venerdì 11 marzo 2011

L'inondazione non ferma il carnevale

“Ho visto arrivare il fiume, poi la montagna cadere, l’ho vista crollare e allora tutta la gente ha cominciato a scappare. I miei figli sono corsi in casa e mi hanno detto di prendere tutto ciò che potevo, perché anche noi dovevamo andare via, ma io sono rimasto.. volevo rimanere. Poi per fortuna mi hanno convinto e sono scappato via.“ Così Limber, sfollato del quartiere di Kupini, racconta sconsolato quello che è stato definito il peggior disastro naturale di La Paz fin dai tempi della sua fondazione.
La mattina del 26 febbraio, le piogge torrenziali portate dal ciclone La Niña hanno provocato la deviazione del fiume Chujlluncani, causando un’inondazione che ha portato via con sé abitazioni e infrastrutture di otto quartieri della città, per un totale di 848 ettari.
“Ho visto il fiume prendersi la casa del muratore laggiù - continua Limber - poi quella di mio figlio e poi la mia. Il giorno dopo, quando il fango si era seccato, ho piantato un palo fino al pavimento del soggiorno per misurare lo strato di terra: erano più o meno tre metri, e le fondamenta devono essere sprofondate per più di un metro. Chi ha costruito la mia casa non ha messo abbastanza cemento e ha fatto male, molto male. Non è stata colpa mia, io avrei voluto metterne un po’ di più ma poi alla fine questo è ciò che è successo. Guarda, qui c’erano tre appartamenti, io ho quattro figli e vivevano là.”
Si calcola che almeno 600 famiglie si trovino in stato di emergenza, non potendo accedere né alle loro case né ai loro averi, sepolti sotto metri di macerie e fango.
Un responsabile dell’Alcaldìa (Municipio) ha dichiarato che il termine dei lavori di riabilitazione dell’area è stato fissato per giugno, prevedendo una prima fase - cominciata la scorsa settimana - volta al recupero di materiali da costruzione e asfalto; una seconda fase di sgombero dei detriti e una terza di riunioni e consulenze tecniche volte a generare progetti di ricostruzione.
Nel frattempo, gli sfollati vivono fra le tendopoli d’emergenza di Kupini e Callapa e i ricoveri allestiti dal municipio e dalle comunità religiose, ricevendo pasti gratuiti nelle mense popolari dei quartieri e beni di prima necessità dal governo, dall’esercito e dalle numerose associazioni che si sono mobilitate nelle ultime due settimane. Molti ancora non si vogliono allontanare dalle proprie abitazioni, come Limber e la sua famiglia per esempio, che ora alloggia in un collegio militare vicino al suo quartiere e di lì non vuole spostare “finché non ci sarà un sistema di vigilanza sui nostri terreni: rischiamo che ci siano furti o che scoppi un incendio nel parco vicino. Quindi no, non ce ne andremo finché qualcuno non si prenderà cura di ciò che è rimasto delle nostre case”.
Nonostante la tragedia in atto e il blocco imposto dall’Alcaldìa alle principali celebrazioni del carnevale, i paceños (abitanti di La Paz) non hanno voluto rinunciare ai festeggiamenti di rito, dalla celebre sfilata dei bambini nel centro alle feste private di uffici e negozi fino alle ch’alla, le benedizioni rituali del martedì grasso, dando luogo ad una riflessione ben espressa dal quotidiano La Prensa nel suo editoriale: “Il carnevale, in un certo senso, può aiutare a dimenticare il disastro in un modo coerente con l’attitudine dei boliviani, poiché esistono tradizioni che né le minacce delle autorità né il senso di perdita possono far dimenticare”.
Per me e Diego, caschi bianco giunti in Bolivia da pochi giorni a servizio del programma Qalauma, Giovani Trasgressori, l’anno di Servizio Civile è cominciato così, fra i colori e il caos, tra le note di un classico carnevale sudamericano, la fragilità di una capitale e la consapevolezza che a La Paz un’inondazione può inghiottire centinaia di case, ma non la forza d’animo e la voglia di ricominciare dei suoi abitanti. Un benvenuto complesso, ma utile per cominciare a comprendere la realtà in cui ci troviamo e nella quale vivremo per i prossimi 12 mesi, a contatto con i giovani detenuti che il Centro di Viacha accoglierà nelle prossime settimane.

Simona Durzu
Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia

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