lunedì 17 gennaio 2011

Una vita per le donne. Parma premia ex volontari Mlal

Franca e Luigi Giampellegrini sono sposati dal 1981 e hanno quattro figli. Fin dall’inizio del loro cammino, si sono dedicati a conoscere e valorizzare la ricchezza dell’“altro”. In Italia, nell’impegno sociale in parrocchia, con gli studenti Saveriani, e poi, nei primi anni ’80, con gli studenti del Collegio Giovanni XXIII e del centro di accoglienza dei Gesuiti. Con ProgettoMondo Mlal hanno poi vissuto quattro anni in Perù, dal 1986 al 1991, impegnati nella periferia di Lima in un progetto di educazione sanitaria rivolto alla comunità e destinato a formare le donne del luogo a svolgere azioni di salute per l’infanzia.
Un’esperienza che ha reso in loro ancora più vivo il senso e il valore dello scambio e dell’incontro tra culture. Nel 1993, in un rustico delle missionarie Saveriane in via Budellungo 20, vengono fondate l’associazione e la casa Pozzo di Sicar, un luogo di accoglienza e di scambio dove, grazie alla famiglia e ai volontari, vengono ospitate e seguite in progetti di autonomia donne straniere, ed eventualmente i loro bambini, in temporanea difficoltà.
Per questo il Comune di Parma ha scelto di premiarli con un riconoscimento, consegnato come di prassi nel giorno di Sant’Ilario dal sindaco Pietro Vignali, riservato appunto a chi ha contribuito all’arricchimento della comunità. Un attestato di civica benemerenza che Franca precisa essere solo un mezzo in più per diffondere la conoscenza delle donne che vengono ospitate nella casa. “In questo modo riusciamo a farci portavoce di tutte quelle donne che hanno arricchito così tanto la nostra vita con i loro progetti migratori e i loro sogni”. Una scelta di vita vera e propria, quella di impegnarsi al fianco delle donnne, che anche i loro figli (tra i 12 e i 27 anni) sembrano condividere fino in fondo, specie i più grandi. “La nostra figlia più grande partecipa al progetto dell’associazione per sua scelta”, spiega ancora Franca. “Abbiamo voluto cogliere la sfida secondo l’impulso che ci è stato trasmesso proprio in America Latina: camminando si apre il cammino. Se si ha un sogno è bene viverlo e sperare che si realizzi”.

mercoledì 12 gennaio 2011

Il grido di dolore: OGGI NIENTE SPOT, LASCIATECI SOLI

di Ericq Pierre* - È stata tanta l’agitazione che, salvo alcune eccezioni, non abbiamo potuto onorare i nostri morti come avremmo voluto. Non li abbiamo coperti e non li abbiamo sepolti. Perché erano troppi. Perché molti già erano stati sotterrati dalle macerie. Perché avevamo troppe persone attorno. Perchè c’erano troppe vittime, troppi morti ancora estremamente presenti. Mai altro dilemma ci è parso tanto grande: seppellire i morti o soccorrere quelli che stavano morendo?
Non abbiamo onorato i nostri morti e non ne siamo orgogliosi. Non ci piace pensarli inermi sotto gli occhi di tutti, soprattutto degli stranieri. E allo stesso tempo non sopportavamo di piangere mentre il mondo intero ci guardava. Perchè il mondo intero è venuto ad aiutarci, e a vederci piangere.
Ci disgusta essere considerati oggi uno spettacolo. Alcuni si disperano tutto il tempo, ma questo non deve far pensare che gli haitiani siano propensi a esprimere le proprie emozioni in pubblico.
In realtà la massiccia presenza di amici stranieri, seppure accorsi in nostro aiuto, è diventata un carico pesante. Sono venuti in molti e non se ne sono andati. Sono venuti con troppe proposte, troppe risorse, troppe promesse. Hanno preso troppe decisioni. Sono arrivati con un carico di conoscenze, ma senza capacità pratiche.
In tanti ci hanno abbracciato, che alla fine quasi ce ne vergognavamo. Com’è possibile, chiedete voi? Con il calore dei loro abbracci quasi ci hanno soffocato.
In questo 12 gennaio 2011, molte organizzazioni presenti ad Haiti approfittano dell’anniversario per guadagnare in visibilità, e per convincere i finanziatori dell’importanza del lavoro fatto nel corso dell’anno. E insisteranno sulla necessità di venire ancora supportati in futuro.
Con quel poco di ricostruzione tangibile e visibile, e soprattutto con l’evidente carenza di ricoveri per il milione di senzatetto e il mancato avanzamento nell'opera di rimozione dei detriti, nel giorno dell’anniversario queste Organizzazioni si preparano a presentare insieme alle autorità locali la propria visione sul futuro di metà di quest’isola. Per l’occasione faranno un’intervista dopo l’altra, distribuiranno video che diano la prova della presenza della loro organizzazione e dei sacrifici che hanno fatto, anche personalmente, per venire in aiuto degli haitiani.
Alcuni ripeteranno per l’ennesima volta che Haiti riceve più aiuti di qualsiasi altro Paese, escluso l’Afghanistan. E rinnoveranno il loro sostegno al popolo haitiano, usando nuove cifre, o anche cifre riciclate.
Per alcune Organizzazioni non governative (ONG), anche la lotta contro l'epidemia di colera è inserita nell'agenda del 12 di gennaio, sebbene abbiano già espresso una certa delusione quando l'epidemia è apparsa dove non se l'aspettavano.
Infatti l'idea era che il colera si dovesse essere sviluppato negli accampamenti di periferia, e solo dopo nel resto del Paese. E in molte avevano lanciato allarmi prematuri su un germoglio epidemico negli accampamenti. Invece la malattia si è comportata in modo molto diverso.
Infatti il colera è cominciato nella zona rurale di Artibonite, e non negli accampamenti dei sopravvissuti, e si è poi diffuso altrove con particolare accanimento.
La stessa Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (Minustah) dovrebbe accettare le conclusioni scientifiche a cui si è giunti rispetto all'origine di questa malattia. Ma molto poco si è fatto fino ad ora in quella direzione.
È anche comprensibile che le Organizzazioni, che veramente hanno lavorato tutto l'anno ad Haiti, usino questo anniversario per parlare delle proprie attività e perfino per autopromuoversi.
Ciò che chiediamo loro è soltanto che il 12 gennaio non organizzino commemorazioni pubbliche, celebrazioni, né inaugurazioni di nessun tipo. Il mio unico suggerimento è che scelgano qualunque altra data di gennaio, eccetto quella di mercoledì 12.
Ci lascino questa data, affinché noi haitiani possiamo finalmente onorare da soli i nostri morti.
Chiedo ai nostri amici stranieri che ci diano almeno un giorno. Uno solo. Ci lascino soli il 12 gennaio del 2011. E ogni altro 12 gennaio degli anni a venire. In fondo si tratta di un solo giorno nell'anno, dal 2011 d'ora in poi, per onorare i nostri morti, ricordarli e riflettere su quanto è accaduto, su come e perché oggi siamo qui. Dobbiamo ritrovare un po' di pace, soli con noi stessi.
Spero che i nostri amici stranieri capiscano, che le ambasciate capiscano, che le agenzie multilaterali e bilaterali capiscano. Che capiscano le ONG, la Minustah, le Nazioni Unite, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, la Comunità dei Caraibi e tutti gli "amici di Haiti." Dobbiamo rimanere da soli e riscoprirci.
Molti miei concittadini sono arrivati a dirmi che sentono la nostalgia di quando eravamo più soli che mai. Le cose non andavano affatto bene, è vero, ma nemmeno oggi vanno bene, e non siamo soli.
Desideriamo davvero tenere il 12 di gennaio per noi. Direi che è quasi l’unico gesto di sovranità di cui siamo capaci.

