mercoledì 24 agosto 2011

"Romanzo di frontiera", di Azzurra Carpo

Azzurra Carpo, antropologa, ha un passato di cooperante per la nostra organizzazione in Perù, dove ha coordinato un progetto nato per garantire un possibile sviluppo alla comunità indigena degli Shipibo che risiede nella foresta amazzonica, con particolare attenzione alle donne.
Da questa esperienza ha scritto due libri: “Una canoa sul Rio delle Amazzoni” e “In Amazzonia”, uscito per la collana Traveller di Feltrinelli.
Romanzo di Frontiera” è l’ultima pubblicazione della Carpo, che attualmente vive a Madrid.
Un Romanzo edito Albatros che tratta del corpo della donna, nella nostra epoca globalizzata.

Dal retro di copertina, scaricabile qui per intero:
Corpo di donna, da sempre ispirazione e splendore dell’arte. Corpo di donna, cittadina, professionista, figlia, sorella, moglie, madre, amata amante, primavera vitale. Tenerezza. Ma anche, corpo di donna, sulla bilancia del Potere nel mondo degli affari, nella tratta internazionale dello schiavismo e del turismo sessuale. Corpo di donna, sul piatto asimmetrico dei rapporti di Potere tra persone del Nord e persone del Sud, in questo particolare momento storico di trasformazioni globali, di nuove paure e di antichi Muri. Ma, pur sempre e nonostante tutto, corpo di donna, indicatore della qualità democratica di una società e di un’epoca, seducente Potere di Vita, Bellezza e fonte di Musica”.

martedì 23 agosto 2011

Villa 31 esce dai margini. E il nuovo Barrio sarà per chi lo abita

Ricordo un film in cui un ragazzo prendendo un treno dalla stazione di Retiro a Buenos Aires, dal finestrino osserva il quartiere Villa 31 e le persone che lo abitano. Persone di cui la società ha bisogno ma che nonostante questo continuano a essere tenute ai margini. Nel film il ragazzo pensava che la situazione non sarebbe mai cambiata. Ma per fortuna ci sono momenti, pur se rari, in cui le cose mutano davvero. E per il meglio.
Villa 31 è una villa miseria, come vengono chiamate le favelas in Argentina, costituitasi a partire dagli anni ’30 al lato della stazione ferroviaria di Retiro e cresciuta moltissimo negli anni, fino a contare i 30mila abitanti di oggi. Si tratta perlopiù di immigrati in cerca di lavoro e di maggiori possibilità in città, ma anche di cittadini che non hanno le condizioni minime per accedere ad altri quartieri.
Dopo un lungo periodo, finalmente si stanno muovendo i primi passi verso l’urbanizzazione delle Villas 31 e 31bis che diventeranno Barrio Mujica: un unico quartiere che prenderà il nome dal sacerdote assassinato per la sua determinazione, a partire dagli anni ’60, nello schierarsi a favore della fascia più povera e vulnerabile della società.
Grazie allo sforzo e all’attivismo di molte persone e organizzazioni della Villa, e grazie alla legge 3343 del 2009, oggi può iniziare un processo di urbanizzazione partecipativa che ha per protagonisti gli stessi abitanti del quartiere.
Si tratta in sostanza di permettere alle persone di lavorare per sistemare la loro casa e il luogo in cui vivono, attraverso un processo di habitat sociale che pone al centro l’uomo e le sue necessità, e che dà il via a una possibile uscita dalla situazione di marginalità che vivono certi quartieri.
Il progetto di legge prevede in 5 anni un censimento della popolazione della villa con registrazione catastale, il ricollocamento del 30 % delle case per l’ampliamento delle strade e l’installazione dei servizi basici. Inoltre, con questa legge si pone fine agli sfratti forzati che hanno caratterizzato la storia della villa e costituiscono una minaccia costante per la popolazione da parte del governo della città.
Non sarà semplice trovare un accordo su come deve essere il quartiere coinvolgendo tutte le persone che partecipano al “tavolo di discussione partecipativa” nel governo della città. Quello che è certo è che si cominciano già a vedere alcuni cambiamenti: le facciate delle case colorate, le strade più larghe per lasciare passare le macchine e gli autobus, piazzette e campi sportivi. Cambiamenti che molti definiscono “di facciata”, ma che sicuramente cambiano un po’ il volto della villa e cominciano a farla lentamente uscire “dai margini”, mentre gli abitanti e le organizzazioni aspettano di poter migliorare il proprio quartiere definendo diritti e doveri di chi lo vive.
Questo momento storico per gli abitanti della Villa e per le organizzazioni che ne hanno sostenuto i diritti può rappresentare un esempio per altre realtà, e accompagna un processo attivo anche in altri paesi, come il vicino Brasile.
Dare dignità alle persone e cercare di creare una possibile forma di integrazione tra gli abitanti che partecipano attivamente al processo, è un esempio che può servire da stimolo anche in Italia, dove si stanno formando situazioni di segregazione, con quartieri ai margini della città popolati da immigrati e famiglie colpite dalla crisi economica che non riescono più a pagare gli affitti.

