giovedì 28 aprile 2011

Primo Piano ProgettoMondo Mlal: l'anno del Maghreb

ProgettoMondo Mlal, dedica, per i prossimi anni, il proprio impegno nei Paesi in Via di Sviluppo a favore del protagonismo giovanile. Perché le nuove generazioni abbiano la giusta opportunità di crescita e diventino artefici del proprio sviluppo e di quello delle loro comunità.
Dunque, in occasione dell'Assemblea annuale dei Soci, che contribuirà a lanciare la sua rinnovata vision sul territorio, ProgettoMondo Mlal promuove domenica 1 maggio (con inizio alle 9.30 al Cum del Centro Carraro) un Primo Piano dedicato alle rivolte popolari e ai nuovi fermenti che ci arrivano in queste ultime settimane dai Paesi del Maghreb e del Medioriente in generale, tutti al momento fortemente caratterizzati da un inedito e straordinario protagonismo giovanile.

Saranno ospiti della mattinata osservatori internazionali, commentatori e anche alcuni dei giovani con cui lavoriamo in Marocco, protagonisti di queste settimane di speranza e di impegno.

In allegato il Programma del Primo Piano

giovedì 21 aprile 2011

Nei villaggi berberi conoscono Moro e Berlusconi

L’ora concordata per la partenza è le 5.30 del mattino. Si dorme poco, molto poco. Nonostante questo mi sveglio comunque prima dell'ora stabilita, un po’ per la tensione, un po’ per l’emozione di vivere la prima missione sul terreno, la prima visita ai douars interessati dal progetto che stiamo pian piano imparando a conoscere, “Scuola&Sviluppo”.
Alle 5.30 si parte. E’ ancora buio ma leggo i nomi dei paesi che attraversiamo o vicino ai quali passiamo, usciti da Beni Mellal: Souk Sebt, sede di un grande souk regionale, Afourar, dove è nata la famosa Ruby Rubacuori (mi riprometto di fare un foto sotto il cartello di benvenuto alla cittadina, la prossima volta…).
La strada per Azilal, capoluogo provinciale e punto di partenza per le valli dove sono situate le comunità con cui opera ProgettoMondo Mlal, pian piano si inerpica lungo il fianco di una montagna. La vista sulla piana coltivata, fertilissima, della regione di Tadla-Azilal si apre, man mano che la luce si risveglia, come gli abitanti stessi e come i miei occhi; le donne si radunano nella piazza centrale di Afourar e aspettano un passaggio per andare a lavorare nei campi. Sono le 6.30 del mattino.
La strada continua tra curve, guard rail poco attendibili e una natura padrona del panorama. Dopo circa un’ora e mezza di macchina arriviamo ad Azilal, dove ci ricarichiamo con un msemmen fresco di giornata (una sorta di crepes con marmellata o formaggio che la signora prepara sotto i nostri occhi) e incontriamo il nostro autista che ci attende, con la sua Land Rover agée(è un po’ scassata in effetti), per portarci alla meta.
Solo intraprendendo questa prima visita ai douar mi rendo conto di quanto fossero errate le mie percezioni prima di questo viaggio: le distanze che mi ero immaginato sono tutte da ridisegnare, ridiscutere, gli spazi sono molto più grandi, il senso di isolamento, mano a mano che ci avviciniamo ai douars, è sempre più nuovo, sempre più forte.
I villaggi sono a più di tre ore, a volte quattro, di macchina da Azilal, il centro più vicino che possa offrire dei servizi di base maggiori rispetto al piccolo comune montano a cui ogni douar fa riferimento.
Penso all’Italia, a quanto le nostre città sono vicine, a volte appiccicate le une alle altre, senza un intervallo di terra brada; la sensazione di lontananza è sempre più grande.
Le montagne dell’Alto Atlante, sullo sfondo, sono colme di neve e spuntano, come denti, dalle valli che cambiano colore continuamente: rosso, viola, giallo ocra, verdino. Lungo la strada incontriamo molti bimbi: alcuni vanno a scuola, a volte ci sono le mamme che li accompagnano, come ovunque nel mondo, aspettano lungo la strada il passaggio di non so che cosa.
Altri bimbi, spesso bambine, sono invece a cavalcioni su un asino e lo conducono verso il lavoro. Girano appena lo sguardo quando la macchina passa, un’occhiata veloce per poi ritornare al loro trotterellare. Nei campi, qualcuno coltiva come secoli e secoli fa, con un aratro di legno trainato da un mulo.
Le casette di terra dei douars spuntano come funghi dalle colline, alcune sono isolate, altre sono tutte vicine, raggruppate a formare una piccola colonia umana che resiste, aggrappata al costone della montagnola.
Mohammed, un collega che fa parte dell’équipe di terreno, mi fa da guida tra i nomi dei villaggi, le divisioni amministrative dei comuni, i significati amazigh (lingua berbera locale) dei nomi dei luoghi.
Foriamo vicino a un fiume; attimi di ilarità e nervosismo (se ne approfitta per infrattarsi a fare la prima pipì del nuovo giorno) ma in quindici minuti il nostro autista cambia la ruota e possiamo ripartire. Superiamo il douar di Tourtit (“piccolo giardino” in berbero), dove la nostra Ong ha aperto una scuola di Educazione non formale (ENF Education-non-formelle), e dopo un lungo tragitto entriamo in una valle rossa, quasi viola.
Siamo nel comune di Ait Bouilli e qui si trova il douar di Tazoulte, il villaggio “della polvere nera”, il kajal, il trucco che donne e uomini usano per contornarsi gli occhi. Parcheggiamo, il vento è molto forte e fa freddo.
Ci dirigiamo a passo svelto verso la scuola del douar: a Tazoulte è presente sia la scuola pubblica che la scuola Non formale di ProgettoMondo. Entriamo mentre gli scolaretti stanno facendo lezione: non so chi è più imbarazzato tra me e loro, mi sembra quasi di violare un luogo sacro, visti il silenzio e la luce diffusa nella stanza.
Facciamo un giro di strette di mano con i bambini che a stento, per la timidezza e per lo stupore, ci guardano in faccia; abbozzano dei sorrisini, ci guardano di sottecchi, ridacchiano.
La cosa che mi colpisce di più tuttavia è la sensazione al tatto delle loro mani, sono dure, callose, sembrano mani di un lavoratore: sono così diverse dalle mani dei bambini italiani alla loro età. Salutiamo velocemente per far riprendere la lezione all’insegnante e ci incamminiamo verso il centro del douar.
Nel villaggio è stata organizzata una riunione tra i leader della comunità e i rappresentanti di ProgettoMondo per approvare il Piano di Sviluppo del douar e discutere il microprogetto di sviluppo che dev’essere attuato a conclusione del Progetto Scuola e Sviluppo.
I leader del villaggio sono cinque, tra cui un uomo giovane dagli occhi bordati di nero, dalla polvere che appunto dà il nome a questo douar.
Ci accomodiamo in una stanza solitamente riservata ai bambini del prescolare e la discussione ha inizio. Tutto si svolge in lingua amazigh, Mohammed traduce le parole in francese di Marianna e poi conduce la discussione tra le varie figure.
Il più anziano del gruppo parla poco, ma sembra fare degli interventi ironici e puntuali; io non capisco cosa dice ma dal suo modo di parlare, dalla sua espressività comprendo l’arguta ironia delle sue parole. Terminata la riunione (il gruppo si accorda per piantare degli alberi da frutto invece di comprare un toro- genitore per far figliare le mucche), il vecchio saggio ci invita nella sua abitazione per il pranzo.
E’ il mio primo tajine berbero (tradizionale stufato di carni e verdure cotto direttamente nella pentola di coccio a forma piramidale) e per mangiarlo mi devo ricordare di poche, semplici ma basilari regole. Primo: mai, mai mangiare con la sinistra da un piatto comune, la mano sinistra è la mano impura, della pulizia personale e potrei contaminare anche il cibo se la usassi; per un mancino convinto come me è un po’ dura prendere i piselli e la carne con la destra e mi cerco di aiutare con l’immancabile pane. Secondo: non soffiarsi mai il naso a tavola, altro gesto che potrebbe rendere impuro il cibo toccato con le mani messe prima a contatto con il muco.
Prima di iniziare a mangiare, è d’obbligo lavarsi le mani in una tinozza che passa di commensale in commensale, così come la “pezzetta”, comunitaria e dalla dubbia utilità, con cui bisogna asciugarsele.
