stato dietro alle necessità di comunicazione con l’Italia: sulle attività del progetto, sulla situazione politica guatemalteca e sulle pratiche del Sostegno a distanza che Mlal promuove in Italia a favore del progetto.
Sono infine stato più volte autista e incaricato una volta a settimana della spesa e delle altre necessità del Centro in città.
Ciò non toglie che in un anno ho avuto anche modo di pitturare, dare da mangiare alle galline, spennarle, piantare caffè e spostare legna.
Insomma, davvero ho fatto un po’ di tutto.
Una piacevole sorpresa per me è stato il gusto di lavorare con ragazzi adolescenti.
Ero molto spaventato all’inizio, perché mi consideravo lontano dall’educazione e pensavo sarebbe stato uno sforzo enorme. Invece, vedendoli mi sono ricordato quanto è bella la loro età e come ero io all’epoca delle medie. E’ stato tutto più facile, ed è stato per me la vera motivazione per completare l’anno di Servizio, sopportando anche momenti o condizioni difficili.

Che il Guatemala fosse un Paese difficile, lo sapevo. Ha alle spalle un lungo scontro tra i detentori del potere politico, economico e militare e le popolazioni indigene, piena di violenze e zone d’ombra. Le principali famiglie del Guatemala sono discendenti dei coloni spagnoli, posseggono la maggior parte delle terre e delle risorse economiche. Le violenze erano strumentali alla salvaguardia di questo sistema iniquo: contro l’educazione e la formazione delle popolazioni indigene e soprattutto contro quella rivoluzione agricola che si era auspicata nel secondo dopoguerra. Gli episodi che ancora oggi ti raccontano sono purtroppo raccapriccianti: parlano di camionette militari arrivate nei villaggi per sparare sulla popolazione; parlano di capifamiglia a cui venne tagliata la testa e impalata, come monito alle comunità; parlano di fenditure naturali del terreno nella regione del Quiché riempite di cadaveri e di persone scappate in Messico; ma soprattutto parlano di ex-militari che al giorno d’oggi vincono ancora le elezioni presidenziali.
Né è stato fatto alcun lavoro di comprensione di quegli avvenimenti: la necessità più grande, dopo gli accordi di pace del ’96, è stata quella di dimenticare il prima possibile.
Di questi avvenimenti, stando un periodo in Guatemala, se ne sente parlare. Anche io ho avuto testimonianze da parte della famiglia del progetto che, come ho detto, rischiava la propria vita per dare la formazione agli agricoltori e l’educazione ai bambini delle comunità. Una fonte incredibile di queste storie è stato don Manuel: abbandonò la sua fattoria rifugiandosi con la sua famiglia in Messico ed è tornato 10 anni fa, nella stessa fattoria, ricomprandola nuovamente.
Al giorno d’oggi porta avanti una produzione agricola autosufficiente interamente organica. Si può stare con lui ore, ascoltando queste storie, senza stancarsi, ma disilludendosi un poco dell’umanità, questo sì.
Un aspetto che spesso è difficile da immaginare prima di partire è la solitudine a cui si va incontro in un’esperienza simile, e credo che per un volontario in Servizio Civile sia necessario alla fine trovare un punto di appoggio.
Soprattutto all’inizio, il Progetto è soprattutto la stretta realtà del volontario, 24 ore al giorno. Al di fuori si può cominciare con il conoscere la signora che vende il pane, il proprio barbiere. Ma mancano quelle relazioni più strette di cui avere fiducia.
Io ho avuto la fortuna di avere, soprattutto all’inizio, una valvola di sfogo in due volontarie che si trovavano a 5 minuti da casa.
Poi nel tempo ho stretto molto i rapporti con tre – quattro persone all’intero del progetto, con cui ho potuto sempre confidarmi in piena fiducia. Alla fine dell’anno, ho confermato la mia amicizia con quelle tre o quattro persone, di avere nel frattempo stretto dei rapporti forti anche al di fuori del progetto e di aver anche saputo costruire un’amicizia buona col mio compagno di avventura, con il quale abbiamo vissuto anche momenti difficili, ma credo sia una tappa normale in una convivenza forzata.
Al giorno d’oggi, posso dire di poter tornare in qualunque momento in Guatemala e di trovare un gruppo di solidi amici. Il Guatemala è un paese che ha un patrimonio artistico, culturale e naturalistico impressionante. So di aver descritto una realtà sociale molto difficile, ma la gente è comunque molto ospitale e la rete turistica è ben organizzata e sicura. La cultura maya ha segnato questo territorio e non si può non rimanere estasiati. E’ un peccato che i nostri turisti si limitino ai territori battuti della costa messicana e non scendano un po’ più a sud!
Infine, grazie anche a questa esperienza di volontariato, sono entrato a fare parte della Consulta del Servizio Civile, che è un organo all’interno del quale sono rappresentati i volontari, gli enti che propongono i progetti e lo stesso Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. Un organo di puro carattere consultivo, ma importante foro di discussione di tematiche, dalle più generali come i tagli previsti ai finanziamenti alle più specifiche, come ad esempio segnalazioni di progetti che hanno problemi".