Francesco Venturin,
casco bianco ProgettoMondo Mlal in Argentina

venerdì 19 agosto 2011

Brasile, istruzione e privilegi.

“La scuola rischia di chiudere almeno per tutta la prossima settimana…” ci dice la vicedirettrice della scuola superiore Argentina Castello Branco, accogliendoci sulla soglia semi-allagata dell'edificio: “Ci sono dei fili elettrici scoperti e può essere pericoloso”.
La “Argentina Castello Branco” si trova dirimpetto alla favela di Guadalupe, una delle più grandi della città di Olinda, accanto a un complesso militare. Molti degli alunni di casa Melotto vivono in questa zona, e il pomeriggio frequentano le lezioni alla Argentina.
E' così che comincia il nostro viaggio all'interno del sistema di istruzione superiore pernambucano, che si snoda in queste settimane nelle diverse scuole convenzionate col Progetto Casa Melottoedifici diroccati, con grandi stanze dal soffitto alto, grate di metallo alle finestre, pozze d'acqua e fili scoperti.
Scopo del Progetto è proprio quello di colmare le lacune dell'istruzione pubblica di cui stiamo testimoniando in queste settimane, offrendo a ragazzi dotati di buone capacità e di volontà il sostegno culturale ed educativo necessario a entrare all’università, passando la prova del Vestibular, il test di ammissione molto arduo in cui vengono richieste conoscenze generali.
Come ci confermano da più parti, genitori e professori, il sistema di istruzione superiore brasiliano è purtroppo ricco di difetti: carenza di professori, scarse motivazioni, strutture fatiscenti, mancanza di fondi...
Noi stessi, quindi, ci rendiamo facilmente conto dell'importanza che Casa Melotto riveste per i ragazzi che la frequentano: si tratta di studenti le cui famiglie non hanno la possibilità economica di permettersi studi in scuole private, le uniche che garantiscano un accesso universitario praticamente sicuro.
I ragazzi che provengono da contesti di povertà e disagio sono infatti drammaticamente costretti a restare nel limbo dell'istruzione pubblica, consci che il diritto a un livello di istruzione più elevato è loro negato. Le conseguenze ideologiche di un tale sistema sfociano, sostanzialmente, nel concetto che “chi nasce povero deve restarlo”. Insomma, come ci confessa Thais, una studentessa del terzo anno, quando si ha la favela come background l'idea di poter affrontare gli studi di medicina è inconcepibile: molto più logico andare a vendere popcorn e bibite per strada. Nonostante i provvedimenti, perlopiù palliativi, adottati dal governo Lula in questo campo (come l'istituzione di alcune quote universitarie riservate a studenti provenienti dai licei pubblici), l'accesso alle università è ancora quasi un'esclusiva per coloro che provengono da istituti privati.
E tuttavia, il dato più importante che emerge dalle nostre visite, ci viene fornito da un preside che confessa come, oltre il 50% dei suoi ex-studenti in grado di passare il Vestibular, è stato a suo tempo alunno di Casa Melotto. Il diritto all'istruzione, nel Brasile di oggi, un Paese in pieno sviluppo economico, è ancora un traguardo raggiungibile da una minoranza.

