venerdì 29 gennaio 2010

Salta un generatore e Cordoba è nel caos. Urgente parlare di energia

La regione di Cordoba, e in particolare la città capoluogo, è stata caratterizzata negli ultimi anni da una crescita demografica importante. Attualmente sono circa tre milioni gli argentini che risiedono nella regione (1,5 milioni solo nella città di Cordoba) e, ovviamente, i consumi energetici sono notevolmente aumentati.
Nel periodo estivo, ad esempio, il fortissimo calore che caratterizza la regione, con temperature che -solo due settimane fa- sono arrivate a toccare i 48 gradi, obbligano, almeno la parte della popolazione che se lo può permettere, l’uso dei condizionatori, cosa che, insieme agli altissimi consumi delle zone turistiche limitrofe e al ritmo lavorativo di una città in grande attività, fa salire vertiginosamente il consumo di energia elettrica.

Vicino alla città di Cordoba si trova il paese di Malvinas Argentinas, che ospita da sempre il centro di produzione elettrica della regione, caratterizzato da tre enormi trasformatori che producono il totale del fabbisogno elettrico dell’area.
Pochi giorni fa, secondo l’informazione data da giornali e telegiornali, uno dei tre trasformatori, tutti molto datati e abituati a produrre energia con un ritmo vecchio di 50 anni, ha ceduto all’enorme richiesta e si è fuso, provocando come consegueza un calo di produzione energetica giornaliera del 25% rispetto a quella necessaria alla regione per vivere.
La conseguenza è che la regione di Cordoba, almeno fino al 15 febbraio, giorno per il quale viene annunciata l’installazione del nuovo generatore, si troverà a gestire una complessa, quanto inedita, situazione di crisi energetica.
Bisogna quindi risparmiare per non creare nuovi collassi.
Da lunedì 25 gennaio l’azienda EPEC (Empresa Provincial de Energia de Cordoba), che gestisce l’energia in tutto il territorio, ha annunciato tagli di corrente di 6 ore giornaliere, divisi per settore, in tutta la città, e in diversi paesi della provincia, fatta eccezione per gli ospedali (che si trovano nel cosiddetto “settore sanitario”) e delle affollatissime località turistiche, il cui introito garantisce la sussistenza economica necessaria alla regione per vivere l’intero anno seguente.
La situazione, con annesse polemiche e proteste, fa tornare prepotentemente al centro dell’attenzione il problema dell’energia e della necessità di creare adeguate politiche di produzione e consumo per il futuro.
Un tema che naturalmente non riguarda solamente Cordoba, ma l’intero pianeta.
A livello socio-economico la situazione si presenta difficile e complessa, tanto più che molti cittadini si lamentano del fatto che gli orari in cui si sono organizzati i tagli di corrente nei singoli quartieri - comunicati attraverso Internet e i quotidiani - in diversi casi sembra non siano stati rispettati, creando disagi ancor più intensi per le famiglie, nonché situazioni rischiose, in particolare per quella parte più vulnerabile della popolazione (basti pensare agli anziani), che non sempre può accedere con semplicità ai mezzi di informazione.
Molte famiglie non possono svolgere le attività quotidiane piú elementari, come cucinare, accendere di notte le luci di casa, prendere un ascensore senza il rischio di rimanerne imprigionati per ore..
I commercianti protestano con forza e richiedono ora una programmazione minuziosa degli orari per organizzarsi adeguatamente con il lavoro. D’altra parte, il rischio è oggettivamente elevato, basti pensare ai negozi di alimentari che potrebbero perdere le proprie derrate alimentari (carne e latticini in particolare) a causa della mancanza di energia, con gravi conseguenze economiche. E, come dimostra la preoccupazione dell’Istituto di Salute Municipale, i problemi in questo caso sono anche di tipo igienico sanitario per la popolazione. Per non parlare del rischio che i tagli di luce improvvisi comportano a livello di sicurezza quando, interi quartieri, rimangono da un momento all’altro senza luce, le strade si fanno silenziose e completamente buie con un verosimile aumento del rischio di aggressioni alle persone e rapine ai negozi.

E mentre le autorità promettono “più organizzazione e indennizzi per le perdite economiche ai commercianti”, anche il dibattito politico si fa rovente. L’opposizione accusa il governo regionale di avere gestito male e improvvisato la propria politica energetica negli ultimi anni, senza investire nel rafforzamento delle centrali produttive e in una politica di sensibilizzazione al consumo energetico rivolta alla popolazione. Le conseguenze attuali, se peggiorassero, potrebbero portare alla perdita di migliaia di posti di lavoro e a disagi gravissimi per tutto il Paese.

Ai cittadini comuni non resta che aspettare e sperare che il problema si risolva presto, cercando con i mezzi a propria disposizione di partecipare alla discussione pubblica, di far ascoltare la propria voce e opinione.
L’altra sera, nel buio della mia abitazione, dove la luce è mancata senza preavviso per tre ore, ascoltavo, attraverso una radio a batterie, le varie dichiarazioni di molti ascoltatori che intervenivano protestando e proponendo i loro punti di vista.
Mi ha colpito l’intervento di una signora che, con pacatezza e serenità, si chiedeva come mai, in un momento di così forte crisi energetica, mentre il suo quartiere si trovava isolato e completamente al buio, nel quartiere a fianco, dall’altra parte della strada, i campi da tennis, completamente vuoti, fossero illuminati a giorno da grandi riflettori
Forse è tempo di investimenti “energetici”, sopratutto da un punto di vista umano.
Forse è il caso di cambiare il nostro stile di vita.

di Nicola Bellin
ProgettoMondo Mlal Argentina

giovedì 28 gennaio 2010

DIRITTI AL CIBO! Se ne parla il 6 febbaio

ASSOCIAZIONE RURALE ITALIANA e PROGETTOMONDO MLAL
con il sostegno della COOPERATIVA PRIMAVERA
Vi invitano alla presentazione del libro

DIRITTI AL CIBO!
Agricoltura sapiens e governance alimentare
di Luca Colombo e Antonio Onorati
Edizioni Jaca Book
sabato 6 febbraio 2010 alle 16
Sala riunioni del Mercato Ortofrutticolo di Bussolengo (Verona)


In questi ultimi anni il numero di persone che soffrono per denutrizione, anziché diminuire, è andato crescendo: nel 1996 il vertice dei capi di stato e di governo si era preso l’impegno di dimezzare in 20 anni il numero di persone esposte alla fame, ma dieci anni dopo, nel 2006, questo numero risultava ancora di 800 milioni, e con la crisi alimentare del 2007-2008 è salito a circa 1 miliardo. Inoltre il fenomeno riguarda non solo i Paesi poveri ma anche la stessa Europa, dove sono sempre di più le persone costrette a chiedere aiuto per nutrirsi.
Contemporaneamente, sempre nel periodo della crisi alimentare, le grandi multinazionali che gestiscono i mezzi di produzione e di distribuzione del cibo, aumentano enormemente i loro guadagni. Ed è sotto gli occhi di tutti come le grandi superfici agricole vengano destinate alla produzione di agro carburanti, mentre molte piccole e medie aziende agricole sono costrette a chiudere.