Prima di ripartire per una nuova esperienza all’estero Edoardo ha raccontato la sua esperienza alla rivista universitaria con la quale collabora da anni, Sconfinare.

mercoledì 7 marzo 2012

Investi in una donna del Sud del mondo. Un modo diverso per celebrare l'8 marzo

Il sociologo veronese Enzo Melegari, ex volontario e presidente Mlal scomparso nel 2002, sosteneva che la cooperazione allo sviluppo è Donna, perché è femminile lo spirito con cui ci si “fa carico”, si “sta dentro le cose”, si “cura la crescita” e lo sviluppo di un figlio, di un Progetto, di un’idea.
Un’immagine senz’altro originale che trova ulteriore conferma nei dati ProgettoMondo Mlal del 2012. Nei nostri progetti all’estero sono infatti impegnate 21 volontarie donne contro 14 uomini. E tra gli operatori che lavorano in Italia per gestire e coordinare i progetti nel Sud del mondo, c’è una forte prevalenza femminile: 12 donne contro appena 6 uomini.
Anche rispetto ai temi d’intervento, ProgettoMondo Mlal con i suoi oltre 30 progetti in America Latina e Africa è da sempre al fianco delle donne e delle problematiche legate alla questione di genere.

Così per l’8 marzo l’Ong veronese lancia un modo diverso per celebrare la festa della donna, come un gesto significativo e concreto.
Scegliendo tra 9 progetti che valorizzano il ruolo e lo sviluppo delle donne, in settori come agricoltura, artigianato e istruzione, affiancando l’impegno locale contro lo sfruttamento della prostituzione e ogni tipo di discriminazione di genere e di etnia, sarà possibile contribuire al processo di cambiamento del ruolo della donna in America Latina e Africa.

Tra i progetti a tutt’oggi in corso, proponiamo di aderire a: Mamma! in Burkina Faso, a sostegno dello sviluppo delle madri e per la nutrizione dei bambini; La Forza delle Donne in Marocco per garantire la formazione delle associazioni femminile; Donne Migranti in Perù, sul ruolo della donna come soggetto protagonista dei processi migratori; Qalauma, Giovani trasgressori in Bolivia per garantire i diritti delle adolescenti detenute; Vita Campesina in Bolivia, per la promozione di nuove opportunità economiche, produttive e sociali di cooperative di donne; Edad de Oro in Guatemala per il recupero della cultura Maya e per lo sviluppo delle comunità scolastiche;Futuro Giovane, per le imprenditrici del Nicaragua e per potenziare il lavoro delle operatrici italiane nella pianificazione e gestione dei progetti di microcredito, Piatto di Sicurezza, per la sicurezza alimentare ad Haiti post-terremoto, per le studentesse di medicina della Scuola di formazione della dottoressa Chiara Castellani in Congo, per la crescita professionale delle giovani detenute di Vita Dentro in Mozambico .

Versando un contributo libero una tantum o “adottando a distanza” per 1 anno una di queste donne, si parteciperà in prima persona alla realizzazione di un vero e proprio progetto di cooperazione internazionale allo sviluppo e si verrà aggiornati periodicamente sul suo andamento e i suoi risultati.

Per avere informazioni: scrivere all’Ufficio Solidarietà: sostegno@mlal.org - telefonare allo 045 8102105.

martedì 6 marzo 2012

Borghezio non vede la realtà. La cooperazione impegna giovani e imprese

“Borghezio applica categorie strumentali a una visione chiusa della realtà, che non hanno sbocchi né culturali né politici”. É il commento, secco, del presidente di ProgettoMondo Mlal, Mario Lonardi, sulle recenti dichiarazioni rilasciate da Mario Borghezio durante un'intervista radiofonica al giornalista Klaus David.
Stimolato a intervenire sul caso della giovane donna sarda, Roessella Urru, rappresentante del Comitato Italiano dei Popoli rapita in Algeria nella notte fra il 22 e il 23 ottobre dello scorso anno, l'eurodeputato della Lega Nord si è lasciato andare ad affermazioni violente sul mondo della cooperazione, definendola "moda radical chic" inventata da un certo "catto-comunismo" italiano e da un certo cattolicesimo "che ama autoflaggellarsi sulle colpe dell’Occidente" nei confronti dei Paesi del Terzo Mondo.
“ProgettoMondo Mlal opera in Marocco, che confina proprio con l'Algeria, tuttavia ha ben presente quanto siano vivi e propositivi i movimenti interni alla Primavera araba. Prova ne è l'interesse che dimostrano i nostri Paesi per il clima di cambiamento in atto, e le stesse imprese che spingono per investire in questi territori, anche sostenendo progetti di cooperazione. Ed è comunque fuori di ogni logica dire che i programmi di cooperazione sperperino denaro. Sappiamo tutti che dietro a un’alleanza tra Profit e No Profit c’è necessariamente un riconoscimento di validità, serietà e utilità a tutto tondo, rispetto alla sfida sul tappeto”.