Marta Pontoglio
Casco Bianco
ProgettoMondo Mlal Brasile

mercoledì 17 agosto 2011

Attori e protagonisti a Casa Melotto

Il venerdì a Casa Melotto è solitamente dedicato ad attività alternative. In questo primo venerdì di agosto, sono quindi stati messi da parte dibattiti e power-point per godere di una visita speciale, tutta italiana.
Benedetta Comito, promettente artista della scena teatrale romana in viaggio nelle terre Nordestine, ha infatti voluto dedicare una mattinata ai ragazzi del progetto, offrendo le sue conoscenze, l’esperienza accumulata negli anni e gli studi più recenti di recitazione.
La sua passione per il teatro è nata proprio quando Benedetta aveva l’età di questi ragazzi, nel periodo del liceo, durante cui, ancora adolescente, ha iniziato a partecipare ai laboratori offerti in una cittadina della provincia romana da Valentina Esposito della compagnia teatrale “Enrico Maria Salerno”. Da lì è poi iniziato un percorso di crescita professionale, fino alle recenti esperienze di assistente fatte nella scuola “Acting Training” di Beatrice Bracco.
La consapevolezza dell’artista rispetto all’urgenza che si prova, proprio a questa età - periodo determinante nella crescita individuale- di potersi e sapersi esprimere, così da dare voce e movimento alle proprie energie e fantasie, ha contribuito a creare subito tra Benedetta e i ragazzi di Casa Melotto una forte intesa, con la quale sono state facilmente superate barriere linguistiche e culturali, e si è riusciti a portare alla luce alcuni talenti nascosti e a condividere pensieri e sentimenti molto personali.
Tra i vari esercizi, di rilassamento, di immedesimazione e di immaginazione, l’attività che ha riscosso piú successo tra i ragazzi è stata quella delle improvvisazioni in cui, i ragazzi divisi in gruppi, erano chiamati interpretare una parte in una situazione reale, basata su una giornata tipica all’interno di Casa Melotto. Tale rappresentazione ha scatenato l’entusiasmo e il senso dell’humor di tutti, contribuendo alla drammatizzazione di episodi esilaranti ed emozionanti allo stesso tempo.
L’esperienza positiva di questa giornata, é stata apprezzata anche dallo staff del Progetto.
Tanto che, dalla collaborazione tra noi Caschi Bianchi e l’assistenza Pedagogica, è nata l’idea di un ciclo di giornate dedicate allo sviluppo delle capacità artistiche degli alunni.
E, in questo Pernabuco dai mille colori, le arti da sviluppare non mancano. Si prospettano all’orizzonte mattinate dedicate al maracatú, alla capoeira, alle percussioni, al teatro de roda (teatro di strada), al canto e chi piú ne ha piú ne metta!

Federica Vitello
Casco Bianco Brasile

venerdì 12 agosto 2011

In Guatemala per il diritto alla salute

In Guatemala il diritto alla salute non è affatto scontato e, di conseguenza, in pochi possono vantare una buona salute. Il paese registra un amaro primato, il maggior tasso di denutrizione cronica di tutto il continente sudamericano e, come spesso accade, le fasce più colpite sono le donne e i loro bambini. Ecco perché il Centro di Salute realizzato al centro Monte Cristo, dove ProgettoMondo Mlal ha in fase di realizzazione il programma “Edad De Oro”, è uno spazio strategico e fondamentale per tenere sotto controllo salute e crescita di bambini e adolescenti, e quindi delle famiglie di ben 51 comunità della regione di Chimaltenango.
Nelle zone rurali che popolano la regione di Chimaltenango si registra una totale mancanza di assistenza sanitaria e quindi la disponibilità del Centro a fornire medicinali e a monitorare periodicamente le condizioni sanitarie degli abitanti risulta fondamentale.
In particolare, in questi contesti si assiste a una diffidenza generalizzata nei confronti delle strutture sanitarie, sicuramente a causa della scarsa conoscenza della materia e della difficoltà di accesso alle cure mediche di base. Motivi economici, ma non solo: anche questione di mentalità, scarsa sensibilità e attitudine al tema salute.
Lo scorso marzo io stesso ho accompagnato l’equipe del Centro Monte Cristo al paesino limitrofo di Paxorotot per una giornata dedicata a visite mediche gratuite, offerte dalla cooperativa Kato Ki.
Allo sportello sanitario si sono presentate un’ottantina di persone, per grande maggioranza adulti, con una leggera delusione da parte dello staff medico che si aspettava invece una maggior partecipazione dei bambini.
Secondo l’ordine di arrivo, le persone sono state registrate allo sportello e poi visitate dall’infermiera del centro che ha preso nota di età, altezze, pesi, frequenze cardiache e pressione. In seguito i pazienti sono stati sottoposti a una visita più approfondita con uno dei tre dottori presenti – due del centro Monte Cristo e un altro della zona – e infine invitati a ritirare i rispettivi farmaci, anche questi registrati in uscita.
Le visite sono state intense, dalle 9.30 fino alle 16, con mezz’ora di pausa pranzo. I medici hanno riscontrato negli adulti problemi gastrici, articolari e dermatologici (questi ultimi legati all’esposizione ai fertilizzanti usati nei campi). Nei bambini problemi respiratori e infezioni intestinali, dovute sicuramente alle condizioni igieniche non ottimali. Importante da segnalare che a molte mamme in allattamento sono state date vitamine perché presentavano un alto tasso di denutrizione. Una mamma, per fortuna unico caso, aveva addirittura perso i denti per mancanza di calcio. Altro problema riscontrato nella zona attribuibile al problema alimentare è l’alto numero di aborti naturali che spesso porta a profonde infezioni. Sono infatti rare le donne che in seguito all’aborto si recano in ospedale per farsi curare.