Ma davvero il cibo può essere considerato una merce, oggetto di speculazione, invece che un diritto fondamentale di ogni persona e di ogni popolo?
In questo senso la “sovranità alimentarerappresenta il diritto di ogni popolazione a definire la propria politica agricola e alimentare, a partire dai bisogni della stessa popolazione e del proprio ambiente, non da regole del commercio internazionale (ad esempio spetta all’UE proibire la coltivazione e l’importazione di OGM se gli europei non li vogliono, senza che l’Organizzazione Mondiale del Commercio possa impedirglielo).
La “sovranità alimentare” si oppone inoltre alla concentrazione del «potere alimentare», oggi nelle mani dell’industria e della grande distribuzione. La “sovranità alimentare” può essere perseguita e realizzata andando a incrementare la produzione e il consumo locale del cibo, attraverso una fitta rete di piccoli produttori in relazione stretta con i consumatori. Questo è almeno quanto si cerca di costruire dal basso, attraverso lo sviluppo di Gruppi di Acquisto Solidale, di Mercati contadini, della valorizzazione dei prodotti locali. Ma resta compito della Politica Agricola favorire queste esperienze, regolando la produzione, i mercati, la distribuzione tenendo conto di tutti gli attori della catena alimentare.

Al centro dell'incontro del 6 febbraio il libro DIRITTI AL CIBO! di Luca Colombo, ricercatore e attivista della Fondazione Diritti Genetici, e Antonio Onorati, presidente di Crocevia, attivista di ARI e punto focale del Comitato Internazionale per la Sovranità Alimentare. Il testo analizza con dati aggiornati le ragioni che hanno portato all’aggravamento della crisi alimentare, presenta esperienze di persone e popoli che stanno lottando per realizzare la sovranità alimentare e affronta anche il tema della necessità di una governace mondiale dell’agricoltura e dell’alimentazione.
A Roma, nello scorso novembre 2009, questo tema è stato al centro del Vertice FAO.
Sempre a Roma e nello stesso periodo, si è riunito un forum parallelo a cui hanno partecipato più di 600 persone, provenienti da 93 paesi, rappresentanti di 430 organizzazioni di contadini, pescatori, pastori, popoli autoctoni, operai, e altre organizzazioni di base: in questo forum si è rivendicata la Sovranità Alimentare quale soluzione efficace alla tragedia della fame.

Alla presentazione del libro seguirà un ampio spazio per gli interventi per affrontare insieme i rapporti fra il tema della Sovranità Alimentare e la situazione di grave crisi delle aziende agricole contadine in Italia e nel mondo.

Aderiscono all’iniziativa:
Associazione Scambiarti; A.Ve.Pro.Bi.; Banca Etica GIT Verona; Cooperativa sociale La Rondine; El Selese; Naturalmente Verona; MAG; Nodo veronese della Rete Lilliput; Movimento decrescita felice MDF; Planet Viaggiatori responsabili; GAS La Coccinella; Rete dei GAS veronesi.

Qui la locandina dell'evento

Per maggiori informazioni:
Associazione Rurale Italiana ARI www.assorurale.it info@assorurale.it
ProgettoMondo Mlal www.progettomondomlal.org info@progettomondomlal.org