* Ericq Pierre, economista e agronomo haitiano
lavora per la Banca Interamericana di Sviluppo

L’impegno della cooperazione: HAITI UN ANNO DOPO: BILANCIO O RILANCIO?

di Mario Mancini, ProgettoMondo Mlal America Latina - Il 2010 è stato un anno fatale per Haiti; una dura e tragica ovvietà, per un Paese che ha avuto, in solo un anno, un terremoto con 220mila morti, l'uragano Tomas che ha distrutto decine di villaggi, un'epidemia di colera che ha prodotto finora 3.000 morti, un primo turno elettorale di elezioni presidenziali con accuse di brogli e incidenti.
Una sorta di catastrofe abbattutasi su un Paese già avvolto da un radicato fatalismo, da una diffusa rassegnazione, da un'agonica resistenza. E tuttavia, per chi va ad Haiti, la sensazione che si prova è di “vitalità”, si sente lotta quotidiana per la sopravvivenza ma anche il desiderio delle piccole cose, lo spazio ancora per l'estetica, il gusto per una poetica passione.
Ad Haiti sembra di essere in un Paese sconvolto da un bombardamento finale. E il 2010 può considerarsi quasi il punto culmine di una crisi storica, un fenomeno che chiude un ciclo strutturale, caratterizzato dalla spoliazione di risorse e dall'alienazione sociale.
Un Paese nato per essere vittima sacrificale. Ma forse tutto ciò è solo un'illusione ottica, prodotta dai nostri occhi occidentali, dal nostro punto di vista materialista, dalla nostra cultura razionalista.
Ma, tra loro -nei discorsi in famiglia, tra amici, per strada- gli haitiani cosa pensano di tutto ciò? Cosa pensano della loro drammatica storia repubblicana? Cosa pensano dello sfruttamento delle economie mercantiliste? Cosa pensano delle miserevoli opportunità offerte dall'emigrazione, negli USA, in Dominicana? Cosa pensano della tutela delle “nazioni sviluppate”?

Di certo, molto prima del sisma, la MINUSTAH era considerata dall'haitiano come una “forza di occupazione”.
La reazione alla notizia, poi rivelatasi vera, che il colera è stato diffuso dalle truppe nepalesi dei caschi blu della MINUSTAH, ha confermato e alimentato l'idea di estraneità di questa presenza.
E cosa può pensare l'haitiano comune che, dopo il terremoto, si vede invaso di nuovo il proprio territorio da frotte di organizzazioni umanitarie, con le jeep, camion e altre diavolerie che servono principalmente ad approfondire il solco tra “noi” e “loro”, ad allargare l'asimmetria di relazioni? Prima del terremoto ad Haiti operavano poche ONG, solo alcune italiane, alcune francesi, un paio tedesche. Insomma in numero sicuramente minore rispetto ad altri Paesi dove, gli indici di povertà sono sicuramente migliori.
Forse Haiti era poco appetibile per numerose ragioni, tra cui la debolezza istituzionale, il problema della comunicazione, la logistica disagevole, alti indici di corruzione, violenza sociale latente. Eppure, dopo il sisma, è diventata all'improvviso oggetto di attenzioni da parte di tutti, provocando una serie di distorsioni proprie di una situazione eccezionale.
Dicevamo, un giorno a Port Au Prince, che ad Haiti occorre moltiplicare tutto per 4: tempi di realizzazione di un'attività, tempi per realizzare una pratica, tempi per ottenere una lettera, ma anche i costi degli affitti, gli stipendi del personale locale, gli stipendi del personale espatriato. Tutto, ma proprio tutto, viene parossisticamente esagerato da una situazione di partenza già drammatica, e da un punto di arrivo offuscato da una realtà complessa e articolata.
Le distorsioni del dopo terremoto sono evidenti: molta distribuzione di beni; molti bei documenti, reportage e rapporti; quasi zero di ricostruzione vera. Nessuna scuola è stata attualmente ricostruita, pochissime macerie raccolte, nessuna opera significativa avviata. E tutto ciò a causa di una burocrazia che blocca tutto, una sorta di confusione in cui sguazzano i potentati locali, i soliti politici corrotti in compagnia di ottimi corruttori internazionali, imprenditori o semplici affaristi.