Edoardo Buonerba
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal in Guatemala

giovedì 11 agosto 2011

Pampas sconfinate, ma non per gli argentini

Come altri paesi latinoamericani, l’Argentina soffre oggi il cosiddetto “neocolonialismo”, ossia un "controllo indiretto" delle economie e delle risorse da parte dei paesi del Nord-America e dell’Europa. Il territorio argentino è infatti ricco di risorse naturali (acqua, minerali, terra) e circa il 10% di esso, secondo la Federazione Agraria Argentina, è in mano a stranieri.
Nel Paese delle pampas sterminate, paradossalmente, il più grande problema della gente è proprio l’accesso alla proprietà della terra, tema che influenza vari ambiti della vita degli argentini e trasversalmente attraversa il paese a tutte le latitudini: si tratti della soia nel nord argentino, delle miniere a cielo aperto nella zona della Cordigliera delle Ande, o delle vaste estensioni della Patagonia. Su quest’ultima zona pesa anche il nome dell’Italia. Il maggior proprietario terriero del paese è infatti un gruppo italiano, i fratelli Benetton, sbarcato in Patagonia negli anni ’90, in pieno periodo menemista (periodo di grandi liberalizzazioni).
Oggi il gruppo possiede 900 mila ettari ed è tra i maggiori allevatori di pecore e produttori di lana dell’Argentina. Secondo le varie organizzazioni mapuche patagoniche, oltre ad allevare pecore e contribuire alla riforestazione della zona, i Benetton avrebbero in qualche modo approfittato delle risorse senza preoccuparsi troppo delle comunità indigene, delle loro case e dei loro posti di lavoro.
Tema molto attuale, questo, in Argentina dove, proprio nel marzo scorso, e poi di nuovo ad agosto, la Benetton ha avanzato un ricorso contro la comunità indigena mapuche Santa Rosa, che aveva rioccupato un terreno nel 2007 dichiarandolo territorio recuperato. Ora queste famiglie vivono con la paura di dover abbandonare il posto, lasciare le loro case e ritrovarsi a vivere nei quartieri poveri delle città vicine, aggravando già la precaria situazione abitativa dell’area.
Questa è solo una delle tante situazioni che si ripercuotono nella zona e che contrappongono i diritti dei popoli originari difesi per legge (Ley Nº 26.160) agli interessi privati. In tutto il territorio argentino molte famiglie di contadini rivendicano l’accesso alla terra per l’agricoltura, circa 500mila secondo il Movimiento Nacional Campesino Indígena.
Più di 10 progetti di legge sono in questo periodo in discussione nel Congreso de la Nación e puntano a difendere le zone di frontiera e le risorse naturali presenti nel territorio. Il presidente dell’Argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha annunciato, forse anche in vista delle imminenti elezioni, che il tema della terra sarà trattato a breve con l’obiettivo di regolarizzare la vendita della terra a stranieri senza compromettere obiettivi di sviluppo strategico nazionale. Si prenderà esempio dalle politiche adottate in Brasile dal presidente Luiz Ignacio Lula da Silva, che regolano le vendite di terra a proprietari stranieri.

Francesco Venturin
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Argentina