mercoledì 27 gennaio 2010

16.52 del 12 gennaio: un minuto senza fine

È una catastrofe talmente immensa che vi chiedo di perdonare queste parole, scritte così a caldo, e che forse hanno ancora troppo di personale…
A Port au Prince, generalmente a fine giornata, la popolazione si trova nei luoghi più diversi. Così è stato il pomeriggio del 12 gennaio. Io uscivo da una riunione con i responsabili nazionali dei Piani comunali sul nuovo Progetto di sviluppo in partenza a marzo.
Alle 16.52, mi trovavo nel parcheggio d’un piccolo supermercato, a due passi da una scuola. Niente lasciava immaginare la catastrofe che stava per avvenire: il terremoto, a differenza di un uragano, non viene preannunciato alla radio.
In solo un minuto la mia vita, e quella di milioni di persone, è stata sconvolta. La prima scossa è stata totalmente inattesa, terribilmente forte, come un’esplosione.
E in pochi secondi è impossibile capire cosa stia succedendo
. Tutto si muove enormemente, si perde l’equilibrio e il senso di orientamento… Sopra, sotto, a fianco, di dietro: si avverte concreta una grandissima minaccia attorno a sé, di cui è difficile identificare anche solo fonte e provenienza. Un’esplosione? Un attacco armato? Cosa sta succedendo? Tutta la gente viene presa dello stesso panico, e non si capisce da cosa ci si debba proteggere…
Poi, la consapevolezza che si tratta di un terremoto. Mentre proseguono le scosse, ci allontaniamo dagli edifici e da altri edifici coperti buttandoci in strada. Il tutto dura un’eternità… Più di un minuto: è corto e, nello stesso tempo, infinitamente lungo. Mi è parso che l’orrore non finisse più, e ho avuto netta l’impressione che la terra si stesse per aprire sotto i miei piedi, che stesse per inghiottire gli edifici, le persone e le macchine… Ho pensato che fosse la fine del mondo.
Finalmente, la terra si è calmata. Le placche tettoniche hanno trovato come riappoggiarsi temporaneamente e concederci una tregua. O almeno questa è stata la sensazione… Ma tutt’attorno lo spettacolo era apocalittico: tutto è coperto da un pesante strato di polvere. In mezzo si muovono figure umane, grigie … e se ne intravedono altre rosso sangue. Corpi smembrati. Membra di corpi.
Niente è più come prima.
Anche io non riesco a riconoscere più il luogo in cui mi trovo, non è più quello che conoscevo… Poi lentamente capisco e metto a fuoco: la scuola, un edificio di 4 piani, non c’è più, è sparito. Al suo posto vuoto e polvere. I quattro piani si sono appiattiti uno sull’altro, in una sola massa di detriti che nascondono un numero ancora sconosciuto di persone.
I minuti seguenti sono durissimi da vivere. Decine e decine di persone affluiscono da ogni direzione, molti di loro feriti e insanguinati. I pochi superstiti della scuola vogliono saltare giù da 3 metri di altezza, e noi proviamo a dissuaderli, a pensare veloci a un’alternativa. La gente sta gridando per i propri figli, fratelli, amici, chiede che arrivi un medico… Ma io, cosa posso fare io in una situazione tanto disperata? Con un’amica che mi ha raggiunto accompagniamo alcuni feriti all’ospedale… L’ospedale è stato già preso d’assalto, ci sono soltanto due medici per una moltitudine di feriti gravi, e il divieto di entrare tra i muri danneggiati, che rischiano di crollare con le scosse di assestamento…
Cosa fare allora per rendermi utile, per aiutare almeno una di queste povere vittime?!?!? Ecco la domanda tremenda che sento urlare nella mia testa. In una situazione in cui non c’è più nulla, posso fare poco. Senza mezzi di locomozione (le strade sono bloccate), senza medici, senza ospedale, senza comunicazioni… Il senso di frustrazione è terribile. Forse posso rendermi utile unendomi ad altri, andando per esempio all’ambasciata. Non m’importa della macchina del Progetto bloccata, né penso alla mia casa, se e quanto sarà distrutta… Almeno in ambasciata ci si potrà, forse, rendere utili. Aiutare insieme, organizzare una risposta, avere delle notizie degli amici e dei colleghi, portare altre notizie, anche di se stessi…
Arrivato all’ambasciata, mi rendo conto che la confusione anche qui è totale. Automobili schiacciate, muri crollati, mobili, effetti personali e documenti a pezzi e sparsi dappertutto. Automezzi e utensili vari ridotti a nulla… La situazione è identica in tutta la capitale, e fino a Léogane, la cittadina venti chilometri più a ovest, dove si svolgono le nostre attività di Progetto… proprio dove – come mi dicono subito alcuni - è stato l’epicentro del sisma. Ma senza comunicazioni, l’attesa è insostenibile. Senza notizie dagli amici, dai colleghi, dalle tante persone che ho conosciuto e amato in questi miei due anni ad Haiti…
Più tardi, saprò che i colleghi di Léogane sono tutti salvi ma in quei momenti non si può fare altro che attendere. Attendere, pensare e sperare. Tutti i contadini che stavamo aiutando, le loro famiglie, le loro case, come staranno ora? Tutto ciò che avevamo creato grazie al nostro Progetto (Piatto di Sicurezza, ndr.), il Centro di servizi agricoli, le infrastrutture per i silos e gli attrezzi, il pozzo… avranno resistito? Passeranno giorni senza avere notizie, impossibile chiamare nessuno… Ma queste sono solo le difficoltà iniziali. Perché, nelle ore e giorni successivi, ce ne saranno molte altre, infinite. La dimensione della catastrofe è inimmaginabile.
Come tutti quelli che erano lì, ho ripensato più volte al caso che vuole che io sia ancora qui, mentre tanti altri si trovavano laddove –quel giorno a quell’ora, in quell’istante- non si sarebbe dovuto. Se non avessi avuto quella riunione quel giorno, fissata all’ultimo momento, mi sarei forse trovato a Léogane come previsto inizialmente. E, nello stesso momento, un amico che si trovava nel suo ufficio al terzo piano di un edificio e che si è lanciato giù per le scale, sbattendo dieci volte contro i muri che oscillavano e pregando che l’edificio tenesse ancora, 20 secondi di più. E Suzy, la direttrice del nostro partner, il Cresfed, stava rientrando in auto da una missione in provincia, e si è trovata in pieno epicentro. L’autista è riuscito ad evitare d’un soffio il cratere che gli si è aperto davanti schivando nello stesso momento una grossa frana che stava piombando dalla sua destra.
Per altri è andata diversamente. Piango ogni giorno un grande amico che a quell’ora stava lavorando nel suo appartamento al quarto piano; un'altra amica e collega che era andata a trovare la nostra segretaria in una casa che non ha retto. Soffro con gli amici che hanno perso la loro figliola… Con i vicini e i tanti impiegati che hanno perso la famiglia e la casa… Non smetto di pensare ai miei amici di Léogane che avevano tanta speranza e energia per la loro regione. Ho nel cuore un popolo intero che soffre.
Davanti a tutto ciò spero di tornare presto ad Haiti per riprendere il lavoro al fianco della nostra equipe con i gruppi di Léogane. La mobilitazione in Europa è formidabile e necessaria, perché non si possono lasciare gli haitiani soli in questa tragedia.
Le poche notizie che sono riuscito ad ottenere in questi giorni, per telefono o internet, sono sempre molto dure. Eppure gli haitiani resistono. La loro forza mi appare davvero incredibile. Il loro coraggio e lo spirito di solidarietà sono impressionanti. Spero che venga fatto tutto il possibile per aiutarli. Il sacrificio sarà enorme, lo so. Ma bisogna restituire agli haitiani il loro Paese.
Di cuore, ringrazio anticipatamente tutti coloro che s’impegneranno per questo.

Nicolas Derenne
ProgettoMondo Mlal Haiti


Qui sotto le immagini scattate da Nicolas subito dopo il sisma

I nostri partner da Haiti: l'urgenza di ricominciare

Gli uffici nel Centro Servizi sono andati completamente distrutti; la sala riunioni è pericolante e non può essere usata. Mentre, per quanto riguarda la struttura che ospitava i laboratori di produzione, sono caduti la facciata e una delle pareti all'interno; inoltre un pilastro è danneggiato seriamente e mancano pezzi di muro qui e là.
Le case di tutti i collaboratori del Progetto sono perse. Le loro famiglie oggi non hanno più un tetto. Tra queste abitazioni va contata anche la casa in affitto al Progetto; e molto probabilmente il computer e i pannelli solari che erano all’interno…”. Questo il primo bilancio approssimativo che arriva da Léogane, sede del nostro Progetto Piatto di Sicurezza, a ben 13 giorni di distanza dal terremoto che ha devastato Haiti e, con particolare violenza, colpito la cittadina situata a 17 chilometri dal capitale.
Ci conforta però la conferma avuta in queste ore che, ciò che resta del Progetto, e dunque l’area produttiva che sorge tutta attorno al Centro realizzato da ProgettoMondo Mlal per gli agricoltori di Léogane, funge oggi da importante luogo di incontro e raccolta per decine e decine di famiglie sfollate, anche perché – come ci diceva Suzy Castor, direttrice del nostro partner Cresfed - hay una psicosis de todo techo en esos momentos... (la gente resta all’aperto perché per ora ha la psicosi di tornare sotto un tetto, ndr.).

Per l’ufficio Progetti della nostra Organizzazione anche queste dati scarni sono di grande aiuto. Perché sottolineano quanto sia importante ripartire proprio da questo nucleo vivo e forte che resiste. E il nostro progetto di emergenza “Scuole per la rinascita di Haiti” prevede appunto di restituire a queste famiglie un quotidiano il prima possibile: ricostruendo 4 strutture scolastiche per i più piccoli e riadeguando velocemente l’attuale Centro agricolo a ricovero e per le famiglie vittime del terremoto, dotando i locali di cucine e locali mensa comunitari, aumentando l’area produttiva con altri 60 orti famigliari e riavviando i laboratori per la lavorazione di prodotti alimentari. Ma anche offrendo sostegno psicologico alle vittime, formazione e accompagnamento in materia di tecniche di autocostruzione e in prevenzione disastri e di gestione rischio. Il tutto beneficio di circa 100 mila abitanti dell’area rurale di Léogane.
Un progetto adatto alla situazione e alle nostre capacità”, come ha voluto sottolineare in una mail al nostro capoprogetto Tania Castor del Cresfed, figlia della rappresentante del nostro partner ad Haiti. Scrive ancora Tania riferendosi a Léogane: “Qui c'è ancora poco coordinamento. Gli aiuti non mancano, ma faticano ad arrivare alle persone. Gente che ha ancora fame, sete, e che quindi fatica anche a ricominciare, non ha le forze fisiche né psicologiche per rimettersi al lavoro, per contribuire alla ricostruzione del Paese”.