Il tajine è ottimo, saporito: i rutti di sottofondo ne sanciscono l’apprezzamento unanime. Finito di mangiare, ripassa il famoso recipiente per il lavaggio delle mani (in Marocco non sembrano molto diffusi i tovaglioli) ma questa volta c’è una variante: volendo, è possibile risciacquarsi la bocca e dare una breve pulita ai denti, con sputacchio finale. La prima volta non me la sento di partecipare a questo rito, ma so che è un limite temporaneo: nella seconda visita ai douar avrò infatti già preso confidenza con questa tecnica. Soddisfatti, ringraziamo, shukran e beslama, arrivederci.
Ripartiamo per il secondo douar, distante una decina di km da Tazoulte.
Il panorama cambia, ancora una volta, nonostante la valle che racchiude Iskaoun sia distante solo una decina di km dalla rossa Tazoulte. Il verde chiaro dell’erba e dei cespugli rende quasi le gole intorno al douars più fertili, ospitali, adatte alle comunità degli “uomini liberi” che qui conducono la loro semplice, ciclica, originaria vita; il contrasto con il panorama precedente è evidente e incredibile.
Iskaoun in amazigh significa “corna”, nome, come sempre, non scelto a caso dato che il douar è in realtà composto da due frazioni che si trovano su due sommità di colline attraversate da un piccolo fiume.
Un problema per la comunità, e l’azione di microprogetto negoziata con l’intero villaggio, riguarda proprio l’innocuo fiumiciattolo che, con le piogge, diventa un ostacolo che divide le due parti del douars, rendendo difficile le comunicazioni e gli scambi; si è dunque deciso di costruire un piccolo ponte che possa risolvere questo disagio.
L’autista non ci accompagna; il douar è troppo in pendenza e non è possibile avvicinarsi troppo con la macchina, quindi scendiamo e proseguiamo per un breve tratto a piedi. Gli amazigh camminano lentamente o siedono nei campi, controllando i greggi di capre che pascolano.
Gli uomini passeggiano con il cappuccio della jallaba tirato sulla testa, quando ci incontrano ci salutano a bassa voce, Salam, Salam; le donne sono molto schive in genere, specialmente se sono giovani, a volte cambiano strada per non incrociarci o si nascondo negli arbusti, per pudore credo. Specialmente in questo villaggio ho la sensazione che queste persone facciano parte di un popolo magico, sembrano essere dei personaggi delle fiabe, degli esseri affascinanti, un po’ folletti e un po’ elfi.
A volte sembra che non ci sia nessuno lungo la strada, se ci si guarda solo i piedi o i sassi a qualche metro di distanza: basta però alzare lo sguardo, sulle cime circostanti per scorgere piccoli gruppetti di persone che dall’alto ti guardano, con discrezione ma attentamente. Compaiono, scompaiono, quando te ne accorgi; si materializzano e si smaterializzano con la stessa facilità con cui ti stupisci per un attimo della loro presenza.
Sgambettiamo, un po’ impacciati, per superare il corso d’acqua oggetto della discussione di oggi, i leader sono dall’altra parte che attendono. Pochi passi e arriviamo in un piccola casetta dove si trovano già parte della autorità che prenderanno parte alla discussione; ma si sa, si discute meglio con la pancia piena, anzi pienissima, e, a meno di un’ora di distanza dall’altro pranzo, ci viene servito un altro tajine di carne. Qui l’ospite è sacro e il rifiuto non è contemplato nelle opzioni di comportamento, specialmente quando bisogna negoziare qualcosa. Ne potrebbe andare del successo del progetto stesso; quindi, mangio un po’, per non deludere i nostri amici e per mantenere alto l’onore dell’Ong di cui faccio parte!
Finito il pranzo-bis, la discussione ha inizio: analisi del Piano di sviluppo del douar e microprogetto del ponte, a cui tutta la comunità ha già iniziato a lavorare, spianando i due lati del fiume su cui verrà costruito. La riunione finisce, siamo tutti soddisfatti e possiamo riavviarci alla nostra Land Rover.
Vicino al fiume troviamo un gruppo di bambini, avranno 7- 8 anni al massimo; ci guardano, incuriositi e forse un po’ perplessi, come tutte le persone qui.
Sono ben amalgamati, hanno delle facce molto espressive, sembrano dirti “E questi chi sono?che vogliono?”. Chiedo se posso far loro una foto, non rispondono, sembrano pensierosi ma poi paiono mettersi in posa, anche se qualcuno si nasconde dietro un amico.
Scatto, gliela faccio rivedere: divertiti, si guardano nello schermino della macchinetta e si indicano. Evidentemente questo gioco gli deve essere piaciuto perché ci seguono fino alla macchina, si presentano quando gli chiediamo i nomi, corrono inseguendosi e superandoci.
Ci accompagnano fino alla jeep e ci salutano mentre imbocchiamo la strada del ritorno a Beni Mellal. Scendono la collina e tornano alla loro vita di sempre; la novità del giorno si è esaurita nel giro di venti minuti.
Il ritorno è molto più rilassato per me, provo a indovinare dov'è il douar che abbiamo visitato in mattinata e cerco di ricordarne il nome, parlo con Mohammed di cinema, osservo e non scatto più foto, preso forse dall'ansia di immortalare la bellezza di paesaggi che mai avrei pensato di poter ammirare, almeno non qui in Marocco.
Guardo arrivare la fine della giornata di queste persone che ho incontrato per la prima volta: capisco quanto è semplice la loro vita, pastorizia, raccolta di legna, fatta da donne che letteralmente si accartocciano su se stesse per portarla, raccolta di erbe selvatiche nei campi, piccole coltivazioni di olive o altre piante, e ogni tanto, quando capita qualche piccolo commercio al souk del comune più vicino. Una semplicità fatta di fatiche, scomodità, mancanza di opportunità, e che forse ci affascina perché noi l'abbiamo persa da tanto, tanto tempo.
La meraviglia è il banale comune denominatore di questa giornata.
Anche la nostra seconda visita ai douars è più rilassata, ma non per questo meno intensa; lungo la strada per Timloukine, il villaggio che dobbiamo visitare e dove si ripeterà il “rito” della riunione con i leader, i campi dietro le curve, i baracchini dei centri comunali, il fiume che attraversa la valle mi sembrano già più familiari. Contrariamente agli altri douars, Timloukine è un nome che non ha alcun significato: questo è un piccolo cambiamento rispetto alla settimana prima.
Le persone no invece, loro non mi sembrano così diverse rispetto a quelle già incontrate: i bambini sono sempre interessati alla nostra presenza, le ragazzine e le bambine sono schive, timide, si nascondo ai nostri sguardi e fanno finta di non osservarci, anche se si vede che non è così. All’entrata del villaggio un bambino ci viene incontro, ci saluta e ci prende le mani, le bacia e corre via; una bimba è nascosta nell’erba con un’amichetta, gioco con loro a nascondino, hanno degli occhi grandi.
Questa volta l’oggetto della discussione è il rafforzamento della rete di acqua potabile esistente, che dev’essere ampliata per servire la totalità del douar. Siamo seduti in una stanza incredibilmente bella: il soffitto è completamente decorata con motivi geometrici, i colori sono vivissimi e conferiscono alla sala un’atmosfera di sacro, religioso, quasi fosse una chiesa ancestrale.
E’ affascinante. Questa sacralità non si perde nemmeno nel corso della riunione, quando per la prima volta sento il richiamo del muezzim che si diffonde nella valle; e alla fine del pranzo, quando le autorità del villaggio recitano i primi versi del Corano, la sura di apertura, la Fatiha, e pregano anche per noi, stranieri in terra tamazigh.
Un evento ci “sconvolge” durante il pranzo (e non è la mia dimenticanza della regola della mano sinistra con cui ho mangiato il cous cous, e che ha provocato, hamdulillah, le risa dei miei compagni di piatto, e il mio grande imbarazzo): il vecchio saggio seduto al nostro tavolo ci chiede di Aldo Moro prima ancora di citare l’onnipresente -ebbene sì anche qui in montagna- Silvio Berlusconi. Parliamo della guerra in Libia, di Gheddafi, del perché il nostro premier sia stato così amichevole con il rais e di come invece i marocchini, così come gli altri popoli nordafricani, mal sopportano “il cane pazzo” di Tripoli.
Si ritorna da un’altra strada: rivedo Iskaoun e le valli dopo questo douar. Altri villaggi, altri paesaggi che mi ripropongo di visitare con la giusta lentezza.