mercoledì 10 agosto 2011

La polizia contro gli studenti cileni

La scorsa settimana a Santiago del Cile è stata duramente repressa, con centinaia di fermi e arresti, un’altra manifestazione indetta dai movimenti studenteschi che, da mesi ormai, chiedono con forza “un’educazione pubblica gratuita, di qualità e accessibile a tutti”. Concretamente i giovani cileni premono perché il governo modifichi l’attuale proposta di riforma del sistema educativo in termini di garanzia costituzionale e di qualità dell’insegnamento, vieti le forme di lucro vigenti nelle università private e favorisca invece il ritorno a un’amministrazione del sistema educativo a livello statale.
Il pesante intervento delle forze dell’ordine sui manifestanti ha suscitato profonda indignazione negli altri Paesi dell’America Latina e risvegliato l’incubo, ancora impresso nelle popolazioni sudamericane, della repressione indiscriminata vissuta negli anni delle dittature militari.
Sulla base degli ultimi dati, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico Ocse) afferma che nelle scuole del Paese si vive tutt’ora una forte segregazione sociale e che l’educazione risulta molto classista.
L’indice Duncan che misura il grado si separazione sociale nelle scuole -e secondo il quale 01.00 = segregazione- in Cile é dello 0.68, contro una media dello 0.46 che, nei Paesi del nord Europa, scende allo 0.35. Un tasso che –dicono gli osservatori internazionali- misura quanto, rispetto alla disponibilità economica delle loro famiglie, adolescenti e giovani cileni abbiano concretamente maggiori difficoltà ad accedere al sistema scolastico nazionale.
E, secondo l’Unesco, proprio l’educazione costituisce “il grande debito sociale del Cile” e non perde occasione per ribadire periodicamente quanto siano necessari maggiori investimenti nell’ambito educativo, proprio per garantire uno sviluppo dignitoso e completo, soprattutto per quanto riguarda i settori sociali più vulnerabili.
Anche in occasione di queste ultime manifestazioni di piazza, è tornato a farsi sentire il Frente Culturale Raymundo Gleyzer di Buenos Aires che partecipa e sostiene le rivendicazioni studentesche: “L’educazione cilena – ha dichiarato un suo referente alla stampa argentina - sta mostrando le conseguenze di anni di mercantilismo educativo. E di fronte a migliaia di studenti che scendono in strada per difendere un diritto fondamentale, ovvero un’educazione gratuita e di qualità, il governo di Piñera ha risposto invece con la repressione e con l’arresto di 800 studenti”.
Sempre secondo il Frente Culturale Raymundo Gleyzer, “solo una grandissima resistenza popolare ha impedito che anche l’Argentina seguisse lo stesso destino del vicino Paese. Fortunatamente – ha dichiarato il portavoce del Frente - negli ultimi 15 anni ci sono stati profondi cambiamenti nell’educazione mondiale, specialmente in America Latina”.
A sostegno dei movimenti studenteschi cileni, e contro la repressione poliziesca, si stanno sviluppando spontanee diverse manifestazioni di protesta. L’opinione comune è infatti che, su un tema tanto importante com’è quello dell’educazione, destinato a influire sulle nuove generazioni e perciò su un reale cambiamento, vadano assolutamente sostenute le rivendicazioni degli studenti cileni, in quanto rivendicazioni giuste e necessarie, sulle quali, anzi, investire e costruire il futuro comune.

Francesco Venturin
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Argentina

venerdì 5 agosto 2011

Bolivia: Morales cambia rotta e apre al transgenico

“I prodotti transgenici provocano molti danni, è dimostrato scientificamente. Alcuni sicuramente ignorano ciò che sto dicendo, ma da qui ad alcuni anni tutto il mondo ci darà ragione”. Sono le parole pronunciate da Evo Morales, paladino dei diritti della Madre Terra, in un discorso del 28 aprile del 2010 a Sucre, nel quale proponeva la Bolivia come “territorio libero dai transgenici”.
A solo un anno di distanza dalla “Cumbre dei popoli sui diritti della Madre Terra” durante cui il presidente boliviano si è fatto portavoce dei nuovi diritti per l’ambiente e la terra, il governo socialista boliviano ha appena messo in atto una terribile inversione di marcia.
Lo scorso 27 giugno, di fronte a una massiccia presenza di popolazioni indigene e contadine boliviane, il presidente Evo Morales ha infatti promulgato la legge della rivoluzione produttiva, comunitaria e agricola.
Una legge molto preoccupante, che legalizza le coltivazioni transgeniche esistenti e consente di ampliare la gamma di altri organismi geneticamente modificati. Ciò significa che, dopo l’approvazione della produzione e commercializzazione della soia transgenica resistente all’erbicida glifosato nel 2005 da parte del governo di Carlos Mesas (che ha portato all’odierno raggiungimento del 95% della produzione di soia transgenica), ora sarà il turno di mais, riso, grano e canna da zucchero.
Sono due gli articoli molto discussi della nuova legge agricola, il 15 e 17, che aprono la strada all’importazione e commercializzazione di transgenici, quando questi non mettano a rischio il patrimonio genetico della Bolivia.
L’articolo 15 della legge stabilisce che non si introdurranno nel paese pacchetti tecnologici agricoli che prevedano l’uso di sementi geneticamente modificate di specie di cui la Bolivia sia centro di origine e diversità, come per esempio la patata, la quinoa e tubercoli andini.
Quindi non si ammetterà nessun tipo di transgenici di specie originarie, ma si apriranno le porte alle sementi geneticamente modificate di pomodori, canna da zucchero, zucca, orzo e altre specie di coltivi non nativi.
In poche parole le sementi avranno dei padroni e i maggiori beneficiari di questi cambiamenti saranno naturalmente le multinazionali che, oltre ad avere flessibilità nella produzione e commercializzazione delle sementi, potranno esigere il pagamento di regalie da parte di chi produce transgenico.
A niente sono servite le tante critiche portate avanti dai movimenti ecologisti e ambientalisti nazionali e internazionali che sottolineano, in diverse lettere aperte dirette al presidente, quanto il negozio delle sementi e dei prodotti transgenici stia rinforzando un modello di produzione agricolo insostenibile e depredatore, che intensifica l’uso di veleni agroindustriali, portando alla devastazione di aree estense e contaminando biologicamente specie e terreni coltivati.
La Bolivia è un centro di origine di moltissime varietà di mais, patata, quinoa, noci amazzoniche e altri coltivi che apportano alla biodiversità e alla sovranità alimentaria mondiale. Come ha già sottolineato il FOBOMADE (il Foro Boliviano sull’Ambiente e Sviluppo) sarebbe estremamente pericoloso introdurre transgenici perché attentano proprio a questa ricchezza e la espongono alla contaminazione genetica.
Si rimane perplessi sulle motivazioni che hanno portato il governo boliviano alla scelta di approvare una legge tanto contraddittoria che va contro l’ottica del Vivir Bien e all’immagine di speranza che il presidente boliviano aveva creato per le organizzazioni delle società civili e dei movimenti sociali della regione e del mondo, promuovendo una gestione diversa rispetto a quella che sottomette le popolazioni al potere delle multinazionali e al capitale.