Eppure rimboccarsi le maniche è davvero fondamentale adesso. Lo confermano i gesuiti nostri partner nel progetto realizzato sul confine tra la Repubblica Domenicana e Haiti. Padre Regino Martinez del Sf-Solidaridad Fronteriza (Dajabon) ha confermato il massimo sostegno al progetto di ricostruzione in una mail inviata al nostro responsabile Centro America, Martino Vinci. “Al momento – ha scritto - abbiamo realizzato una struttura di emergenza per ricevere gli aiuti da inviare a Wanament, Fort Liberai, Capo Haitiano e Gonaives”. Per ribadire però che pensare al futuro è essenziale già oggi e che, su questo obiettivo, il loro appoggio, per quanto possibile, non mancherà di certo.

E pensare al futuro di Haiti significa mettersi al lavoro anche nelle altre parti dell'isola, quelle meno colpite dal terribile terremoto del 12 gennaio scorso ma in sofferenza da anni. Il segretariato generale del Comune di Fonds-Verrettes, quasi al confine con la Repubblica Domenicana, spazzato via da un uragano del 2008, ha fatto sapere al nostro Derenne che, tutto sommato i danni di quest’ultima catastrofe, non ha causato gli stessi danni registrati nella zona dell’epicentro.
Quindi il nostro nuovo progetto “Viva Haiti, che secondo i programmi del cofinaziatore Unione Europea, doveva partire con i primi di marzo, non dovrebbe incontrare ostacoli. Anzi, trattandosi di un programma pensato per rafforzare il comune, gli attori locali, le associazioni e la società civile, nell’ambito dei processi di sviluppo locale, “il nostro intervento anche di ricostruzione anti-catastrofe sarebbe assolutamente in linea con le problematiche di oggi”, garantisce Derenne.

Rientrato per una decina di giorni in Europa, per incontrare famigliari e amici e partecipare in sede alla necessaria riprogrammazione dell’intervento, Nicolas è già pronto a rientrare ad Haiti. Rimangono ovviamente le preoccupazioni logistiche, non indifferenti. Anche il nostro cooperante, come migliaia e migliaia di haitiani, non ha infatti più una casa. Ma ha anche tanta voglia di rimettersi al lavoro, di rituffarsi nella realtà di un Paese che ha visto per l’ennesima volta cadere, e tornarci con il desiderio, ancora intatto, di fare tutto ciò che è in nostro potere per aiutarlo a rialzarsi.

venerdì 22 gennaio 2010

Haiti: il Cefecacc è diventato un centro di ricovero

Un centro di accoglienza per gli haitiani senza casa. È così che, in questi giorni di disperazione in cui la gente ha perso tutto, viene utilizzato lo spazio in cui i cittadini di Léogane erano abituati a ritrovarsi per le riunioni formative e organizzative del nostro progetto Piatto di Sicurezza.
Se prima ad animarlo erano i contadini impegnati nel progetto, ora il Cefecacc è diventato un punto di riferimento fondamentale per gli abitanti di Lèogane, i più colpiti dalla catastrofe e per i quali in questo momento l'esigenza di una tetto è diventata una vera e propria psicosi.
La notizia ci arriva da Suzy Castor, responsabile del Cresfed, partner di ProgettoMondo Mlal ad Haiti, che è riuscita a mettersi in contatto con il nostro responsabile Centro America Martino Vinci.
Nella mail Suzy descrive un'Haiti devastata, piombata nell'emergenza più totale, provata da continue scosse (l'ultima ieri mattina) che stanno creando sempre più isteria tra le persone.
“Ma adesso – scrive – dobbiamo prepararci alla ricostruzione. Si tratta di un'urgenza sempre più impellente. Gli aiuti di emergenza stanno arrivando, ma la distribuzione è difficile: non c'è coordinazione tra i donatori e lo Stato si rivela assente. La paura è che la solidarietà internazionale possa disperdersi e non arrivare dove deve. Invece il popolo haitiano - e in questo ci troverà al suo fianco - deve risollevarsi al più presto e lavorare alla ricostruzione del proprio Paese per arrivare a un risultato degno del XXI secolo”.
Suzy dà poi qualche suggerimento tecnico sul nuovo progetto appena avviato. “La costruzione delle scuole è urgente. E anche la formazione tecnica (già prevista nel progetto Viva Haiti finanziato dall'Unione Europea) va sfruttata proprio in prospettiva dell'apprendimento scolastico. Tutte le iniziative devono coinvolgere le autorità locali, compresi il sindaco e in consiglieri comunali perché gli edifici siano costruiti in vista di un loro utilizzo che abbia durata nel tempo”.

Grazie ai rapporti consolidati con i tanti partner locali, quindi, ProgettoMondo Mlal è in grado di pensare oggi all’Haiti di domani. Ma per realizzare il nostro progetto di ricostruzione abbiamo bisogno di tutti. Nessuno escluso!

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mercoledì 20 gennaio 2010

A Léogane il 95% delle case sono distrutte

Ad Haiti la terra è tornata a tremare ancora. Un'altra fortissima scossa questa mattina ha creato nuova paura e tensione sull'isola già devastata.
Jean Ronel Vaillant, ex sindaco di Leogane, e coordinatore locale del progetto Piatto di sicurezza, realizzato da ProgettoMondo Mlal insieme al Cresfed, è risucito proprio oggi pomeriggio a mettersi finalmente in contatto via skype con il nostro cooperante Nicolas Derenne. Vaillant, tra i mille disturbi della linea, ha riferito della nuova terribile scossa e dei nuovi crolli, proprio mentre, in queste ore, a Léogane arrivavano finalmente i primi soccorsi. La strada che collega la cittadina alla capitale di Port au Prince sta tornando almeno in parte ad essere agibile. Sempre secondo quanto ci ha raccontato l'ex sindaco di Leogane, si sta battendo tutta la zona palmo a palmo per incontrare la popolazione, raccogliere i primi dati e fare una stima dei danni e delle vittime.
Il coordinatore del progetto riferisce di avere intervistato moltissime famiglie e che il 95% di loro ha confermato di avere la casa crollata o con gravi danni strutturali.
Si è così saputo che anche il nostro Centro Agricolo, appena realizzato per le cooperative degli agricoltori, è stato danneggiato ma è ancora in piedi. Dunque è da qui che s'intende ripartire con il nuovo intervento di ricostruzione "Scuole per la rinascita di Haiti".