Ad Haiti sono chiari e definiti solo i centri di potere, o almeno chi influenza il grosso volume di risorse dirette alla messa in atto del piano di ricostruzione. Per il volume di risorse da gestire e per le priorità della ricostruzione, è evidente che un grande peso ricade sulla Commissione ad interim per la ricostruzione di Haiti (IRCH sigla in inglese). E la composizione del consiglio di amministrazione riflette il peso delle differenti istanze sulle decisioni da prendere.
Il Board è composto dalla componente nazionale e da quella internazionale. La nazionale comprende rappresentanti dei tre poteri dello Stato, governo, parlamento, potere giudiziario, enti locali e le principali forze della società civile, imprenditori e sindacati. Nella componente internazionale fanno parte il co-presidente Clinton e poi i rappresentanti dei principali Paesi donatori (USA, Francia, Spagna, Canada, Norvegia), Paesi di cooperazione continentale (Venezuela, alleato del paese sul tema energetico, e Brasile come Paese che coordina la MINUSTAH), organismi sopranazionali (CARICOM e Unione Europea), ONU e organismi finanziari (BID, WB). Oltre al CIRH rimane il grandissimo peso della MINUSTAH, almeno nei temi legati alla ricostruzione istituzionale (stabilizzazione, sicurezza) del PNUD e, in temi settoriali, UNICEF, FAO e OMS.
Il peso delle ONG è circoscritto nei propri ambiti specifici di intervento, progetto, località, settore; solo alcune di loro, MSF, SVC, OXFAM, rappresentano un vero centro di potere. Scarso è il peso della Chiesa Cattolica, mentre appaiono più influenti le numerose chiese protestanti e sette religiose, radicate soprattutto nelle aree rurali.
Gli enti locali, poi, costituiscono dei deboli centri di potere, data la scarsità delle risorse gestite e le ancora diradate competenze che gli sono attribuite.

ProgettoMondo Mlal è presente ad Haiti da 13 anni, e negli ultimi anni ha incrementato la propria azione operando con progetti di sviluppo rurale e di rafforzamento istituzionale orientato a potenziare le competenze degli attori locali. Dopo il terremoto ProgettoMondo Mlal è dovuto intervenire nell'emergenza, soprattutto perché l'epicentro si è prodotto proprio nel luogo dove era ancora in corso un progetto di sicurezza alimentare; quindi, più che un obbligo morale, una conseguenza logica e operativa per continuare a sostenere un processo in marcia.
Per ProgettoMondo Mlal la presenza a Léogane, e nelle altre zone rurali di Haiti, Fond Verrettes, Hinche, Wanament, si basa sullo stesso principio: il rispetto della dignità degli haitiani.
Questo rispetto si traduce in varie azioni concrete e in un approccio molto semplice: iniziative e progetti si fanno solo a partire da un protagonismo vero e autentico delle Organizzazioni haitiane.
Il rispetto che ci dice che le decisioni sulle cose da fare devono essere prese sempre con i nostri amici haitiani. Che noi non siamo lì per alleviare le loro sofferenze, ma per dare realtà alle loro speranze.
Il lavoro nelle scuole distrutte dal sisma, o con le organizzazioni di contadini o di donne, sono dettate sempre da un'idea di collaborazione fattiva con gli attori locali.
ProgettoMondo Mlal dovrà ricostruire 4 scuole, attualmente bloccate dalla burocrazia e dalla stasi istituzionale, ma nel più ampio contesto di un miglioramento della qualità educativa.
ProgettoMondo Mlal sta cercando di riattivare le capacità produttive delle organizzazioni di contadini di Léogane, ma nella prospettiva di generazione di reddito e di uno sviluppo agricolo sostenibile.
Sono esempi e segnali di un modo di operare che pretende di trasformare l'emergenza in un “nuovo inizio”, in cui puntiamo sempre a rimanere al fianco, e non davanti, agli haitiani.

Mario Mancini, originario di Salerno, è da 17 anni in America latina. Dopo molte esperienze sul campo come cooperante di ProgettoMondo Mlal in area andina, attualmente vive a Lima in Perù e segue come consulente dell’Ufficio Progetti la costruzione dei nuovi Programmi di Sviluppo.

martedì 11 gennaio 2011

L’iniziativa. PER NON DIMENTICARE HAITI

In occasione dell’anniversario della terribile data che ha segnato per sempre la vita di chi popola la piccola isola caraibica, Aurélie, la giovane sorella del nostro coordinatore ad Haiti, Nicolas Derenne, ha lanciato dal Belgio (Paese di origine di Nicolas) una lotteria internazionale a sostegno della popolazione haitiana e dei progetti di ricostruzione.
L’idea è semplice e non richiede grandi sforzi economici. Iscrivendosi alla lotteria entro il 26 gennaio, con soli 5 euro si parteciperà all’estrazione in programma per il 30 gennaio che vedrà in palio prodotti del variopinto artigianato haitiano!
Per partecipare alla lotteria è sufficiente contattarci telefonicamente allo 045.8102105 – via mail a sostegno@mlal.org o sul nostro sito www.progettomondomlal.org o sulla nostra pagina di Facebook (progettomondo mlal).

