mercoledì 18 maggio 2011

L’odissea delle allergie tropicali

Recife, Pernambuco. Sono le 5 di mattina, nella calda Olinda non si è ancora alzato il sole quando, con la faccia gonfia per una qualche reazione allergica a non so cosa, chiamo un taxi per farmi portare all’unica clinica allergologica di tutto lo stato Pernambuco. Mi hanno suggerito di arrivare molto presto per poter prendere il ticket per una “consulta” (una visita).
La clinica si trova all’ingresso della città di Recife, in un quartiere piuttosto brutto, dove le rapine, gli assaltos, sono frequenti, e una decina di sem abrigo (senzatetto) dormono nelle vie laterali perché, “dato il clima si può dormire all’aperto e per terra, così il non avere una casa non risulta un grosso problema”, come mi ha poi spiegato una ragazza in fila con me.
Appena arrivata, mi trovo una, anzi due file confuse e lunghissime… Altro che mattina presto! Qui c’ è gente che aspetta da ieri sera e che arriva da tutto lo stato del Pernambuco, dalla costa alle zone interne: donne, tantissimi bambini assonnati con un succo in mano, anziani abituati da anni alle lunghe file, famiglie attrezzate di cibo e coperte, con pochi soldi nascosti addosso e tanta paura di essere derubati, e, “io” che, a prima vista, nonostante la “miscigenaçao” il miscuglio del territorio multiculturale brasiliano, non passo inosservata per il mio portoghese stentato e l’aspetto decisamente “europeo”.
Parlando con la gente, capisco che ci sono due file distinte: una per l’allergia respiratoria, e, l’altra per la pelle; in pratica sei ancora davanti all’ospedale ma già devi sapere a cosa sei allergico!
Una signora mi suggerisce di mettermi in fila per quella della pelle… lei è una paziente della clinica da 18 anni, ma le sue allergie persistono…: "devi abituarti al Brasile mia cara“, mi dice.
Sono le 6 e 30, la fila aumenta, nonostante sia gestita da una guardia che fa entrare a gruppetti di 5 persone. Stando nella fila e parlando con la gente vengo a sapere che ci sono persone che, solo dopo il terzo o quarto tentativo, (trascorrendo lì la notte intera con addosso solo il cellulare come bene importante) riescono ad ottenere una ”visita” che può essere fatta o il giorno stesso (ogni medico, non c’è un numero specifico, visita 4 persone e vengono divise per zone di provenienza secondo un criterio confuso e difficile da capire…) o nelle settimane e anche mesi successivi.
I racconti della gente, mi demoralizzano un po’, ma non mi lascio abbattere. Arriva il mio turno e, parlando attraverso un vetro con la segretaria, scopro che le senha, i posti previsti, per quel giorno sono finiti. Mi viene allora suggerito di provare nei giorni successivi, possibilmente vendendo già la sera prima per assicurarmi una migliore postazione in fila.
Incredula, arrabbiata e con la faccia sempre più gonfia, comincio a protestare e la miriade di gente che mi circonda mi osserva. Inizio a reclamare, anche perché è un'urgenza, ed essendo già passata dal pronto soccorso, è assodato che ho necessità di una visita specialistica.
Scatta la mia voglia di diritto di avere delle spiegazioni, e cerco di parlare con il direttore per capire l’assurdità di questo ospedale. Sono comunque l’unica che non si è rassegnata al fatto che non vi è nessuna possibilità, né altra spiegazione, al fatto che non potrò essere visitata. Inutile dire che il mio essere straniera ed europea, oggi gioca a mio favore: il direttore facendomi una cortesia riesce a imbucarmi in una visita nella stessa giornata, rimango in attesa in un corridoio sporco, pieno di gente che dorme e distrutta dal caldo attende con ansia la famigerata consulta allergologica.
La mia vista dura un paio di minuti, il medico mi dice che l’ospedale non è fornito dei test e non sa per quale ragione abbia avuto una reazione allergica, mi consiglia vivamente di cercare una clinica privata dove i tempi di attesa e le condizioni saranno migliori.
Ma per accedere ai servizi privati occorre un’assicurazione, che è molto cara, spesso anche superiore al salario minimo del Brasile. Così in pochissimi riescono a permettersela. Gli altri aspettano senza altre possibilità… E, qui, aspettare –come mi commenta la maggior parte della gente che è oggi in fila- può significare aspettare per tutta la vita. C’è chi muore aspettando!
Tornandomene a casa, io europea molto più fortunata, mi chiedo: che fine ha fatto il diritto alla salute per la maggior parte della popolazione brasiliana?

Clara Venuto
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal

1 commento:

  1. Morale del racconto: non agire con mentalitá europea fuori dall'europa!! Per il resto il diritto alla salute in tutto il mondo si paga, anche in italia (lo paghi prima con le tue tasse e poi con i ticket....e i tempi di attesa nelle ASL non sono molto differenti)

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