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RICOMINCIARE DA LEOGANE

Quattro scuole per le piccole vittime e le loro famiglie. Quattro nuove strutture scolastiche e la ristrutturazione dell’attuale Centro agricolo da allestire come ricovero e luogo di incontro per le famiglie; sostegno psicologico alle vittime del terremoto, formazione e accompagnamento in materia di tecniche di autocostruzione e in prevenzione disastri e di gestione rischio; implementazione di orti famigliari ed equipaggiamento di cucine comunitarie a garanzia di un’alimentazione di base per circa 100 mila abitanti dell’area rurale di Léogane.
Questi, in estrema sintesi, i primi obiettivi del progetto di Emergenza ricostruzione “Scuole per la rinascita” presentato proprio in queste ore ai donatori per una raccolta fondi straordinaria a favore delle vittime del terremoto ad Haiti. La somma che renderebbe concreto tutto questo è pari a 270 mila euro.
L’intervento verrà realizzato in collaborazione con il Cresfed, Centre de Recherche et de Développement di Haiti, e il CEFECACC, Centre de Formation et d’Education et d’Assistance Communautaire et Cooperative di Léogane.
Si tratta dei due partner con cui ProgettoMondo Mlal sta già collaborando da più di due anni in un altro progetto, Piatto di sicurezza, intervento voluto dall’Unione Europea per contrastare l’emergenza alimentare molto grave in quest’area. Il municipio di Léogane dista infatti 35 chilometri dalla capitale Port au Prince ma è proprio nel cuore dell’epicentro del terremoto che ha scosso il Paese martedì 12 gennaio.
I primi destinatari dell’intervento saranno circa 1.000 persone tra bambini, adolescenti, rispettive famiglie e agricoltori, ma quanto realizzato andrà poi a beneficio di una popolazione pari a 100 mila abitanti che potrà usufruire dei servizi offerti e di queste prime opportunità di ripresa.

Da sempre quest’area attorno alla cittadina di Léogane soffre di un particolare degrado: geografico e geologico per la sua posizione isolata dalle grandi vie di collegamento, su un terreno alluvionale privo di acqua dolce e qualsiasi altro servizio di base, ed economico per la totale mancanza di opportunità di impiego e di sviluppo per una popolazione estremamente giovane. E qui –secondo le prime testimonianze- sarebbero almeno 30 mila i morti. Di questi, sicuramente quasi la metà non aveva ancora 18 anni. Qui sono drammaticamente crollate le scuole con ancora i ragazzi in classe. E qui, secondo il primo drammatico appello raccolto già sabato scorso dalla nostra Ong (e comunque già a 4 giorni) non è arrivato nemmeno un soccorritore. Difficile, impossibile, anche per la nostra Organizzazione che a Léogane ha una sede, un’equipe, due Centri produttivi e moltissimi amici, calcolare ancora i danni e contare i morti.
Ecco perché ProgettoMondo Mlal ha scelto di nuovo questa area di intervento. E perché crede che le scuole possano costituire un’opportunità di rinascita per tutta Léogane.

Per sostenere questo Progetto, versamenti intestati a ProgettoMondo Mlal Onlus
Banca Popolare Etica
IBAN  IT 07 J 05018 12101 000000511320

Per info telefonare a ProgettoMondo Mlal, al numero 045.8102105, o contattare l’Ufficio Solidarietà via mail scrivendo a sostegno@mlal.org

Haiti: non ci sono dati sugli orfani. Non è il momento delle adozioni

A così poche ore da un disastro di queste dimensioni, è impossibile avere un qualsiasi dato oggettivo su quale sia la situazione dei bambini haitiani rimasti orfani. Dunque, ProgettoMondo Mlal invita a diffidare di chiunque in questo momento si proponga come intermediario per le adozioni di bambini. Anzi, ogni iniziativa in questo senso, se anche venisse fatta in assoluta buona fede, rischia di portare nuovi danni incalcolabili a tutti. A cominciare dalla popolazione vittima del terremoto, privata di tutto, e perciò anche di ogni capacità di autodifesa o sicurezza.
In simili momenti, tanta pressione sulla richiesta di adozioni internazionali non può che andare ad alimentare il senso di sconforto e disperazione, nonché – come sempre accade in questi contesti e Paesi - il traffico di esseri umani. Nessuno in questo momento potrebbe dire infatti, con ragionevole sicurezza, chi è orfano e chi no.
Ad oggi, l’unica notizia certa che ci arriva dai nostri amici haitiani è che ognuno cerca disperatamente qualcuno tra le macerie e tutti cercano tutti. E che ciò di cui c’è reale, urgente, bisogno è aiuto. Aiuto per scavare tra le macerie, aiuto per tornare a mangiare, bere, dormire, lavarsi, pregare. Un aiuto a recuperare un briciolo di quotidianità.

Ora è il momento di lasciare spazio ai primi aiuti di soccorso, mentre l’adozione – lo sanno molto bene le tante famiglie adottive italiane - non può essere frutto di un primo soccorso, dell’emergenza. Né dell’improvvisazione di chi, magari giunto da pochi giorni nell’isola, vorrebbe potere capovolgere in una settimana un mondo sconvolto e che non consoce.
Oggi – dice Emilia Ceolan di ProgettoMondo Mlal - anche un solo pezzettino di famiglia vera sarà dieci volte meglio della migliore delle nostre famiglie. Perché solo la famiglia d’origine è capace di darci, in simili situazioni, quegli elementi psicologici utili ad elaborare eventi e lutti così drammatici, e soprattutto può infonderci la forza interiore necessaria ad affrontare il futuro. Al contrario, strappare oggi, un bambino o un adolescente dal suo Paese, e comunque dalla sua comunità, significa strappargli anche ciò che gli è rimasto, condannandolo a ulteriori sofferenze. La solidarietà di queste ore deve avere le braccia più lunghe”.

Questo l’accorato appello che, alla luce della nuova “febbre adozioni” vuole fare ProgettoMondo Mlal, Organismo di cooperazione allo sviluppo presente in prima persona in 21 Paesi del Sud del Mondo da 43 anni. Un Organismo che per tutte le realtà in cui lavora, ha sempre promosso il Sostegno a distanza come l’unica forma di partecipazione, veramente preziosa e possibile, alle vite di altri. Precarie, marginali e a volte difficilmente accettabili per la nostra cultura, che siano. Vite di bambini, donne o uomini, nati e cresciuti in Paesi lontani, in tutti i sensi.
La testimonianza è di Emilia Ceolan, volontaria per ProgettoMondo Mlal in Brasile e in Centroamerica, con un’esperienza di 25 anni nella cooperazione internazionale, e oggi ancora attiva nella sede italiana. Racconta infatti:
“La storia ci insegna che tutte le esperienze di trasferimento costituiscono uno choc, sia per i bambini che per i genitori adottivi. Al di là di tutte le migliori intenzioni, le adozioni sanciscono infatti sempre lo strappo definitivo. Senza contare che la cultura haitiana è diversa dalla nostra, ha origini africane, e come tale è basata su rapporti affettivi che vanno ben oltre la famiglia intesa in senso stretto, si estendono a una più larga cerchia di parenti e alla comunità intera. Per questo motivo, sappiamo bene che, potere contare anche solo su una nonna, o una zia, significa potere contare ancora su affetti di base, importanti, insostituibili”.