Un altro modo per non dimenticare la tragedia di un anno fa, può essere l’acquisto e la lettura del nuovo libro documento, fresco di stampa, “Haiti, l’innocenza violata”, Infinito Edizioni, a firma di Marco Bello ed Alessandro Marchi, giornalista il primo e volontario il secondo, con entrambi una lunga esperienza sul campo ad Haiti
La pubblicazione raccoglie il “punto di vista” degli haitiani, molte testimonianze importanti raccolte nella società civile haitiana, un saggio inedito di Laënnec Hurbon e la prefazione di Maurizio Chierici. Il volume è disponibile presso i nostri uffici (045.8102105 – sostegno@mlal.org) al prezzo di copertina di 13 € più le eventuali spese di spedizione. L’intero ricavato andrà a sostenere i programmi di sviluppo ad Haiti realizzati dalle due Ong ProgettoMondo Mlal e Cisv.

ProgettoMondo Mlal, ininterrottamente ad Haiti da 13 anni, è al momento impegnato nel Paese con 4 programmi di cooperazione allo sviluppo. Tre cofinanziati dall’Unione Europea (Viva Haiti, Piatto di Sicurezza e Nuove Energie) e uno di ricostruzione post terremoto (Scuole per la Rinascita) sostenuto esclusivamente dalla solidarietà italiana:
“Allora, come oggi, è per noi estremamente importante potere lavorare per e con le associazioni haitiane –dice il presidente di ProgettoMondo Mlal, il veronese Mario Lonardi-. Soltanto il coinvolgimento diretto e attivo della società civile può garantire infatti una vera rinascita di Haiti”.
E mai come oggi gli haitiani sono soli. “Il vero dramma, a un anno di distanza dal terremoto – ci conferma il nostro cooperante Nicolas Derenne da Haiti, e quel giorno testimone diretto della tragedia- è che oggi hanno perso la speranza. Gli haitiani non credono più in niente. E d’altra parte nessuno può dire loro che il domani sarà migliore. I traumi, i morti, le perdite, e la paure sono ancora estremamente vivi, in un Paese che non va avanti di un metro. In queste condizioni, è francamente difficile sperare ancora... Lo si è visto durante queste feste: un tempo Natale e Capodanno erano tradizionalmente occasioni di festa, di scambio di calore e di gioia, pure nella poverissima Haiti. Quest'anno è stato difficile persino farsi gli auguri: «Non c'è niente da festeggiare», ti rispondevano sconsolati”.

per donazioni: Banca Popolare Etica
Iban IT 07 J 05018 12101 000000 511320
o con carta di credito
causale “Per non dimenticare Haiti”

HAITI, UN ANNIVERSARIO SENZA FESTA

È un disastro, non sapete quale! È un disastro totale”. Così, all’indomani del terribile terremoto che il 12 gennaio di un anno fa ha sconvolto l’isola, tentava di descriverci al telefono lo spettacolo che aveva davanti agli occhi il nostro cooperante ad Haiti, Nicolas Derenne, e che non aveva ancora fatto il giro del mondo.
In quelle ore ad Haiti non c’erano molte organizzazioni umanitarie e i Caschi Blu, universalmente delegati a risollevare l’insollevabile, con il terremoto avevano perso tutto, a cominciare dai propri vertici sepolti sotto le macerie.
Quel giorno ProgettoMondo Mlal era tra le poche Organizzazioni italiane sul posto. Al tempo stava portando a conclusione un primo Progetto di sicurezza alimentare nell’epicentro del terremoto, a Lèogane, 40 chilometri a ovest della capitale. Proprio dove oggi sta ricostruendo 4 scuole e accompagnando nel ritorno alla normalità un migliaio di bambini con i loro insegnanti e i famigliari.
Grazie a quelle basi solide, a quelle relazioni, conoscenze e partner, oggi gli interventi di ProgettoMondo Mlal sono diventati 4. Tre cofinanziati dall’Unione Europea, uno sostenuto esclusivamente dalla solidarietà italiana:
“Allora, come oggi, è per noi estremamente importante potere lavorare per e con le associazioni haitiane –dice il presidente di ProgettoMondo Mlal, il veronese Mario Lonardi-. Soltanto il coinvolgimento diretto e attivo della società civile può garantire infatti una vera rinascita di Haiti”.
E mai come oggi gli haitiani sono soli. “Il vero dramma, a un anno di distanza dal terremoto – ci conferma il nostro cooperante Nicolas Derenne da Haiti, e quel giorno testimone diretto della tragedia- è che oggi hanno perso la speranza. Gli haitiani non credono più in niente. E d’altra parte nessuno può dire loro che il domani sarà migliore. I traumi, i morti, le perdite, e la paure sono ancora estremamente vivi, in un Paese che non va avanti di un metro. In queste condizioni, è francamente difficile sperare ancora... Lo si è visto durante queste feste: un tempo Natale e Capodanno erano tradizionalmente occasioni di festa, di scambio di calore e di gioia, pure nella poverissima Haiti. Quest'anno è stato difficile persino farsi gli auguri: «Non c'è niente da festeggiare», ti rispondevano sconsolati”.