Antonino Ferrara
Casco Bianco Marocco
ProgettoMondo Mlal

venerdì 15 aprile 2011

Arrigoni, FOCSIV: “un atto criminale contro i diritti umani”

Roma, 15 aprile 2011. “L’assassinio di Vik, il cooperante italiano a Gaza, è l’ennesimo atto di violenza che si scatena contro una persona impegnata in attività di pace e di soccorso ad una popolazione bisognosa di aiuto e sostegno. Un atto criminale che lascia sgomenti e richiama l’attenzione dell’opinione pubblica italiana alla drammatica situazione della popolazione nella Striscia di Gaza, e al delicato lavoro di quanti - cooperanti e volontari - quotidianamente si impegnano a promuovere concretamente di diritti umani portando aiuti umanitari alle popolazioni povere, anche nelle situazioni più ostili”. E’ la denuncia della FOCSIV, la Federazione di organismi cristiani di volontariato internazionale, che attraverso il Segretario Generale Sergio Marelli esprime la sua vicinanza e il più sentito cordoglio alla famiglia e agli amici di Vittorio Arrigoni.

“Significativa e importante è stata la risposta delle istituzioni – commenta Marelli – soprattutto il minuto di silenzio in segno di cordoglio per la morte di Vittorio, un civile testimone di diritti, fatto osservare durante la seduta speciale dell’Aula del Senato, questa mattina con i ragazzi di alcuni istituti scolastici”.

mercoledì 13 aprile 2011

A Cordoba, tra nuove e vecchie scoperte

Da poco più di un mese siamo a Cordoba: “Desde el primer mundo”, come gli argentini chiamano l'Europa e il Nord America.
Ricordo il primo impatto con questa città che conserva ancora alcune parti del suo passato (quelle poche che si sono conservate), di una storia propria importante, e che però, nonostante ciò, mira di più ad assomigliare a quel "primer mundo" a cui qui tanto aspirano.
E' qualcosa che avevo già notato in un precedente viaggio in Argentina, e che questa volta mi è balzata subito agli occhi. Già, arrivando in aereo, una ragazza cordobesa mi aveva detto: "Sì, l’Argentina é bella, però é un casino... L’Europa é splendida, la Spagna mi affascina ed é molto meglio!!...".
Forse qui, più che in altri Paesi dell'America Latina, rimane forte il sogno degli ex colonizzatori venuti dall'Oltreoceano.
Né finisco mai di stupirmi di come gli argentini si sentano “europei” o a volte “tanos” (italiani). Sarà perché l'Argentina è uno dei Paesi economicamente più "sviluppati" dell'America Latina, sarà perché c'è stata una forte (se non la più forte) immigrazione italiana e spagnola, sarà che è stato inculcato dai tempi della "scoperta dell'America"... Ma poi, non sarebbe meglio dire dai tempi dei massacri, delle colonizzazioni?
Mi sembra che l'Argentina viva sempre in questo limbo, in bilico tra due appartenenze, così diverse e così contrastanti...
Accanto a ciò, la gente va comunque riscoprendo la sua storia. Una prova di ciò è stata offerta dagli eventi organizzati per il 24 marzo, giornata della Memoria appunto, in cui qui a Cordoba in circa 50.000 persone hanno marciato per ricordare la triste e profonda ferita della dittatura.
Tra un “asado” (carne alla griglia), le empanadas (che ho imparato a fare!!) e il dulce de leche, mi sto integrando bene in questa città, tentando di coglierne tutti gli aspetti e di capirne contraddizioni e potenzialità. Tanto che, mate e criollitos (piccoli panini imbevuti di grasso!), fanno ormai parte della mia dieta quotidiana e, approfittando del sole e del clima ancora estivo, trascorro molto tempo all’aperto con questi due elementi caratteristici della vita argentina.

Anche al lavoro si é creato un bel clima. E se anche capita ancora che mi chieda: ”che ci faccio qui, io che non sono né architetto né urbanista?”, pian piano sto cominciando a partecipare alle prime attività del Progetto e comincio a sentire che potrò fare qualcosa anche io!
La città di Cordoba é un susseguirsi di eventi, cineforum, concerti, presentazioni. Tra le varie iniziative, con Arianna, abbiamo cominciato a seguire un corso all’università sulle problematiche legate al diritto alla casa in America Latina, tenuto da un professore che lavora per il Ceve (il partner locale di ProgettoMondo Mlal). La prima lezione é stata molto interessante e ci ha offerto una panoramica, geografica e storica, con esempi di alcune realtà presenti nel territorio argentino: a Buenos Aires e a Ushuaia.
Caso vuole che a un certo punto ci abbiano fatto vedere le immagini di una manifestazione in cui alcuni militanti resistevano allo sgombero di un terreno di Ushuaia, e ho scoperto che si trattava di gente che io conoscevo. Persone che avevo conosciuto nel mio precedente viaggio in Argentina, quasi a confermare quanto “el mundo es un pañuelo” (il mondo sia un fazzoletto, cioè molto piccolo). Così, appena tornato a casa, mi sono subito messo a cercare tra vecchie schede telefoniche e agende il numero di una di loro. Chiamarla è poi stata questione di un attimo:
“Teresa come stai? Sono di nuovo in Argentina, a Cordoba…”.
“Francesco, non ci credo! Anche io sono a Cordoba …da una settimana”.
“Fantastico! Dove sei?”
“Al Buen Pastor…”. Ovvero Teresa era a 600 metri da casa mia!
E così ci siamo rincontrati dopo 2 anni, e a piú di 3.000 chilometri di distanza… una vera “Carrambata” fuori programma!!