Tutto questo mentre si scatena anche a livello europeo una vera e propria corsa alle adozioni, con tanto di modifica di leggi ad hoc per facilitare le procedure altrimenti altamente complicate. E allora che fare? Come dare concretezza alla generosa commozione dell’opinione pubblica italiana?
Aiutiamoli a ricominciare. Prepariamoci a stare loro vicini quando si saranno spenti tutti i riflettori. – Dice sempre Emilia Ceolan – Haiti era terribilmente sola, dimenticata, umiliata, già da molti anni. Serve un aiuto allo sviluppo. Una volta passata la prima emergenza, dobbiamo essere in grado di offrire loro la possibilità di ricominciare. Di sopravvivere a questo ennesimo colpo, di ricostruire le proprie vite nel loro Paese, possibilmente con i loro affetti più vicini. Come anche il terremoto dell’Aquila ci ha insegnato nei mesi scorsi”.

Attenzione a chi lucra sulle adozioni ad Haiti.Da parte sua ProgettoMondo Mlal, già presente ad Haiti con due progetti di cooperazione allo sviluppo, si è impegnata a realizzare, a partire dalle prossime settimane un intervento di emergenza ricostruzione a Leogane, la cittadina a 30 chilometri dalla capitale, distrutta quasi completamente, di cui ancora oggi si sa poco o nulla di certo, attualmente sede del nostro Progetto Piatto di sicurezza.
Il Progetto “Scuole per la Rinascita di Haiti” intende ricostruire 4 scuole, con cucine, mensa e Centri di accoglienza, per bambini, adolescenti, famiglia e l’intera comunità di Léogane. Per restituire loro una vita propria.

Per sostenere questo Progetto.

Versamenti intestati a ProgettoMondo Mlal Onlus
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IBAN IT 07 J 05018 12101 000000511320


Per info telefonare a ProgettoMondo Mlal, al numero 045.8102105, o contattare l’Ufficio Solidarietà via mail scrivendo a sostegno@mlal.org

lunedì 18 gennaio 2010

PER LEOGANE AL VIA IL PROGETTO "Scuole per la rinascita di Haiti"

Aiuto! Qui a Leogane non si è ancora visto nessuno. La maggioranza delle case sono distrutte. Non è rimasta in piedi neanche una scuola. La gente muore di infezione, perché non c’è nessun medicinale per aiutarla. Molti corpi sono stati interrati. La scuola secondaria nazionale è crollata con due classi piene di studenti, difficili da raggiungere. Leogane ha urgente bisogno di aiuto per salvare quelli che sono ancora vivi e che stanno morendo di infezione…”.
Questo il drammatico appello arrivato da Leogane, una città a 17 chilometri dalla capitale ma molto più vicina all’epicentro del terremoto che martedì 12 gennaio ha sconvolto Haiti. Un appello drammatico, postato sul blog della Cnn soltanto sabato scorso, che dunque ci ha messo 4 giorni ad arrivare all’esterno. Più di 90 ore perché venisse letto dai primi soccorritori.

Qui, a Leogane, 200 mila abitanti di cui 30 mila vittime scomparse sotto le macerie del terremoto, l’Ong ProgettoMondo Mlal, da 43 anni in America Latina con progetti di sviluppo e da ben 12 anni ininterrottamente ad Haiti, lavorava da due anni a un importante Programma di sicurezza alimentare, Piatto di Sicurezza.
E proprio in questi giorni scrivevamo ai nostri sostenitori per aggiornarli su questo nostro impegno, per raccontare loro della nostra soddisfazione, degli enormi progressi registrati nel lavoro con le associazioni di contadini locali, di come risulta già estremamente prezioso il piccolo Centro di servizi e produzione agricolo, appena terminato, con i suoi nuovi laboratori per la lavorazione di frutta e verdura; di come sono buone le prime conserve messe in vendita al mercato; soprattutto di come ne sono fiere le 500 famiglie contadine protagoniste di tutto questo, i 70 soci della neocooperativa Koledel che proprio grazie a questo Progetto hanno ricominciato a portare a casa cibo per mettere la famiglia a tavola e… ed è arrivata la peggiore delle notizie. Se Port au Prince è distrutta, Leogane pare addirittura cancellata, con almeno un sesto della popolazione scomparsa e la parte restante degli abitanti che piange i suoi morti, senza più case, negozi, scuole…

Ecco perché sarà proprio a Leogane che ProgettoMondo Mlal porterà il primo contributo alla ricostruzione. Grazie alla sua rete di partner sul territorio locale –primo tra tutti il Cresfed, Centro di ricerca e sviluppo di Haiti- il nostro ufficio Progetti è riuscito già ad elaborare il Progetto di ricostruzione -“Scuole per la rinascita di Haiti”- da presentare subito ai donatori di queste ore. Si tratta di un primo intervento in cui verrà realizzato un centro scolastico polivalente, con aule per l’insegnamento, ma anche locali per la prima accoglienza e cucine comunitarie aperti alla popolazione.

Sappiamo infatti che da sempre, e soprattutto nei Paesi del sul mondo, la scuola costituisce un importantissimo spazio anche fisico di riferimento, accoglienza, crescita e anche di sicurezza alimentare. Molti dei nostri piccoli beneficiari vengono iscritti con grande sacrifici a scuola, dalle loro famiglie, proprio per assicurare loro almeno un pasto al giorno. E a Leogane non è rimasta più nemmeno questa opportunità. Nessuna scuola della cittadina – come purtroppo riferiva l’appello lanciato sabato dagli abitanti e rimbalzato in rete tramite la Cnn – si è salvata dalla distruzione.
L’appello di ProgettoMondo Mlal è ad unire le forze, e raccogliere la solidarietà, per ricostruire le prime nuove scuole a Leogane. Per cominciare a intravedere un futuro. Anche per Haiti.

Si cercano urgentemente piccoli e grandi donatori disposti a condividere questo Progetto.