Eppure le grandi Organizzazioni internazionali stanziate sull’isola sono oggi migliaia. Manca però una regia, un coordinamento da parte del governo, una visione chiara di sviluppo, insomma una qualunque strategia locale. Per mesi e mesi i piccoli Comuni distrutti dal sisma hanno invocato un Piano di ricostruzione, un progetto urbanistico che difendesse le loro comunità, già stremate, da un ulteriore caos. La risposta è stata peggio del terremoto. Il silenzio, fatto di poco coraggio, paura e fragilità umana, ha visto crescere l’idea che Haiti non possa farcela. Non possa, come in passato, voltare pagina.
A 12 mesi di distanza ad Haiti mancano infatti i minimi segnali di normalità, là dove nulla è rimasto in piedi. E dove, mese dopo mese, si sono aggiunti drammi su drammi: a cominciare dalla fame, per continuare con gli uragani, la paralisi politica con gli ultimi brogli elettorali, e per finire con l’epidemia di colera che avanza inesorabile senza sconti.
Montagne di macerie sono ancora ovunque. E a queste si sommano pozzanghere stagnanti e cumuli di rifiuti ai bordi delle vie, specie vicino ai mercati di frutta e verdura, fonte di sopravvivenza per migliaia di famiglie. La capitale, Port au Prince, è come se fosse una città bombardata, e subito dopo invasa da una popolazione, comunque obbligata a sopravvivere in quella distruzione.
ProgettoMondo Mlal è ad Haiti da oltre 13 anni. Ininterrottamente ha lavorato nell’isola caraibica per portare la sicurezza alimentare nelle comunità rurali (Progetto Piatto di Sicurezza), per formare la popolazione nella prevenzione dei disastri naturali, per offrire occasioni di sviluppo ai comuni più poveri, occasioni professionali ai giovani della frontiera con la Dominicana (Progetto Viva Haiti), per impiantare nuove fonti di energia sostenibile in un territorio massacrato da disboscamento ed erosione del suoli (Progetto Nuove energie), per restituire i bambini alla scuola, al gioco alla vita (Progetto Scuole per la Rinascita).

Ricorda ancora Nicolas Derenne: “Proprio perché tra le poche presenti sull’isola già il 12 gennaio del 2010, la nostra Organizzazione ha subito potuto mettere a disposizione della popolazione le poche strutture sopravvissute al sisma nella zona di Léogane, la più colpita”.
E ancora: “Siamo stati vicini agli haitiani nel periodo delle piogge che ha aggravato la situazione nelle settimane successive al terremoto. C’eravamo durante la violenza nelle strade, la caccia internazionale agli orfani. Con questa gente abbiamo condiviso la disperazione, la speranza, l’epidemia del colera e le elezioni su cui ancora non si è fatta chiarezza”.
Siamo soprattutto con i più piccoli, con gli scolari, le loro famiglie, gli insegnanti e l’intera collettività del dipartimento di Grande Riviere, la Terza Sezione del Comune di Léogane a cui vengono oggi prioritariamente indirizzati i nostri aiuti.
In Italia la solidarietà si è subito messa in moto, associazioni già nostre partner o alla ricerca di nuovi amici attraverso i quali potere dare una mano all’isola, amministrazioni pubbliche, sindacati, scuole, gente comune… tutti pronti a dare il loro contributo.
In pochi mesi sono stati messi sulla carta contributi per oltre 800 mila euro. Fondi non ancora interamente stanziati ma destinati dai nostri partner italiani, Ccs e Albero della Vita, dalle Regioni Piemonte e Valle d’Aosta, le Province come il Trentino, Comuni come quello di Genova, ed enti quali la Caritas, o da aziende come la Fix Design, al nostro Progetto di ricostruzione. Perché da soli i soldi non bastano. Ad Haiti è soprattutto difficile impiegarli bene.
Sapere aspettare a volte è difficile. Avremmo tutti voglia di potere dire che molto è stato fatto in questo anno e che tutto è tornato come un tempo. A volte le lungaggini burocratiche, comuni alle nostre latitudini, diventano insopportabili fuori di casa nostra. Eppure ad Haiti c’era –e c’è ancora- da ricostruire un’intera vita democratica!
Nonostante ciò, nonostante la lentezza del processo di ricostruzione, la solitudine, la tensione, la fatica e talvolta la sensazione di non muoversi di un passo, sappiamo che non dobbiamo permettere che questa gente rimanga schiacciata da tanta catastrofe.
Dobbiamo rimanere qui forti e fermi per aiutarli a rialzarsi, per restituire un futuro ai loro figli, per liberarli dalle paure e dalle nevrosi che ancora li paralizzano, sapendo che dobbiamo, e possiamo, farlo solo a partire dalle risorse locali, al fianco degli haitiani e attraverso le loro braccia e le loro teste. Persone indispensabili e uniche, come le associazioni nostre partner nell’isola, gli insegnanti e gli agricoltori con cui condividiamo ancora, giorno dopo giorno, il misero quotidiano qui ad Haiti.

LA TESTIMONIANZA: Haiti, non soldi ma umiltà e capacità di ascolto

di Nicolas Derenne, coordinatore ProgettoMondo Mlal Haiti - Il Paese sembra avere imboccato un vicolo cieco. Quasi un milione di senzatetto vivono ancora ammassati sotto le tende e teloni stesi tra un palo e uno spuntone di macerie, in condizioni inumane. Si calcola che fino ad oggi siano state sgombrate soltanto il 5% delle macerie. Ciò impedisce la ricostruzione e rende la capitale un’immensa bidonville.
La comunità internazionale, il governo haitiano e le Organizzazioni umanitarie si rimpallano la responsabilità di ritardi e fallimenti. Tra i problemi rilevati, in particolare l'indecisione del governo haitiano, la mancanza di coordinamento dei Paesi donatori, o ancora la mancanza d'azione della Commissione ad interim per la ricostruzione (Cirh).
I Paesi donatori e le Organizzazioni sono troppo occupate a portare avanti i propri programmi di azione umanitaria, per promuovere un piano globale e integrato insieme alla comunità di questo Paese.
Così gli haitiani guardano questi cooperanti sgommare con le loro grosse macchine, arrivare e ripartire rapidamente. Ovunque nel Paese, e ancora di più a Léogane e Port-au-Prince, le Organizzazioni in un anno si sono moltiplicate in maniera inverosimile. Si incontrano dappertutto loro rappresentanti, spesso giovanissimi, con magliette supergriffate dalla propria organizzazione o gruppo religioso.
Haiti pare diventando il passaggio obbligato nel percorso di formazione allo Sviluppo. Questi giovani non parlano quasi mai creolo, spesso nemmeno il francese. Per lo più in pochi mesi, uno stesso posto passa di mano in mano sotto differenti responsabili. Alla fine della loro missione, avranno assistito a tutte le riunioni in tenda o alle varie operazioni di distribuzione alimenti, ma non avranno mai messo il naso fuori dal proprio presidio, mai ascoltato con un haitiano, mai bevuto un bicchiere di clairin.