Nella terza lezione del corso “Problematiche dell’abitazione popolare” era stata organizzata una visita a un “asentamiento” (accampamento-favela) nel quartiere di Genral Savio di Cordoba.
Abbiamo così avuto la possibilità di vedere in prima persona la problematica abitativa di questa città, di come la gente si organizzi per sopravvivere e di quale possa essere la risposta da parte del governo.
Nell’asentamiento, vivono da 35 anni circa 900 famiglie, provenienti da Paesi vicini o da altre regioni dell’Argentina, in case molto precarie dove, molto spesso, mancano i servizi di base come acqua corrente, luce e fognature.
“Grazie all’organizzazione tra gli abitanti – ci ha spiegato una delegata di una delle zone dell’asentamiento – come popolazione siamo riusciti ad avviare un processo politico e di urbanizzazione con cui vorremmo portare tutti noi abitanti a vivere un giorno in una casa dignitosa”.
Il Progetto, appoggiato da piani di finanziamento statale e regionale, prevede l’edificazione di alcune case in un terreno vicino e la ristrutturazione di altre, portando acqua potabile, luce, ampliando le strade così da consentire che questa zona entri a fare parte del tessuto urbano.
Pur se con alcuni aspetti ci sono apparsi poco convincenti (esempio l’affidamento delle costruzioni a un’impresa esterna e l’assenza, o poca consistenza, delle spese a carico degli abitanti), sicuramente rappresenta un esempio di come, organizzandosi, delle persone possano risolvere un problema così significativo e presente qui in Argentina, ovvero quello del diritto alla casa.

Francesco Venturin
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal
Cordoba, Argentina

martedì 12 aprile 2011

Perù, elezioni presidenziali. La sconfitta del modello

Lima - Alcuni giorni fa, il Premio Nobel della Letteratura 2010, Mario Vargas Llosa, commentando i risultati dei vari sondaggi, aveva annunciato il suo voto per Alejandro Toledo, ex presidente centrista nel periodo 2001-2006. “¿Humala o Keiko? – aveva chiosato- Es elegir entre el SIDA y el cancer”, ovvero: tra Humala e Keiko, è come scegliere tra l'aids e il cancro.
Oggi, lunedì 11 aprile, dopo i risultati, Vargas Llosa ha commentato: “Il Perú ha due opzioni: il suicidio o il miracolo”. La drammaticità di questi commenti, che ci arrivano da un notissimo pensatore liberale, conosciuto più come scrittore che come ponderato analista politico, rappresentano la sintesi di ciò che pensa il Perú del “sistema”.
Il Perú che si è frammentato tra i personalismi di Toledo, di Castañeda (ex sindaco di Lima) e Pedro Pablo Kuczynski (popolarmente PPK), nonostante il cognome straniero, ha perso inesorabilmente. Un settore del Perú liberale, soddisfatto del modello economico attuale che, negli ultimi 10 anni, ha visto raddoppiare il PIL, quadruplicare le esportazioni, moltiplicare gli investimenti esteri, gonfiare le riserve internazionali, e ha anche assistito alla trasformazione del suo Paese nella tigre economica latinoamericana. Un sistema che ha visto aumentare a vista d'occhio, soprattutto nei quartieri moderni di Lima, la costruzione di modernissimi edifici, centri commerciali, alberghi, o far riempire le strade metropolitane di Suv e altri simboli del lusso.
Un sistema che si è rivelato talmente rigido da condannare la maggioranza della popolazione a vivere del cosiddetto “chorreo, ovvero dello sgocciolio che cade dagli altissimi livelli di consumo dei settori A e B, verso i C, D, E (curiosa la stratificazione sociale con le lettere dell'alfabeto: in Perú si è arrivati a 5!).
Un sistema che ha visto precipitare la partecipazione dei salari al reddito nazionale al 21% (in area Euro, per esempio, la partecipazione è attualmente del 62%; anche se solo due decenni fa era al 70%), mentre gli utili di impresa sono al 63%: la forbice più allargata del continente, denominata “a bocca di coccodrillo” (immagine efficace).
Questo dato riflette sostanzialmente il livello delle disparità sociali, e quindi la distribuzione della “torta”. Argomento, quello della torta, che ha fatto da sfondo all’intera tornata elettorale: i candidati liberali, Toledo, Kuczynski e Castañeda che spiegavano che occorre far crescere la torta per poter fare fette più grandi per ognuno, pur non cambiando i rapporti, mentre Humala sosteneva che non solo deve crescere la torta ma lo Stato deve anche tagliare le fette in dimensioni più eguali; infine, Keiko Fujimori che rivendicava una torta enorme, di cui lo Stato potesse prendersi una fettona rimanente dalla previa distribuzione tra i produttori e distribuirla alle persone in coda.
Ma è stata l'indifferenza dell'establishment, i cui rappresentati diretti o indiretti sono risultati oggi sconfitti, per il coro delle proteste che da vari anni si levavano in molti punti del Paese, a provocare la catastrofe evocata da Vargas Llosa.
In Perù avviene un fenomeno grottesco: un Paese che cresce ai ritmi di record mondiale e che pure vede la popolarità degli ultimi due Presidenti, Toledo e Garcia, non superare mai il 30%, tra l'altro ridotta ancor di più ai minimi termini nelle zone andine e amazzoniche. Un segnale che è sfociato nella protesta violenta, come nel caso dei 200 conflitti socio-ambientali aperti ogni anno, di comunità indigene che si oppongono con anima ma anche con il corpo agli ingenti investimenti delle miniere, e che hanno condotto alla strage di poliziotti e indigeni di Bagua del 2010. O nella rivolta contro il progetto minerario Tia Maria, tutt’ora in corso, che ha provocato due giorni prima della elezioni un morto nel Valle del Tambo, ad Arequipa, dove ProgettoMondo Mlal ha realizzato un progetto di ricostruzione dopo il terremoto del 2002.
La mappa elettorale riflette appunto questa rottura: Humala vince come nel 2006 in 16 regioni, con punte massime a Puno (62%), Cusco (60%), Tacna (58%) o Ayacucho (57%); Keiko vince in 5 regioni, tutte del Nord, e PPK vince a Lima e Callao, Toledo a Loreto (regione amazzonica).
E ha rivinto, secondo gli scettici e affranti analisti liberali, il cosiddetto voto antisistema. La tornata si è infatti conclusa con Humala al 31%, Keiko Fujimori al 23%, PPK al 18%, Toledo al 15% e Castañeda al 10%. Il resto è per 5 altri folcloristici candidati. Tutti confermati i sondaggi, gli exit poll e le proiezioni, di almeno 4 entità rilevatrici: in Perú la sondaggistica è ormai infallibile.

Ma vediamo chi sono i due candidati passati al ballottaggio del 5 giugno.

Keiko Fujimori è la figlia maggiore dell'ex presidente Alberto, condannato a 25 anni di carcere per il suo ruolo nella catena di comando del gruppo paramilitare Colina, e in particolare per il suo coinvolgimento nella sparizione e uccisione di 9 studenti e un professore dell'Università La Cantuta nel 1992. Attualmente, sconta la pena in un carcere speciale, una sede della Polizia adibita esclusivamente per la sua reclusione.
Keiko, che in giapponese significa “bambina felice”, ha 36 anni, ed è stata “Primera Dama” a soli 19 anni, in seguito al divorzio dei genitori, provocato alle accuse di corruzione al governo fatte dalla mamma Susana Higuchi al papà, e di fatto sostituendola. Ha impostato la campagna quasi esclusivamente sull'eredità del padre, cioè di un governo autoritario e populista che nell'immaginario collettivo ha il merito di avere sconfitto il terrorismo di Sendero Luminoso e l'iperinflazione, ereditati dal primo governo di Alan Garcia, e di essere il principale artefice del miracolo economico attuale, di cui ha messo le fondamenta.
E mentre i successivi scandali con le relative accuse di corruzione, violazione dei diritti umani e controllo autoritario del potere, gli hanno fatto perdere credito di fronte al ceto medio, rimane popolarissimo tra la gente povera, quella che dal presidente benefattore, efficiente e antielitista, riceveva opere e regali. Questa è la dote politica del fujimorismo.
La proposta politica di Keiko si è concentrata principalmente su due slogan: “Mano dura contro la delinquenza, quindi maggiore sicurezza”; e “Opportunità per i più poveri”.
Insomma, la mera reiterazione di un messaggio populista di estrema destra che non tocca le fondamenta del sistema di produzione e distribuzione della ricchezza, ma che vuol mettere ordine e distribuire in pace le eccedenze del sistema.
Keiko da due anni è data nei sondaggi intorno al 20%, più o meno quanto ha ottenuto in queste elezioni. Un dato che rappresenta quasi esclusivamente il voto fujimorista militante, utile comunque per superare i candidati liberali “cannibali”.