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Bollettino postale n. 12808374 (causale emergenza Haiti)
Carta di credito a questo link https://vpos.bancaetica.com/mlal?cam_rid=246

Per info telefonare a ProgettoMondo Mlal, al numero 045.8102105, o contattare l’Ufficio Solidarietà via mail scrivendo a sostegno@mlal.org

sabato 16 gennaio 2010

ANNULLATO IL LAVORO DI DUE ANNI? Leogane cancellata dalla carta

Viene da piangere al solo pensiero. Proprio in questi giorni scrivevamo ai sostenitori del Progetto Piatto di Sicurezza in via di conclusione ad Haiti, nella cittadina di Leogane, 17 chilometri ad ovest dalla capitale, per raccontare loro della nostra soddisfazione, degli enormi progressi registrati nel lavoro con le associazioni di contadini locali, di come risulta già estremamente prezioso il piccolo Centro di servizi e produzione agricolo, appena terminato, con i suoi nuovi laboratori per la lavorazione di frutta e verdura; di come sono buone le prime conserve messe in vendita al mercato; soprattutto di come ne sono fiere le 500 famiglie contadine protagoniste di tutto questo, i 70 soci della neocooperativa Koledel che proprio grazie a questo Progetto hanno ricominciato a portare a casa cibo per mettere la famiglia a tavola e… niente! Una nota ufficiale diffusa soltanto oggi, sembra ora azzerare tutto: “Oltre il 90 per cento degli edifici di Leogane, una città ad ovest della capitale haitiana Port-au-Prince, - si legge- è stata danneggiata dal terremoto. Lo rendono noto le Nazioni Unite…”.
Ma la notizia peggiore è arrivata poche ore dopo, attraverso un appello disperato pubblicato sul sito della Cnn alla loro alba di oggi http://www.ireport.com/docs/DOC-389249): “La maggioranza delle case sono distrutte. Non è rimasta in piedi neanche una scuola. La gente muore di infezione, perché non vi è aiuto o medicinale per aiutarla. Molti corpi sono stati interrati. La scuola secondaria nazionale è crollata con due classi piene di studenti, difficili da raggiungere. Leogane ha urgente bisogno di aiuto per salvare quelli che sono ancora vivi e che stanno morendo di infezione….”
E ancora: “non ci sono antibiotici, analgesici, nemmeno i guanti ...... presto persone dovranno affrontare la fame. al momento alcune persone stanno saccheggiando i negozi.
La situazione è drammatica.. Continuate a fare girare questo appello…”
http://www.flickr.com/photos/carelp/sets/72157623093421961/show/

È qui a Leogane che aveva sede la nostra equipe del Progetto Piatto di sicurezza, dove sono state scattate queste foto.



Ed è qui che lavorava pieno di entusiasmo fino a lunedì scorso Nicolas Derenne, il nostro cooperante, ora riparato all’Ambasciata di Francia in attesa di sapere cosa e come fare.
Si legge infatti in una nuova email che è riuscito a farci avere oggi: “… Mi sento impotente, non posso tornare nella mia casa ormai inagibile, perché rischia di crollare da un momento all'altro. Haiti è un Paese in cui tutto comincerà a rimettersi in moto chissà quando. Settimane, mesi. Ve lo dico già, perché mi sto interrogando. Mi sto chiedendo quando si potrà rientrare, perché io voglio rientrare... ma bisognerà attendere, capire come si metteranno le cose....

Donazioni per Haiti:
destinatario ProgettoMondo Mlal

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HAITI OGGI: pensare a ricostruire

“… qualcosa mi dice che, nonostante l’ONU parli della peggiore catastrofe degli ultimi tempi, verrà anche dimenticata presto…". Così chiude la sua nuova mail, arrivata miracolosamente oggi, Nicolas Derenne. A 5 giorni dal terremoto che ha sconvolto Haiti e ne ha decimato la popolazione, anche Nicolas ha perso il suo proverbiale ottimismo.
Racconta infatti: “La situazione sanitaria è grave e peggiora di ora in ora. La situazione è davvero molto confusa, ed è un puro caso che io abbia trovato un’altra connessione internet...”.
Perciò ne ha approfittato immediatamente per fare arrivare al suo coordinatore di area, di base a Managua, in Nicaragua, le prime informazioni raccolte pensando al domani. Il piccolissimo seme su cui provare a fare rifiorire la speranza.
E riferisce: “Ieri parlavo con il figlio di Suzy (Castor, direttrice del Cresfed, nostro partner ad Haiti, ndr.) che è architetto. Loro stanno pensando a organizzare dei corsi per formare la gente su buone tecniche di ricostruzione, facili da usare, solide, che costino poco. Come ricorderai, lui ha già costruito molte cose con materiali di recupero. Adesso sta riattivando un contatto con un americano che lo può aiutare con la sua associazione. Presto mi saprà dare più informazioni. Formare le persone potrebbe servire molto anche ai più poveri; perché ovviamente saranno loro gli ultimi assisti, dopo i bianchi, i funzionari dei ministeri, i ricchi, ecc.
Ricostruire scuole... Non so ancora nulla sulla situazione degli edifici di Leogane.... sicuramente la situazione è grave. Anche a Jacmel è grave. Ora provo a mandare una mail per sapere di più…”.
Tra le righe della sua mail pare di vederlo. Febbrile, appassionato che salta di qua e di là col suo fisico agile e nervoso. Scava con le mani, chiede, cerca, consola un’amica… corre in ciò che rimane della sede dell’Onu, partecipa alle riunioni, cerca di raccogliere documenti, pezze, storie, notizie del suo Progetto. Sa che da un momento all’altro sarà rimpatriato insieme agli altri stranieri accampati nell’ambasciata francese. E cerca di capitalizzare ogni istante, ogni spunto, notizia, che possa essere di un qualche interesse per il futuro di questa popolazione ancora una volta battuta, schiacciata, e sola.
Nicolas Derenne, coordinatore del Progetto Piatto di Sicurezza, praticamente arrivato a suo compimento proprio nelle scorse settimane, pensa già a quello che potremo fare con i fondi raccolti in queste ore. Vuole stringere contatti, raccogliere indirizzi, nomi, indicazioni che torneranno utili una volta rientrato in sede in Italia. Perché sa che poi sarà difficile comunicare con Haiti. La sua Haiti di cui parlava sempre con un affetto da padre, quasi. Proprio per sottolinearne la fragilità estrema. E lo stato di solitudine, di vergognoso abbandono da parte della comunità internazionale.
Ma è presto. Oggi – lo sappiamo anche noi dalle immagini e notizie che ci rimbalzano continuamente dai teleschermi e dalla rete - è troppo presto. Oggi si possono solo raccogliere notizie, mettere da parte fondi, e come fa lui raccogliere nuovi contatti preziosi tra la popolazione, per promuovere al più presto un progetto di ricostruzione.
ProgettoMondo Mlal ha già deciso in queste ore che, se gli aiuti della solidarietà ci sosterranno, vuole costruire scuole. Perché ridiano speranza, forza e serenità ai bambini e adolescenti rimasti orfani; perché costituiscano dei nuovi spazi anche fisici di accoglienza, incontro, aiuto.
Sarà forse a Leogane, dove ProgettoMonodo Mlal lascia oggi il cuore e tanti amici, sarà a Jacmel, a Fonds Verettes (dove in marzo doveva partire un secondo progetto, Viva Haiti! Per la prevenzione contro i disastri naturali, ndr.), sarà altrove. Dove sapremo che la popolazione ha più bisogno di strutture scolastiche. Dove sapremo esserci veramente, dove sappiamo di potere contare su partner solidi e coraggiosi, e soprattutto particolarmente bisognosi del nostro sostegno.