Maddalena Franz,
casco bianco ProgettoMondo Mlal nel progetto “Vita Campesina” in Bolivia

giovedì 4 agosto 2011

Una giornata che consolida l'amicizia tra Italia e Guatemala

Ungaretti, Tiziano Ferro e Ricardo Arjona, “o sole mio” e una musica con marimba, lo strumento tipico guatemalteco. Il tutto in una sola giornata, organizzata nelle settimane scorse al Centro Monte Cristo in Guatemala, per consolidare simbolicamente l’amicizia storica tra il Centro e i suoi partner italiani. Nata da una mia idea (ossia del casco bianco Edoardo Buonerba, in servizio civile nel progetto “Edad de Oro Monte Cristo”, ndr), l’iniziativa ha preso spunto dall’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia per trasformare la giornata in un momento educativo attraverso diverse attività. Prima di tutto un atto italo-guatemalteco nel quale si sono esibiti gli studenti dei tre anni della scuola cimentandosi in musica, poesia e canto. All’interno di esso, ai momenti di folklore si sono intervallati anche due tributi particolarmente importanti e sentiti: la lettura di una poesia dedicata a Monsignor Gerardi, vescovo di origini italiane che ha combattuto durante la guerra civile in nome della difesa dei diritti umani, e il ricordo di Piero Morari, maestro di Brescia che faceva parte del gruppo APASCI, morto prematuramente poco tempo prima dell’inaugurazione di una comunità che al giorno d’oggi porta il suo nome.
A ricordarlo è stata la stessa direttrice del centro, Micaela Zamora, che ha poi voluto far luce sulla partnership che lega la cooperativa Kato-Ki e il progetto Monte Cristo alla nostra ong, all’associazione APASCI e alla Fondazione Piccini di Brescia. Un rapporto consolidatosi dal 1984 ad oggi e che ci rende orgogliosi per quel po’ di italianità che ancora oggi il Centro si porta dietro.
Per la giornata i ragazzi del Centro hanno inoltre lavorato in gruppo alla realizzazione dei cartelloni esplicativi attraverso cui hanno presentato liberamente cosa rappresentino per loro l’arte, l’architettura, la musica, il teatro, la storia e la scienza, sia in Italia che in Guatemala.
Ne sono emersi dei lavori molto interessanti, attualmente esposti sulle pareti del centro, a cui tutti hanno contribuito e dai quali tutti hanno è potuto carpire qualche nuova informazione.
Ma l’aspetto più atteso della giornata è stato senza dubbio il pranzo: le 9 ragazze del laboratorio di cucina del terzo anno, sotto la mia guida, si sono infatti cimentate nella preparazione di undici teglie di pizza. La preparazione le ha impegnate per due mattinate, ma nonostante la fatica il risultato è stato molto apprezzato e le ragazze hanno appreso qualcosa di più sulla cucina italiana. E già si parla di ripetere il tutto l’anno prossimo, magari mettendo nel menù un bel piatto di lasagne.