Sul fronte dell’Onu, il contingente della Minustah (caschi blu ad Haiti) è passato a 13.000 uomini (quasi il doppio di prima). Ma la sua reputazione è bassa. Vengono visti come una forza d'occupazione dalla maggioranza degli Haitiani e in molti credono abbiano portato il colera.
C'è una grande, insanabile, incomprensione tra haitiani e stranieri. Un articolo del rappresentante dell'OEA (Organizzazione degli Stati Americani), intitolato “Haïti è la prova della sconfitta dell'aiuto internazionale”, denuncia eloquentemente l'inefficienza e il nonsenso di questa missione ad Haïti. Secondo l’articolo, “non è necessaria una forza di prevenzione contro le violenze, ma più autonomia, sovranità, commercio equo e rispetto per gli altri”.

Il presidente, René Préval, accusato di mancanza di autorevolezza e di corruzione, prova a prolungare il proprio mandato di qualche mese. Il procedimento delle elezioni è infatti temporaneamente fermo, in attesa del secondo turno. Questo non avverrà prima di febbraio, dopo una nuova missione dell'OEA, incaricata di pronunciarsi sui numerosi brogli del primo turno (28 novembre) denunciati nelle scorse settimane, consegni le sue conclusioni.

Così ad oggi la situazione nel Paese è ancora bloccata a un assurdo incrocio. E sempre di più espropriata dalle mani degli Haitiani. Il Paese, diventato il centro delle buone volontà dei popoli del mondo intero, il simbolo delle politiche di solidarietà di praticamente tutti i Paesi (dagli Stati Uniti all'Europa, passando per il Senegal o la Cina: Haiti è diventata la Mecca dell'aiuto internazionale), sta diventando una capitale dagli affitti altissimi, crocevia di grandi affari dove si tratta per «comprare il Paese».
E allora: come possiamo salvare gli haitiani da tutto questo? Come possiamo reagire noi, dall'Europa, per portare la nostra solidarietà? Per costruire un mondo più giusto, equilibrato, senza cadere nei rischi perversi dell'imposizione della propria visione o del proprio interesse, come sta accadendo ad Haiti? Come cambiare le cose globalmente, proteggendo però la gente e l'ambiente a livello locale?
Visto da qui, sembra davvero urgente porci queste domande, noi che lavoriamo nei PVS o che vogliamo sentirci legati alla loro situazione.
Dal canto mio posso solo proporre che nella ricerca di soluzioni si abbiano atteggiamenti di maggiore umiltà, rispetto, pazienza. Che non si cerchi di imporre, ma che si provi a sedersi con l'altro, si provi ad ascoltarlo, a lasciarlo fare, si accetti ogni tanto di rimettersi in questione, di imparare a conoscere e capire l’altro.
Ad Haïti, come in Africa, in Italia o in Belgio, il cammino della pace e della giustizia deve sicuramente passare di qua.
Questo 12 gennaio, pensiamo ad Haiti, con umiltà e fraternità.

Haiti, l'emergenza in cifre

I dati ufficiali delle Nazione Unite e del governo di Haiti riassumono una situazione impressionante: 3,5 milioni le persone colpite dal terremoto; 222.570 morti e 300.572 feriti accertati; 2.3 milioni di sfollati e senzatetto; 1.300 campi e tendopoli di accoglienza; 105.000 case distrutte e 188.383 gravemente danneggiate. Tra queste il Palazzo Presidenziale, il Parlamento e la Cattedrale di Port au Prince, per un totale del 60% delle strutture pubbliche. E ancora, 8 ospedali distrutti e 22 seriamente danneggiati, pari a più della metà delle strutture sanitarie dell’area. E 4.992 scuole colpite dal terremoto, pari al 23% delle scuole dell’intero Paese. L’80% di queste –circa 3.978- completamente distrutte.
Léogane, l’area di intervento della nostra Organizzazione al momento del sisma, si trova a circa 30 chilometri da Port Au Prince ed è stato l’epicentro. Una zona rurale dove le case sono rade e non esistono centri urbani concentrati. Qui, le case distrutte sono quasi il 90 per cento, e la distruzione ha essenzialmente colpito strutture, abitazioni e scuole.
Solo nella Terza sezione del comune di Léogane, denominata Grand Rivière, esistono 48 scuole. Di cui solo 7 hanno avuto pochi danni minori, mentre delle altre 41 scuole 29 sono state completamente distrutte e 12 solo parzialmente in piedi.
Nella situazione attuale l’educazione rimane dunque una delle priorità ad Haiti.
Il gruppo di lavoro interistituzionale sull’educazione, costituitosi dopo il terremoto per la fase di ricostruzione, ha stabilito che 3.978 sono le scuole distrutte e danneggiate, di cui l’80% non ha ancora ricevuto alcun tipo di sostegno, nemmeno in termini di strutture temporanee e di forniture indispensabili ad assicurare il regolare programma delle lezioni.
Inoltre, nel sistema scolastico haitiano, prevale ancora una gestione privata delle strutture. Per cui, delle circa 5mila scuole colpite dal sisma, soltanto il 15% circa possono definirsi realmente scuole statali. Per il restante 85% si tratta di scuole, riconosciute sì dal Ministero dell’Educazione, ma gestite da privati: congregazioni religiose, cattoliche (in misura minore) o di altre chiese cristiane (in larga maggioranza), scuole comunitarie autogestite, o proprietari privati singoli, in moltissimi casi gli stessi direttori.
Si calcola che i destinatari delle diverse iniziative di assistenza post-terremoto siano un totale di 500mila studenti.
Nonostante però tutti gli sforzi per la riattivazione delle attività scolastiche, si è assistito nel periodo post-terremoto a una riduzione delle iscrizioni, a cui si aggiunge uno strutturale basso livello di scolarizzazione (40%). A Léogane è tornato a frequentare le lezioni meno del 50% dei bambini in età scolare. E in questo modo anche gli insegnanti hanno in gran parte perso il proprio posto di lavoro, ritrovandosi alla ricerca di nuove fonti di reddito.