Ollanta Humala, fondatore del Partito Nazionalista Peruviano, ex militare, sollevatosi contro Fujimori e Montesinos, poi beneficiato dell’indulto. Seguace di Hugo Chavez nelle elezioni del 2006, elezioni che lo portarono al ballottaggio poi perso contro Alan Garcia, nella scelta tra il sistema – antisistema.
Partito da un misero 10% di due mesi fa, in queste elezioni ha preparato un completo programma di governo, ha allestito un ottimo staff di esperti e di compagine parlamentare, si è affidato a pubblicitari brasiliani, consigliatigli da Lula, che gli hanno organizzato una campagna pubblicitaria eccellente.
Humala ha lasciato ai margini la sinistra radicale, ed essendo l'unico candidato di sinistra ha cercato di spostarsi verso il centro, lanciando segnali ai settori che lo reputano un autoritario, un Chavez mascherato, che condurrebbe il Perù verso una spirale autolesionista.
Ha rifiutato, apparentemente, l'appoggio del presidente venezuelano, mostrandosi idealmente vicino a Lula. E difatti, il Perù attuale è molto più simile al Brasile di 10 anni fa che al Venezuela del pre-Chavez, come per dire: il nostro modello è la potenza continentale. Nonostante la durissima campagna dei principali mezzi di comunicazione, è cresciuto a un ritmo di 5 punti alla settimana, fino a raggiungere il 31% finale, superiore al primo turno del 2006. Da qui, anche i primi segnali rivolti subito al centro, con i quali dice che lui non farà come Chavez, che non metterà in discussione il libero mercato ma che intende rispondere al profondo scontento della provincia e dei settori popolari.

Cosa accadrà al ballottaggio, si può forse supporre ma non dare per scontato. In Perù, i partiti personalistici non hanno capacità di spostamento del voto. Tuttavia, non si può nascondere che l'elettorato di destra, liberale e conservatore, avrebbe maggiori chance con Keiko, con la quale potrebbe trovare affinità in campo economico.
Humala potrebbe attirare parte del voto toledista, che dei tre perdenti è quello che con maggiore chiarezza ha evidenziato il problema della distribuzione della ricchezza, e parte del voto popolare di Castañeda.

L’elemento dirimente sarà appunto conoscere il peso del voto di Lima che, nel 2006, si dimostrò decisivo per Alan Garcia.
Lima ha il 30% della popolazione e quindi dell'elettorato. Qui, dopo PPK, al primo turno Humala e Keiko hanno ricevuto più o meno gli stessi voti. Perciò in questo grande bacino elettorale si parte da uno svantaggio sicuro, per il travaso di voti da PPK a Keiko. Tuttavia, in provincia, il vantaggio di Humala è abissale e il suo discorso da esponente della sinistra moderata, accompagnato da una eccellente campagna, potrebbe garantirgli di conservare lo scarto sufficiente per vincere.
Comunque andrà, una cosa è certa: il profondo Perù ha drasticamente bocciato l'economia dei numeri. Sida o cáncer, suicidio o milagro, o, forse, solo speranza contro rassegnazione.

Mario Mancini
ProgettoMondo Mlal Perù

lunedì 11 aprile 2011

Gli alunni di Vicenza in viaggio verso Haiti

Sono oltre trecento gli alunni della Scuola Primaria Pertini che hanno avuto la possibilità di viaggiare, seppur virtualmente, attraverso l'oceano fino ad Haiti grazie alla proposta di ProgettoMondo Mlal che li ha avvicinati ai loro coetanei delle scuole di Lèogane, nell’epicentro del terremoto del 12 gennaio 2010. Merito di un laboratorio, ideato e realizzato dal gruppo vicentino di ProgettoMondo Mlal, che è stato accolto con entusiasmo da genitori, ragazzi e corpo insegnante, tanto da essere inserito nel “Progetto Lettura 2011” previsto dalla scuola sul tema della diversità.
Si comincia con un viaggio sul web che parte dalla scuola, si allarga a Piazza dei Signori, poi all’Italia, supera l’oceano e approda sull’isola dei Caraibi. Con l’ausilio di video e immagini gli alunni scoprono poco a poco i suoi abitanti, lo stile di vita, le tradizioni e la cultura. Nella seconda parte dell’incontro i bambini, divisi in tre gruppi, approfondiscono un tema specifico della cultura haitiana (la fiaba, le tradizioni, la geografia) e li ripropongono a tutto il gruppo riunito attraverso differenti attività.
La scuola Pertini non è al primo appuntamento con l'isola, già lo scorso anno infatti genitori e insegnati si erano mobilitati in una raccolta fondi speciale per dare il proprio contributo alla popolazione colpita dal terremoto, sostenendo l'impegno di ProgettoMondo Mlal nella ricostruzione di 4 scuole nell'area di Lèogane, cuore dell'epicentro del sisma. Questa volta è la stessa Haiti ad entrare nelle classi delle scuole vicentine: il primo incontro si è tenuto giovedì 24 marzo con gli alunni del 4° e 5° anno, mentre martedì 29 è toccato alle prime tre classi della primaria.
Un'opportunità unica per incontrare una realtà così diversa, e insieme dare un volto alle tante famiglie sostenute poco più di un anno fa.
All’indomani del terremoto del 12 gennaio 2010 tutti gli occhi erano puntati su Haiti, oggi invece è Haiti che chiede di mostrarsi al mondo, di farsi conoscere non solo per il disastro subito, ma anche per raccontare la propria realtà senz’altro non facile ma non per questo meno affascinante. E comprenderla per noi è il vero modo per aiutare il Paese nella sua ricostruzione.
Per informazioni sul laboratorio: progettomondomlalvicenza@mlal.org e per continuare a sostenere concretamente il programma “Scuole per la rinascita di Haiti” di ProgettoMondo Mlal, versamenti su Banca Popolare Etica IT 65 G 05018 12101 000000512970.