Edoardo Buonerba,
casco bianco ProgettoMondo Mlal in Guatemala

mercoledì 3 agosto 2011

Nuovo amministratore per il progetto "Vita dentro" in Mozambico

Francesco Margara, fiorentino, ha da poco raggiunto l’equipe del progetto “Vita dentro”, realizzato in Mozambico per migliorare le condizioni di vita dei reclusi della Provincia di Nampula. Francesco, che nelle righe che seguono si presenta, collaborerà al progetto occupandosi della parte economico-produttiva.

Sono Francesco Margara, ho 33 anni e sono nato a Firenze. Ho studiato Scienze Agrarie Tropicali e Subtropicali all'Università degli Studi di Firenze e mi sono laureato nel 2007 con una tesi svolta nella zona di frontiera tra Texas e Messico sulla mosca della frutta, detta Mexican Fruit Fly, che colpisce gli agrumi in generale, frutti che sono una delle colture più importanti per lo stato americano “da una sola stella”. Durante gli studi ho aderito al progetto Erasmus svolgendo 6 mesi di studi in Portogallo all'Università di Agraria di Lisbona, dove ho imparato a parlare portoghese. Nel frattempo ho fatto molti viaggi in giro per il mondo con la ferma intenzione di imparare a stare in posti diversi con persone di differenti culture e usanze.
Dopo la laurea ho cominciato a cercare lavoro senza molte soddisfazioni, a meno che un lavoro part time da giardiniere non sia considerata una svolta a livello professionale, e così ho cercato fortuna all'estero, e più precisamente in Brasile nello Stato di San Paolo, in un posto chiamato Jaboticabal. Ospite di amici conosciuti durante la tesi in Texas, ho potuto frequentare un corso sul Controllo Biologico in Entomologia presso l'Università locale, e ho svolto un tirocinio presso una società di consulenza per software da utilizzare nelle industrie zuccheriere brasiliane. Ho lavorato inoltre in una scuola di lingue insegnando italiano per quattro mesi. Di ritorno dal Sud America, ho ottenuto l'abilitazione a dottore Agronomo con l'esame di stato, anche se il mio desiderio fin da piccolo è sempre stato quello di viaggiare. Così nel novembre del 2009 ho finalmente trovato lavoro nell’ong bolognese GVC, per un progetto di sviluppo rurale nella provincia di Maputo, per l'esattezza in Namaacha al confine con Swaziland e Sudafrica. Sono partito per questa nuova esperienza con molti dubbi e poche certezze, visto che mi apprestavo alla mia prima esperienza di cooperazione in un continente, l’Africa, fino a quel momento sconosciuto. Il contatto con persone esperte mi ha dato modo di imparare molto sul settore della cooperazione, aspetti positivi e non, che comunque sia mi hanno convinto a continuare questa splendida esperienza di vita e di lavoro. Dopo i primi sei mesi ho capito che non potevo andarmene e quindi ho prolungato la mia permanenza lavorativa fino ad arrivare a 16 mesi di vita/lavoro in Mozambico. Lavorare a stretto contatto con i contadini locali mi ha permesso di mettere in pratica ciò che fino a quel momento avevo letto solo sui libri: formule e termini tecnici hanno lasciato spazio a zappa e sudore nei campi per aiutare e farmi apprezzare dai miei nuovi “colleghi” beneficiari. Tutto ciò che ho vissuto negli ultimi mesi mi ha fatto crescere notevolmente sia a livello personale che professionale e per questo sarò sempre riconoscente alle persone del GVC che hanno reso possibile questa mia crescita a livello umano.
Quando la mia l'esperienza con il GVC stava per concludersi, ho cercato di rimanere in Mozambico, visto che la conoscenza del territorio e la familiarità con lo stile di vita locale ormai mi sono entrati dentro. E’ così che sono entrato in contatto con ProgettoMondo Mlal per un progetto nella Provincia di Nampula. Una volta ascoltato e studiato il progetto, non ho esitato ad accettare questa nuova sfida.