IL PROGETTO DI RICOSTRUZIONE: Haiti, passione e motivazione più forti di tutto

di Julien Blachier, capoprogetto di Scuole per la Rinascita – Nonostante le lezioni scolastiche procedano regolarmente all’interno dei prefabbricati da noi istallati nei mesi scorsi, l’avvio della ricostruzione materiale degli edifici scolastici, prevista dal nostro Progetto Scuole per la Rinascita, è stato a lungo rallentato dall’attesa dei necessari permessi governativi e in forza dei vincoli posti dalla nuova normativa del governo in materia di edilizia pubblica e scolastica. Con il nuovo anno potremo invece procedere finalmente alla costruzione vera e propria delle prime 2 scuole: quella comunitaria di Myrdud e quella pubblica Les Abeilles (Le Api) di Aspam.
Consulenti e architetto hanno infatti già presentato una proposta che tiene conto sia dei necessari criteri di sicurezza sia dell’impiego di una tecnologia adeguata, condivisa anche dalle altre Organizzazioni di cooperazione che operano sul territorio nella ricostruzione delle scuole.
Un lavoro realizzato in sinergia con i nostri partner, l’Ong genovese Ccs Italia e la Fondazione Albero della Vita presente sul posto anche con del proprio personale. E reso possibile anche da quella solidarietà in continuo fermento che, nel corso di questo difficile anno, ha visto scendere in campo enti pubblici (Regione Piemonte, Regione Valle d’Aosta, Comune di Genova e Provincia di Trento) e realtà di rete, tra cui Emmaus Italia e, di recente, anche la Caritas Italia, interessata proprio al finanziamento delle prime due scuole in programma sulle quattro complessive previste dal progetto.
Se in Italia si raccolgono fondi, e la solidarietà non smette di farsi sentire, sull’isola si è la lavorato sodo per stringere tutti gli accordi con le realtà locali fondamentali per un processo di ricostruzione che, oltre ad essere rapido ed efficace, debba garantire sostenibilità e pieno utilizzo delle infrastrutture anche in futuro: con le scuole e il Comune stesso di Léogâne, ma anche con il Ministero della Pubblica Istruzione e della Formazione Professionale, proprio perché lo sviluppo del Paese non può avvenire senza un lavoro di collaborazione con le autorità e le istituzioni locali. E non solo.
Per risollevare un Paese si parte dalle fondamenta, da chi lo popola, lo vive ed è disposto a tutto per vederlo di nuovo in piedi.

Per questo ProgettoMondo Mlal lavora fianco a fianco della gente locale, insegnanti, agricoltori, psicologi, … persone qualificate che, insieme, hanno formato un’equipe di qualità in cui spiccano sempre nuove figure, ultima quella di Marina Gourge, la cui esperienza nel campo dell'istruzione ci sta permettendo di sviluppare rapidamente i nostri moduli di formazione e di pianificare tutte le attività in programma fino alla fine del mese di giugno.
Il Piano, orientato al miglioramento del sistema scolastico dell’area con un orizzonte di 3 anni, include infatti specifiche attività di formazione per migliorare le capacità di insegnamento dei docenti, la gestione amministrativa di una scuola, e lo sviluppo dei leader della comunità anche nella gestione di altri aspetti, quali: igiene e salute, educazione civica, sport e agricoltura.
Il 2011 vedrà inoltre nuovi sviluppi anche per quanto riguarda l'installazione di orti comunitari e pedagogici in alcune delle scuole che sosteniamo, per dimostrare con l'esempio il buon comportamento da seguire.
Anche lo sviluppo agricolo di Léogâne è in forte espansione: i nostri 3 vivai vantano ormai ottime rese e ci consentono già di distribuire piantine di pomodori e melanzane a oltre cinquanta associazioni di agricoltori della zona.
Il ritardo accumulato a novembre per la ristrutturazione dei canali di irrigazione è stato recuperato nel corso di dicembre. Ed è perciò una gioia visitare le sezioni comunali e vedere i terreni agricoli in pieno rigoglio. Il potenziale di sviluppo di questa zona è infatti ottimo, perfettamente adatto a sostenere la ripresa della produzione agricola del Paese.
Il Cescal - il Centro per i servizi agricoli di Léogane costruito per i produttori della zona durante il nostro precedente progetto ad Haiti, “Piatto di sicurezza” – vede già in distribuzione molti dei prodotti realizzati, che ora invadono gli scaffali di sempre più negozi, anche in altre città dell'isola. La gamma di produzione è sempre più diversificata, per soddisfare le specifiche richieste soprattutto dei clienti più importanti.
Si tratta di un lavoro costante, realizzato giorno dopo giorno, in cui nulla è mai definitivamente acquisito e raggiunto.
Ma chi lavora nel Centro dimostra una motivazione forte, che non prevede soste. Ed è questa la più bella ricompensa che ci può essere data.
Un nuovo anno nato all'insegna di buone prospettive e di un grande dinamismo, quindi, che noi riteniamo costituiscano il modo migliore per voltare pagina dal terribile 2010 che si è appena concluso.