venerdì 8 aprile 2011

Quando stranieri siamo noi

Olinda, Pernambuco, Brasile - Dopo due settimane dal nostro arrivo nella cittadina tropicale di Olinda, nello stato brasiliano del Pernambuco, siamo entrate anche direttamente in contatto con i ragazzi del Progetto Casa Melotto, all’interno del quale, sempre rispettando i tempi brasiliani e il post-resacca carnevalesca, ci stiamo inserendo giorno dopo giorno.
Venerdì 1 aprile, c’è stata la nostra presentazione ufficiale nell’auditorium, alla presenza di tutti i ragazzi, della pedagoga e del vicedirettore della Casa.
Dopo aver mostrato un powerpoint in cui descrivevamo brevemente la nostra formazione, le nostre motivazioni, e obiettivi, ci siamo focalizzate sul ruolo di Progetto Mondo Mlal in Brasile e nel Mondo, con un excursus storico che puntava a spiegare ai ragazzi anche il significato del nostro logo da loro sfoggiato inconsapevolmente ma quotidianamente sulla maglietta, divisa della scuola.
Subito dopo, con grande coinvolgimento dei ragazzi, abbiamo svolto delle dinamiche di gruppo, che attraverso alcuni giochi, hanno evidenziato i sogni e le speranze di questi giovani studenti brasiliani, affamati di cultura e di educazione nelle forme più varie, ma soprattutto dotati di tanta curiosità verso il mondo esterno, che in quel momento rappresentavamo noi tre.
Alcuni, ci hanno confidato per esempio di non aver mai avuto modo di confrontarsi direttamente con un’altra realtà, e il grande entusiasmo e la raffica di domande a cui siamo state sottoposte ne è stata la prova.
È sorta così, l’idea, di un corso di lingua e cultura italiana, fortemente richiesto dalla maggior parte degli alunni. In base alle esigenze didattiche e organizzative, concordate con il direttore della scuola Padre Robson, tale corso verrà attivato nei prossimi mesi, permettendoci così di creare e rafforzare il ponte di interscambio fra l’Italia e la realtà nordestina del Brasile.

Federica Vitello e Clara Venuto
Caschi Bianco ProgettoMondo Mlal

mercoledì 6 aprile 2011

HAITI SOGNA UN FUTURO A RITMO DI KOMPA

Michel Martelly è stato proclamato vincitore del secondo turno delle elezioni presidenziali in Haiti. Ha vinto con il 67,57% dei voti, davanti all’altra candidata Mirlande Manigat, che ha raccolto il 31,74% dei voti. L’annuncio ufficiale è stato dato lunedì 4 aprile.
Benché le elezioni fossero anche legislative, e riguardassero un terzo dei 30 membri del Senato e i 99 deputati, l’interesse del popolo si è comunque concentrato sull’elezione presidenziale. Pochi secondi dopo la proclamazione, in tutta la capitale – come in tutte le piazze del Paese – si è sentito risuonare, a colpi di sparo e fuochi d’artificio, il nome del vincitore.
Michel Martelly è una figura del tutto nuova della politica haitiana. Fino a pochi mesi fa era soltanto un noto cantante di musica kompa, “Sweet Micky”. Pochi gli avrebbero cioè dato delle chanche di successo. Eppure ha fatto il suo cammino elettorale, accompagnato dall’appoggio di tutti i suoi fan. Martelly rappresenta il cambiamento, incarna la speranza dei giovani, in un Paese dove nessuno crede ancora nel potere né nei processi di sviluppo della comunità internazionale.
In particolare ha promesso l’istruzione primaria gratuita per tutti (grandissima sfida), e una ripresa della produzione agricola.
I suoi detrattori tuttavia sottolineano la mancanza di esperienza politica e il suo passato turbolento e vedono la consultazione elettorale solo come un’operazione guidata dalla comunità internazionale. E molti mettono già in conto che la politica haitiana continuerà ad essere vincolata alle forze internazionali, nonché a un parlamento che conterà molti membri del partito Inite del presidente uscente, René Préval, e agli interessi economici delle grandi élite.
Ma oggi sembra prevalere l’euforia, che riempie le strade della capitale ancora sotto le macerie e le città haitiane. La festa è infatti durata tutta la notte per i numerosissimi fan del candidato Tèt Kale (“testa rasata”).
A noi osservatori, tanto entusiasmo pare strano. Ha qualcosa che assomiglia a un entusiasmo per una showstar della canzone, più che l’attenzione per un leader e per le sue capacità e idee politiche.
Ma questo lo si potrà giudicare soltanto dalle sue azioni e pratiche future.
Nel frattempo, ci accontentiamo del fatto che l’occasione non abbia provocato scontri o altro genere di violenza. I risultati dovranno venire confermati il 16 aprile (tempo previsto per presentare eventuali contestazioni elettorali), quindi il presidente assumerà anche ufficialmente la carica il 14 maggio.

Nicolas Derenne
ProgettoMondo Mlal Haiti


Qui sotto un'intervista fatta alla vigilia del ballottaggio a Suzy Castor, nota intellettuale haitiana, appassionata protagonista della vita politica del Paese, con alle spalle anche l’esperienza dell’esilio a cui, ai tempi della dittatura di Francois Duvalier (Papa Doc), era stato condannato, il marito ex deputato, Gérard Pierre Charles. La Castor dirige oggi il Centro per la Ricerca e la Formazione Economico sociale allo Sviluppo (Cresfed) – partner di ProgettoMondo Mlal - fondato con il marito al rientro in patria nel 1986 alla caduta di Jean-Claude Duvalier (Baby Doc).
In questa intervista la Castor offre il suo punto di vista sull'andamento di queste ultime elezioni e su quali siano le priorità di Haiti e degli haitiani nell'ottica di un reale cambiamento.

lunedì 4 aprile 2011

L'arte della percussione dal Brasile in Italia. Al via la tournee scambio con Axelata

La maggior parte dei turisti responsabili passati da Casa Encantada hanno avuto la fortuna di provare a suonare le percussioni, avvicinandosi così a un tamburo tanto temuto, e riuscendo a suonarlo sia con le mani sia con le bacchette. In molti si sono sorpresi nel vedere che ci riuscivano.
Questo per merito anche del nostro amico Nomio, maestro musicista e percussionista che, con capacità professionali e tanta pazienza, è riuscito a trasmettere questa arte anche ai meno preparati.

Col tempo, i vari musicisti italiani che sono riusciti a fare “proprio” il ritmo afro-brasiliano, sfogandosi varie ore a Casa Encantada e con i ragazzi del progetto sociale, hanno voluto che questa esperienza non si concludesse con la fine delle vacanze e il rientro in Italia. Da qui l’idea di continuare a suonare nella propria città, iscrivendosi a una scuola di musica.
E sono loro, gli ex turisti diventati amici Encantados, a chiederci ora di venire in Italia a insegnare le percussioni e la capoeira, proponendo un laboratorio nelle scuole pubbliche e dei workshop nelle scuole di musica.

Oggi, grazie a un anno di lavoro con costanti contatti via e-mail, questo progetto-sogno é diventato realtà. Con la passione e l’aiuto di tanti Encantados, siamo riusciti a stilare un programma tournee di 30 giorni, con una serie di laboratori, workshop, spettacoli, incontri, interscambio e serate di solidarietà che coinvolgeranno tutte le età possibili: dai bambini agli adulti, dal parroco al sindacalista, dall’alunno all’educatore, chi con lo sport e chi con la musica. Potremo in questo modo dimostrare come ci si possa divertire imparando nell’interscambio, e allo stesso tempo parlare di educazione, cittadinanza con solidarietà.
Nel tour italiano di 30 giorni si toccheranno le principali città venete e lombarde, con una puntatina in Emilia Romagna e in Abruzzo.
Sarà anche un’occasione per mostrare ai nostri amici brasiliani il lato straordinario del nostro Paese, i centri storici, la cucina, l’accoglienza e l’amicizia. Infatti grazie all’ospitalità di tanti amici italiani, entreranno nelle case degli ex turisti, saranno ospiti bene accolti, rallegreranno con la loro simpatia e allegria alcune nostre giornate.
Occorre mettere insieme molti sforzi anche in Italia, per coinvolgere tante persone in una programmazione simile, soprattutto in un momento economico non incoraggiante per nessuno.
Ma anche i nostri educatori brasiliani potranno in questo modo capire ancora meglio quanto sia importante il loro impegno in Brasile, al fianco dei figli delle periferie con l’arte e l’educazione, grazie anche alla solidarietà e al sostegno a distanza che verranno rafforzati da questo interscambio profondo, promosso da Casa Encantada e ProgettoMondo Mlal.