Cosa ti ha spinto ad aderire a ProgettoMondo Mlal?
La voglia di restare in una terra accogliente, tra persone sempre pronte al confronto e che hanno bisogno di chi sappia orientarle sulla strada di uno sviluppo sostenibile. Queste le motivazioni forti che mi hanno convinto a scommettere ancora sul Mozambico e soprattutto su un progetto che saprà darmi altre conoscenze e al quale spero di poter dare molto dal punto di vista professionale.
Cosa ti aspetti da questa esperienza professionale?
Accettare questa nuova sfida significa per me continuare il mio processo di apprendimento del mondo della cooperazione, rafforzando le conoscenze in aree tecniche a me poco familiari: gestione del personale, lavoro di gruppo, amministrazione e lavoro con i reclusi. Sarà molto interessante partecipare a un processo di riconoscimento dei diritti dei detenuti per dare loro una “futuro oltre le sbarre”.
Come ti proponi di contribuire al nostro ProgettoMondo Mlal?
Sono convinto di portare tutta la mia professionalità al servizio del progetto, definendo in maniera partecipativa le migliori soluzioni a livello agronomico per poter dare conoscenze e possibilità finora impensabili ai reclusi di Nampula. Conto pertanto di portare un miglioramento tangibile per la vita dei carcerati dentro e fuori dal carcere, ricordandomi sempre che la miglior pena per un recluso è la riabilitazione e non la punizione.

martedì 2 agosto 2011

Volti indigeni e prodotti locali per la conclusione di “Vita Campesina”

Piccoli produttori, artigiani tessili e responsabili di centri per il turismo comunitario. Sono loro i protagonisti della giornata che si è svolta la settimana scorsa a La Paz a conclusione del programma di cooperazione allo sviluppo “Vita Campesina” finalizzato alla promozione di opportunità economiche, produttive e sociali in Bolivia. Giovedì scorso, infatti, sono arrivati in molti e da varie parti del paese per chiudere il cerchio dei tre anni e mezzo di lavoro svolto tra le valli di Cochabamba, gli altopiani di Oruro e le valli temprate di Potosi, e il progetto, iniziato nel 2008, si è concluso proprio nello stesso luogo in cui, più di tre anni fa, si era svolta la cerimonia di inaugurazione: nei saloni della Vicepresidenza dello Stato Plurinazionale di Bolivia, a La Paz.
Il salone gremito ha assunto il colore dei volti dei popoli indigeni della Bolivia multietnica e nel tavolo delle rappresentanze si sono seduti anche due rappresentanti dell’Unione Europea in Bolivia Ivo Hoefkens, per la sezione della cooperazione economica e linee tematiche, e Monica Rodriguez, ufficiale di programma della delegazione. Con loro, insieme ai rappresentanti di ProgettoMondo Mlal, anche uno del PNUD, due rappresentanti del viceministero del commercio estero e, naturalmente, il partner con cui la nostra organizzazione ha lavorato per tre instancabili anni: CIOEC Bolivia, il coordinamento nazionale di tutti i produttori presenti in sala.
Di fronte a loro, un tavolo colmo di tutti i prodotti realizzati durante gli anni del progetto ha testimoniato l’arduo ma efficace lavoro portato avanti con sapienza dai responsabili delle filiere produttive. Prodotti pronti a dimostrare alle stesse organizzazioni e al paese l’importanza della sovranità alimentare e le innumerevoli potenzialità dei diversi ecosistemi presenti in Bolivia.
Sullo sfondo lo standard del “Marchio Sociale”, risultato di cui ProgettoMondo Mlal va orgoglioso: da oggi tutte le organizzazioni che soddisfano determinati parametri potranno esibire i loro prodotti con questo marchio che garantisce al consumatore la qualità “sociale”, oltre che nutrizionale, della merce proposta. Una sorta di Fairtrade-TransFair per la Bolivia.
Nella presentazione del fine progetto, alcuni dei relatori ne hanno esposto i punti in cui si è articolato in questi anni, sottolineando che tutti i tecnici e i responsabili delle organizzazioni hanno puntato a risultati concreti e tangibili, come quelli di poter accedere al programma governativo che distribuisce un paniere di prodotti alle madri lattanti e ai bambini da 0 a 5 anni, ma anche la partecipazione ai bandi delle merende scolastiche e la possibilità di partecipare alle innumerevoli fiere organizzate su tutto il territorio del paese nei diversi momenti dell’anno.
Un altro tangibile risultato è stata la presentazione del libro che dà organicità a 6 anni di esperienza della Scuola Nazionale di Leader di CIOEC.
La suggestiva cerimonia si è conclusa con un brindisi all’insegna del vino prodotto da un’organizzazione del progetto e con la degustazione dei vari spuntini nati in seno alle azioni implementate.

ANNA MARIA ALLIOD, responsabile ProgettoMondo Mlal Bolivia