IL LIBRO: Haiti, l’innocenza violata. Chi sta rubando il futuro del Paese?

Sui mass media italiani (ma anche stranieri) a parte rare eccezioni, non si è mai presentato il punto di vista degli haitiani di fronte alla tragedia del 12 gennaio. Le testimonianze erano sempre quelle del cooperante, del funzionario delle Nazioni Unite o del missionario. Noi abbiamo voluto invertire questo schema”. Chiare e inequivocabili le motivazioni che hanno spinto Marco Bello e Alessandro Demarchi a realizzare il libro edito da Infinito Edizioni dal titolo “Haiti, l’innocenza violata. Chi sta rubando il futuro del Paese?”.
Un’opera patrocinata da Cisv e ProgettoMondo Mlal insieme all’associazione di migranti Haititalia e i cui proventi contribuiranno a finanziare le iniziative che Cisv sta realizzando sull’isola con ProgettoMondo Mlal.
“L’idea – spiegano i due autori (l’uno giornalista e fotografo ad Haiti per la prima volta nel 1995, e l’altro insegnante volontario sull’isola tra il 1993 e il 1996, entrambi collaboratori del Cisv) - è stata quella di mettere in luce le caratteristiche del popolo haitiano e sottrarre al lettore l’immagine stereotipata di un popolo sfortunato che può vivere solo con l’aiuto delle grandi potenze. Per far questo si presenta il punto di vista di personaggi, leader, della società haitiana a diversi livelli. Vogliamo far conoscere Haiti attraverso una lente diversa: quella di un Paese che rinasce della popolazione locale che vi abita e ne è la linfa vitale. Mostrarne il vero volto facendo parlare gli haitiani che vogliono essere protagonisti di questa ricostruzione: sociologi, intellettuali, artisti, donne impegnate nei movimenti femminili, politici, giornalisti, religiosi, personalità del mondo vudù, leader contadini, ecc. In ogni capitolo si presenta un personaggio e il suo punto di vista sulla ricostruzione e sul futuro del paese. A livello narrativo si costruisce il racconto intorno alla figura del personaggio e il suo ruolo nella società haitiana”.
Parlando di Haiti si pensa a terremoto, colera, uragani. Calamità di ogni genere. Non viene in mente che ci possa essere una società civile organizzata. Ma sfogliando le pagine del libro quello che emerge è un Paese fatto anche di movimenti fondamentali per la sua storia. Il movimento contadino, quello femminista e quello operaio, le associazioni per la difesa dei diritti umani, i media indipendenti, e molti altri.
“I movimenti degli anni ’70-’80 riuscirono a cacciare il dittatore Duvalier e a portare un loro membro a capo del Paese – continuano i due autori del libro -. Fu un caso molto significativo a livello di America Latina, di uno Stato in cui il potere era diventato emanazione della base. Ma anche un esempio troppo “scomodo” per i vicini Stati Uniti. Questa esperienza fu repressa nel sangue e si fece di tutto per indebolire la società civile.
Oggi assistiamo a una tragedia dopo la tragedia. La comunità internazionale, Usa in testa, con la "scusa" della ricostruzione sta mettendo il futuro del Paese sotto tutela. Gli sta, di fatto, rubando l'indipendenza. E il popolo haitiano rischia, ancora una volta, di restare escluso anche dai piani per il proprio sviluppo. Ma la società civile fa sentire la sua voce e noi siamo andati a raccoglierla”.
Una parte del libro è consacrata anche agli haitiani in Italia che, come quelli di Stati Uniti, Canada e Francia si sono subito attivati con sensibilizzazioni sul Paese e raccolte fondi per dare assistenza. “È una realtà, quella dei migranti, che fa parte della nostra società - concludono Marco Bello e Alessandro Demarchi - ma allo stesso tempo ci permette di capire meglio anche Paesi così lontani come Haiti”.

Il libro “Haiti, l’innocenza violata” è disponibile anche presso i nostri uffici a Verona. Può essere richiesto al numero 045.8102105 – sostegno@mlal.org al prezzo di 13 € più spese di spedizione. L’intero ricavato andrà a sostenere i progetti di sviluppo ad Haiti.

martedì 4 gennaio 2011

A Casa Encantada è di scena la follia

Dov’è il confine tra la ragione e la pazzia? Qualcuno cantava che la vita è tutto un equilibrio sopra la pazzia. Esiste una Terra di Mezzo?
Un tema delicato, quello proposto di recente agli ospiti di Casa Encantada in Brasile. L’equipe dei cooperanti del programma di interscambio culturale e sociale di solidarietà internazionale di ProgettoMondo Mlal, oltre a occasioni uniche di turismo responsabile sa infatti offrire ai suoi visitatori anche momenti di confronto ulteriore. Chi si dirige a Salvador de Bahia per incontrare contadini, pescatori, bambini, e le varie realtà locali sostenute dal progetto, può quindi inaspettatamente trovare in Casa Encantada anche compagine teatrali italiane in tournèe e, in questo caso, impegnate a far riflettere su cosa sia la pazzia.
La compagnia triestina diretta da Claudio Misculin è nata trent’anni fa nell’antico ospedale psichiatrico della città e composta da un gruppo di artisti dell’Accademia della Follia. In questi giorni è impegnata in una serie di date in Brasile per affrontare il tema della follia a partire dalla legge 180 di Franco Basaglia, che nel 1978 chiudeva i manicomi per rendere “libere” le persone che vi vivevano.
Con grande preparazione e determinazione gli attori protagonisti della storia proposta hanno s-coinvolto e conquistato il pubblico di Casa Encantada, insieme all’equipe soddisfatta e fiera di poter accogliere la diversità per valorizzarla e viverla attraverso simili momenti di incontro.

Loris Campana
ProgettoMondo Mlal Brasile, Casa Encantada