Scarica il programma completo in pfd

Loris, Maria, Nomio e Zinho
equipe Casa Encantada
ProgettoMondo Mlal Brasile

Haiti, tra macerie e nuovi progetti

Una settimana ad Haiti, in visita ai tre programmi di cooperazione allo sviluppo cofinanziati dall'Unione Europea che ProgettoMondo Mlal sta portando avanti sull'isola mentre un quarto è in fase di avvio. Giorni dedicati a documentare, con scatti e video interviste, il lavoro dei nostri tre cooperanti in tre diverse zone di Haiti: Nicolas Derenne, a Fonds-Verrettes per il progetto "Viva Haiti", Arnaldo Cubi a Papaye (Hinche) per il progetto "Piatto di Sicurezza 2", Marco Bordignon a Léogane per il progetto (l'unico di ricostruzione) "Scuole per la rinascita".

(Di Chiara Bazzanella) - Spiagge caraibiche, strutture turistiche, palme, ombrelloni e improvvisamente il nulla. Haiti la si riconosce dall'alto, in volo, quando la terra si fa sempre più arsa e marrone, quando il verde scompare e non rimangono che sassi e dirupi. E poi la capitale, Port Au Prince. La si vede atterrando, con le sue manciate di tende, distribuite come su una tovaglia male apparecchiata, senza criterio. Se non la sopravvivenza. Una città che incredibilmente, a distanza di un anno, sembra preservare ancora intatti i segni vivi del terremoto che l'ha devastata. Ferite aperte incapaci di cicatrizzarsi. Macerie su macerie, detriti su detriti, cumuli e rimasugli di case, mattoni, sassi, ferro e cemento su cui la vita, quasi noncurante, ha ripreso a pulsare ai ritmi caraibici e africani insieme, che fanno di Haiti una realtà singolare, a tratti indecifrabile, dalle molteplici contraddizioni.
Stupisce la cura nei vestiti, distribuiti a sacchi dalle organizzazioni (troppe) presenti sull'isola. Stupisce l'aspetto in generale non emaciato (più malnutrito che denutrito) di un popolo che – ce ne si accorge subito – con il terremoto è finito in una cornice solo più pietosa e desolante, incapace però di nascondere i problemi ben più profondi dettati da anni di dittature e malgoverno. La vita pulsa, tra tap tap colorati, colpi di clacson e un traffico paralizzante. Tra cumuli di spazzatura e acqua stagnante. Tra banchetti di artigianato locale e di merendine americane, che fanno da sfondo alla voglia di andare avanti, nonostante un costo della vita sproporzionato e l'incapacità di base di programmare il futuro.
Lo si vede ovunque, anche là dove il sisma non è quasi arrivato, preceduto in ogni caso da passate intemperie e uragani. Come a Fonds-Verrettes, a sud est del Paese, proprio al confine con la domenicana, dove la città-paese che ne è il cuore – a causa anche della grave deforestazione che rende la terra inconsistente e troppo vulnerabile alle piogge - è finita letteralmente a riva, spazzata via dall'ultimo uragano e riemersa quindi tra i sassi bianchi del letto del fiume, vuoto, che ne rende l'aria polverosa e bianca. È qui che ProgettoMondo Mlal, ong veronese presente ad Haiti da oltre dieci anni, ha avviato uno dei quattro progetti attualmente in corso sull'isola (“Viva Haiti”), per tentare di offrire un futuro e qualche risorsa in più ai giovani “esiliati” in quella realtà fatta di pietre, in cui l'unico inaspettato “servizio” si materializza dal nulla in un cyber cafe, realizzato da un giovane ingegnere che è tra i formatori di “Viva Haiti”. Un luogo destinato a quegli stessi giovani costretti a studiare nella capitale, per coronare il sogno di tornare a casa con il camice del medico o le competenze dell'agronomo, e che chiedono alle autorità locali di dar loro quanto meno la possibilità di studiare e specializzarsi per rimettere in piedi la propria comunità, piegata da quella stessa erosione e da una deforestazione incontrollata che fanno da sfondo anche al nuovo programma di sicurezza alimentare avviato da ProgettoMondo Mlal nelle comunità rurali del centro e nord est di Haiti, grazie al cofinanziamento dell'Unione Europea.
Qui il terremoto non è arrivato affatto, e le macerie lasciano il posto a una terra quasi desertica, pronta a trasformarsi in fango argilloso nella stagione delle piogge. Tra vecchie piantagioni di banane e cacao, in questa terra dalla quiete quasi surreale per chi arriva dalla frenesia della capitale, il movimento dei contadini di Papaye (partner locale di ProgettoMondo in “Piatto di Sicurezza 2”) offre corsi di formazione e possibilità di crescita ad agricoltori, allevatori e contadini della zona per garantire la sicurezza alimentare e la gestione sostenibile delle risorse naturali.
Un'attività con cui l'ong veronese si è già cimentata in un'altra zona dell'isola, salita alle cronache il 12 gennaio del 2010 perché tra quelle più colpite dal sisma: Léogane, là dove convergono le immagini di una distruzione impietosa e ancora una volta la quiete dettata da una vegetazione tropicale e a tratti rigogliosa. Qui ProgettoMondo Mlal ha in corso l'unico dei suoi programmi destinato direttamente alla ricostruzione dell'isola, passando per le scuole, da sempre punto di riferimento e centro nevralgico di qualsivoglia comunità.
Feriscono gli occhi i rimasugli ridotti in briciole e polvere di quelle che un anno fa erano aule e classi gremite di bambini. Aree in cui i più piccoli adesso possono tutt'al più rincorrersi, in attesa che il governo si decida a sbloccare il piano di ricostruzione del Paese. Mentre quelle divise impeccabili e piene di vita chiedono di tornare alla normalità di un tempo, di superare un trauma che, certo, resterà indelebile, ma non per questo riuscirà a frenare quella capacità indiscussa, tipicamente haitiana, di risollevarsi con dignità e naturalezza anche quando il mondo, è il caso di dirlo, le è letteralmente crollato addosso.

Scarica il pdf pubblicato sul giornale "L'Arena"

venerdì 1 aprile 2011

In Burkina è ancora coprifuoco

Ieri il Presidente ha incontrato i militari di rango e i sottoufficiali. Sia dagli articoli dei quotidiani sia dai servizi della RTB (Radio Television du Burkina), emerge che i soldati si ritengono soddisfatti e 'onorati' di essere stati ricevuti direttamente dal Presidente, pur non specificando nulla sui contenuti e dichiarando che su questo sussiste il segreto di Stato.
In mattinata Campaorè ha incontrato gli alti comandanti dell'Arma, ma non ci è ancora dato di sapere niente a riguardo.
Il coprifuoco è in ogni caso confermato e non è ancora stato specificato se e quando verrà sospeso.
Continua intanto la contestazione studentesca a Tenkodogo: stamattina molti studenti si sono riuniti alle 7 e hanno formato un corteo. Presto però la situazione è degenerata: sono state date alle fiamme la sede del Partito CDP (Congrès pour la démocratie et le progrès), le residenze di due Ministri, il Governatorato e la Maison de la Femme. Sono state poi colpiti con pietre e saccheggiati l'hotel Djamou e una stazione di servizio Total.
Qui a Bobo la situazione rimane tranquilla e non abbiamo notizia finora di eventi particolari all'interno del Paese.