A confermare quanto la cooperazione sia piena di risorse e di energie pronte a mettersi in gioco per relazionarsi e allungare una mano all'altra parte del mondo, sono poi anche i giovani che, ogni anno, si candidano a migliaia, e non solo come scelta etica, a fare un’esperienza professionale all’estero: disposti a lasciare tutto per andarsi a cimentare, almeno per la durata di un anno, in contesti socialmente non sempre semplici e comunque culturalmente molto diversi.
Come i nostri 13 caschi bianchi, selezionati per il servizio civile 2012, e in partenza in questi giorni per Bolivia, Perù, Nicaragua, Marocco e Mozambico. Nel video qui sotto, uno dopo l'altro, si presentano sinteticamente prima della partenza.

venerdì 2 marzo 2012

L'8 marzo, per il diritto della donna in Marocco

Lavorare sui Diritti Umani in Paesi come il Marocco, significa fare crescere il pensiero politico ma contemporaneamente anche nutrire il cuore della gente”.
Questo, in estrema sintesi, l’impegno che Amnesty International si è assunto dal 1994, anno in cui ha cominciato a lavorare nel Paese del Maghreb. Dopo gli anni bui della precedente monarchia retta da Hassan II, il cammino fatto negli ultimi vent’anni in Marocco è infatti significativo. Touria Bouabid, responsabile dell’Educazione ai Diritti Umani per Amnesty International nel Paese, si dice convinta che da allora siano stati compiuti passi da gigante. “I primi tempi – confessa- anche per noi non sono stati facili. Ogni nostra attività di studio o di ricerca in materia di Diritti Umani veniva vissuta come una minaccia, quando non addirittura come pericolosa. Per questo – spiega nel corso della sua visita in Italia, ospite di un seminario promosso da Amnesty International a Verona – abbiamo voluto, con il nuovo corso inaugurato da Mohamed VI, dare fiducia al nuovo clima di cambiamento e privilegiare la sensibilizzazione e l’accompagnamento delle esperienze esistenti nella società civile piuttosto che limitarci allo studio e monitoraggio!”.
Ed è appunto su questa vision che è stato costruito il Progetto La Forza delle Donne, promosso da ProgettoMondo Mlal in partnership con Amnesty Marocco. “La donna – come spiega Touria Bouabid - è infatti il soggetto indubbiamente più vulnerabile della società marocchina. Un tasso di analfabetismo del 50% implica in che misura sia ancora fortemente discriminata per quanto riguarda il suo ruolo nella società, la sua capacità economica e politica, la parità di genere”.
Senza contare che la situazione politico sociale ed economica di un Paese come il Marocco, seppure in movimento, rimane una realtà in via di sviluppo, dunque con gravi carenze e fragilità. Donne senza difese e senza rete, che verranno appunto coinvolte ora nel Progetto La Forza delle Donne.
Ma ogni situazione richiede approcci e tecniche diverse. E costruire gli strumenti necessari nel campo dei Diritti Umani non è mai facile. A queste donne, il Programma cofinanziato dall’Unione Europea, ritiene dunque prioritario dedicare soprattutto un’attività di formazione. Spazio privilegiato di questo intervento rimane, ancora una volta, il mondo della scuola, perché è qui che si concentrano target diversi (alunni, educatori, moltiplicatori, istituzioni), ed è qui che l’attività di formazione, se adeguatamente mirata, può coinvolgere la società civile nel suo insieme”.
Le iniziative, in programma per i prossimi 3 anni, sono indirizzate alla singola donna come a 60 Organizzazioni femminili espresse dalla società civile marocchina nelle città come Rabat e Casablanca, ma soprattutto in realtà rurali come le province di Beni Mellal, Khouribga e Meknes. “In questi vent’anni anche le associazioni femminili hanno fatto grandi cose –conferma la rappresentante di Amnesty International Marocco -. A partire dal 2004, con le iniziative che hanno portato poi alla revisione del Codice della famiglia, fino allo scorso luglio con la riforma della Costituzione e l’introduzione di nuovi articoli dedicati appunto al riconoscimento del nuovo ruolo della donna in Marocco”.

Donne più consapevoli, dunque, che, forse per la prima volta nella storia del Paese, hanno aderito in numero così massiccio alle manifestazioni di piazza della cosiddetta Primavera araba: “A parte alcuni casi iniziali di repressione violenta da parte delle forze dell’ordine, e che abbiamo immediatamente denunciato come Amnesty – dice Touria Bouabid- Stato e monarchia si sono mossi con intelligenza, riuscendo a convincere il proprio popolo che le cose possono cambiare anche senza rivoluzioni cruente”.
Anche in virtù di questa reciproca fiducia, in questi mesi le donne non hanno rinunciato a fare sentire la propria voce e continuano a manifestare pacificamente.
E con il Programma La Forza delle Donne, ProgettoMondo Mlal e Amnesty International vogliono fare sapere di essere al loro fianco.


Per l’8 marzo, dai Forza alle Donne e sostieni l’impegno di un’associazione marocchina
Versamenti su Banca Popolare Etica
IT 71 F 05018 12101 000000 513260