Luisa Gelain
Casco Bianco in Burkina Faso

Il Mestiere di Crescere, un impegno per i bambini lavoratori

Sperimentare il dialogo tra le differenti posizioni sulla questione del lavoro infantile e sostenere l’azione dei vari Movimenti con un unico obiettivo comune -la difesa dei diritti dell’infanzia- per aumentare e migliorare incidenza e partecipazione dei bambini e adolescenti a livello locale e nazionale. Questa, in estrema sintesi, la nuova sfida aperta da ProgettoMondo Mlal in Perù, Bolivia e Colombia, con l’avvio ufficiale del nuovo Progetto di cooperazione allo sviluppo, cofinanziato dall’Unione Europea, il Mestiere di crescere.
Il massimo esperto in materia di infanzia, il peruviano Alejandro Cussianovich, collaboratore storico di ProgettoMondo Mlal e relatore alla cerimonia di inaugurazione del Progetto, lo scorso 30 marzo a Lima, ha pubblicamente ribadito quanto sia necessario e prezioso un intervento di questo tipo a fronte delle diverse problematiche, più che mai attuali in ambito educativo, salute e protezione sociale, e più che mai vive in contesti come quelli peruviani, colombiani e boliviani, sia in ambito peri-urbano che rurale. Anche per questo ha perciò salutato con particolare interesse la nuova attenzione che l’Unione Europea con questo cofinanziamento concede a questo particolare aspetto dei diritti dell’infanzia attraverso il cofinanziamento al Progetto Il Mestiere di Crescere. A lui, il capo della cooperazione allo sviluppo della delegazione della UE in Perù, Jean-Charles Fiehrer, ha poi replicato riconfermando sì la ferma posizione contraria espressa dall’Unione Europea in tema di lavoro infantile, ma anche rivelando un'oggettiva nuova preoccupazione per un tema che –ha detto- “va indubbiamente affrontato senza negare una realtà che esiste, con strumenti validi come questo Progetto”, e perciò lasciando intendere un’interessante piccola apertura. Riconoscendo infine pubblicamente come in passato, sempre con ProgettoMondo Mlal, sia stato possibile affrontare temi spinosi e portare avanti progetti su questioni simili con risultati importanti.
Protagonisti centrali del Progetto, sono e rimangono, dunque i bambini e gli adolescenti nelle loro molteplici articolazioni. Lo stesso Cussianovich ha sottolineato la necessità di un articolazione sempre più ampia fra Movimenti di bambini lavoratori e quelli di altri settori, a volte anche più disagiati con problemi di salute, nutrizione o totale abbandono. Le istituzioni partner coinvolte nel Progetto sono infatti: Manthoc (Perù), Fundacion Creciendos Unidos (Colombia), Fudnacion del pequeno trabajador (Colombia), Asociacion CUNA (bolivia).
Ma è indubbio che oggi, la presenza di istituzioni internazionali come ProgettoMondo Mlal e Italianats e Pronats, trasferisce il dibattito tra le differenti posizioni su lavoro infantile in sede europea e contribuisce a facilitare il dialogo tra gli stessi Movimenti che semplicemente difendono in generale i diritti dell’infanzia.
L’auditorio nel quale si è svolto il seminario di apertura del Progetto ha una capienza di 150 posti, occupati per lo più da bambini e adolescenti, lavoratori e non, aderenti ai vari movimenti organizzati presenti in Perù.
Tra gli adulti, il docente di Economia e direttore del Dipartimento di Sviluppo dell’Università del Pacifico, Enrique Vasquez, che ha aperto l’evento ricordando l’importanza della responsabilità, da parte di istituzioni e autorità, nel riconoscere il diritto di partecipazione e incidenza dei bambini e adolescenti, e anche la grande responsabilità, da parte degli stessi adolescenti, nel concentrarsi sempre di più nello studio, in modo da partecipare in modo serio e cosciente alla preparazione di Piani e proposte di qualità in difesa dei diritti dell’infanzia da sottoporre alle autorità municipali, nonché al dibattito generale e alla negoziazione.
Nel corso del seminario sono quindi intervenuti anche due delegati nazionali del Manthoc e il coordinatore del Programma “Il mestiere di Crescere”, chiamati appunto a presentare il progetto nelle sue componenti e obiettivi, evidenziando ciò che raccontano al momento le statistiche dei contesti economici dei 3 diversi Paesi di intervento e della realtà dei NATs e dell’infanzia in generale, negli ambiti di educazione, nutrizione, abuso e maltrattamenti. Dato, quest’ultimo, particolarmente interessante perché evidenzia come la percentuale più alta dei casi di abuso sui minori si registri proprio in famiglia.
Parallelamente, i delegati della rete nazionale di bambini e adolescenti, REDNNA, e del Movimento Nazionale dei Bambini e Adolescenti Lavoratori, MMNNATSOP, hanno ringraziato le istituzioni promotrici dell’evento per aver coinvolto loro e altri movimenti nell’obiettivo di ampliare e rafforzare una la loro articolazione, in modo da far conoscere sempre di più la problematica dell’infanzia all’opinione pubblica e ottenere la giusta attenzione da parte dei vari livelli nazionali e comunali.
Successivamente, l’assessore principale della Commissione di revisione del Codice dei Bambini e Adolescenti del Congresso della Repubblica, German Alvarez Arbulu ha ricordato che, nonostante permangano delle differenti posizioni ideologiche sul lavoro minorile, è importante rimanere uniti per quanto riguarda la difesa dei diritti dell’infanzia, e in questo senso ha sottolineato una completa apertura, da parte della Commissione, a proposte e Piani che verranno presentate delle istituzione coinvolte nel Progetto.
In rappresentanza di due municipalità di Lima coinvolte nel Progetto, la Presidente della Commissione di Educazione e Cultura della Municipalità metropolitana di Lima, (Luisa Martinez Cornejo) e un membro della Commissione dei Servizi Sociali della municipalità di ATE (Vilma Palomino Mora), hanno denunciato il disequilibrio di potere che esiste a tutt’oggi tra adulti e minori, e che influisce negativamente sulle possibilità di incidenza e partecipazione da parte dei bambini e degli adolescenti alla vita sociale. Per tanto –è stato detto- il Progetto sarà un’ottima occasione per sperimentare nuove e diverse forme di coinvolgimento e di partecipazione, grazie anche a una base legislativa che facilita il processo di incidenza, spesso ostacolato dai pregiudizi comuni sulla capacità di elaborazione di proposte coerenti per la difesa dei diritti dell’infanzia da parte degli stessi adolescenti. Anche da loro, quindi, è arrivato un esplicito invito a venire coinvolte nella creazione di Tavoli di lavoro con adulti accompagnatori e bambini e adolescenti. E questo, appunto, con l’obiettivo di elaborare proposte e Piani comunali dedicati alla difesa dei diritti dell’infanzia.
Infine, anche il vicedirettore della Defensorías Dirección de los Niños, Niñas y Adolescentes - Dirección de Familia y Comunidad, Ministerio de la Mujer y desarrollo social – MIMDES, Jhon Gamarra Arellano, ha voluto sottolineare quanto il riconoscimento dei diritti dell’infanzia sia un tema spesso di secondo piano, sia per quanto riguarda l’attenzione dei media sia per quanto riguarda l’impegno dello stesso governo. E come quindi sia di “assoluta importanza – ha rilevato- una formazione rivolta specificatamente agli adulti accompagnatori e ai bambini adolescenti, affinché possano elaborare essi stessi proposte efficaci e fattibili, così da evitare sprechi o errori nelle scelte strategiche del governo su temi nei quali, i primi protagonisti e diretti interessati, sarebbero proprio loro e dai quali, invece, vengono solitamente esclusi.

Marco De Gaetano
coordinatore Il Mestiere di Crescere
ProgettoMondo Mlal Perù