Per partecipare alla costruzione delle nuove scuola, aiutaci a creare un fondo:

Versa, intestando a ProgettoMondo Mlal, a
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Il nostro partner da Haiti: gli aiuti faticano ad arrivare

Molti degli operatori delle Organizzazioni di aiuto internazionale, presenti a Port au Prince e scampati al terremoto di lunedì, hanno ormai cercato riparo presso i pochi edifici ancora in piedi della capitale o comunque agli indirizzi che possano fungere in qualche modo da riferimento per raccogliere o dare notizie all’esterno. Uno di questi punti di raccolta sono i giardini dell’ambasciata di Francia, in rue Capois 51, nel cuore della zona maggiormente colpita dal sisma. Li abbiamo visti anche dalla tv francese, nell'edizione del telegiornale di France2 di ieri, venerdì 15 gennaio.
Nel lungo filmato si vedono immagini di gente disperata, che ha perso tutto. Si parla di odore di morte insopportabile lungo le strade e di feriti, migliaia di feriti.
Nel parco dell'ambasciata francese, apparentemente una piccola osasi verde nel cuore della città, ormai ridotta a un immenso campo di battaglia, dove nessuno conta nemmeno più morti e feriti, la gente è sotto shock e ammassata in campi di fortuna: la residenza stessa dell'ambasciatore è totalmente distrutta.
È qui che anche il nostro cooperante, Nicolas Derenne, fa base in questi giorni. È qui che ha portato nei giorni scorsi le sue cose salvate dall’appartamento ormai inagibile.
Ma anche qui i servizi di acqua, luce e internet, sono saltati da subito, e anche per spedire una mail, operatori e funzionari, sono alla continua ricerca di punti d’appoggio volanti. Ed è qui che molti stranieri attendono il rimpatrio, è qui che vengono a cercare e scambiare notizie di amici, colleghi e congiunti di cui hanno perso traccia da giorni, ore o minuti.
Ormai anche rendersi utile nei soccorsi, o semplicemente dare un aiuto a chicchessia è diventato estremamente difficile. La situazione è talmente drammatica che le stesse istituzioni invitano a rientrare nel Paese di origine. Lo stesso suggerimento che stanno dando le Nazioni Unite anche al nostro cooperante Nicolas Derenne.

E che gli stessi aiuti arrivati dalla comunità internazionale faticano ad arrivare alla popolazione, ce lo ha confermato anche una nostra amica del Cresfed (partner di ProgettoMondo Mlal nel Progetto Piatto di Sicurezza a Leogane, ndr.), Tania, figlia della direttrice dell'associazione, Suzy Castor, che è riuscita a mettersi in collegamento skype con la nostra responsabile amministrativa del Centroamerica Silvia Mercedes Ayon.
Ecco qui di seguito il dialogo su skype:

[9:09:46 AM] Silvia: Hola Tania, che bello trovarti..come state?
[9:10:02 AM] Tania: noi bene, anche se tutte le famiglie haitiane stanno vivendo dei drammi immensi.
[9:10:52 AM] Silvia: lo immagino, è terribile.
[9:11:33 AM] Tania: Nicolas è nell’ambasciata francese e probabilmente sarà rimpatriato oggi. Ieri era qui a casa nostra, diventata un rifugio per molti perché uno dei pochi posti sicuri per il tipo di costruzione.
[9:12:52 AM] Silvia: ci credo...purtroppo da qui l’unica cosa che possiamo fare è appellarci alla solidarietà. Come organizzazione e a livello personale.
[9:13:56 AM] Tania: questo è fondamentale perché la solidarietà è INDISPENSABILE
[9:14:04 AM] Silvia: lo immagino..
[9:14:45 AM] Tania: ma il Governo è stato colpito in prima persona da questa tragedia e il coordinamento degli aiuti sarà molto complicato
[9:14:59 AM] Silvia: lo sappiamo, le notizie sono terribili
[9:15:27 AM] Tania: già hanno cominciato ad arrivare degli aiuti, ma si dice che non siano riusciti a distribuirli
[9:16:52 AM] Silvia: ok, non voglio disturbarti oltre...solo ti chiedo di tenerci informati. Tutto il Mlal è con voi e in tutte le forme in cui possiamo aiutarvi..anche se in questo momento è ancora difficile capire bene come
[9:17:12 AM] Tania: grazie Silvia
[9:17:40 AM] Silvia: per favore dai un bacio a tua madre e a tutti voi...con tutto il nostro affetto vogliamo farvi arrivare tutta la forza possibile per affrontare questi momenti
[9:18:59 AM] Silvia: io rimarrò sempre collegata. Ti prego, se possiamo fare qualcosa...anche se molto poco per ora..sappiate che vi stiamo pensando.
[9:19:58 AM] Tania: muchisimas gracias

venerdì 15 gennaio 2010

HAITI emergenza totale. Difficile anche aiutare

La situazione nella capitale, già gravissima ieri, pare davvero precipitata: in una breve concitata mail delle 9 di mattina ore locali (le nostre 17 di oggi), inviata al nostro coordinatore di area in Nicaragua, Nicolas Derenne da Port au Prince scrive:
“(…) Si è decisamente passati all’emergenza… la più totale… Rapidamente,... sono qui alla Minustah (Missione ONU ad Haiti, ndr) con una nuova connessione. Viene ancora confermato che sono inutile al momento…. Rimpatriamo... spero domani 16 oppure 17. A presto. Nic”.

Sono trascorse ormai 4 giorni, 96 lunghe e buie ore. Dolore, sete, fame, rabbia, disperazione, paura, hanno preso il sopravvento su tutto. Soccorritori e vittime sono ormai una cosa sola.

Per chi volesse partecipare alla ricostruzione di Haiti, versamenti su
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destinatario ProgettoMondo Mlal

HAITI NON C’E’ PIU’ - Da Verona l'Appello alla mobilitazione

“Haiti di tre giorni fa non è la Haiti di oggi”. Questa la laconica testimonianza del nostro cooperante ad Haiti, Nicolas Derenne. Dopo giorni di preoccupazione, l’operatore ProgettoMondo Mlal, ieri è riuscito finalmente a farci avere una sua mail:
“Vi ringrazio per il sostegno e i messaggi che – chiarisce lui stesso - non ho potuto leggere perchè le condizioni qui sono davvero minime.
So che sapete che sto bene – si legge ancora nella sua email -. Purtroppo una nostra collaboratrice del Cresfed (partner del progetto Piatto di Sicurezza coordinato da Nicolas, ndr.) è morta sotto una casa”.
E poi rivela: “Sembra che l’equipe della nostra sede a Leogane (situata appena a 37 chilometri ad est della capitale, ndr.) sia salva, ma al momento è impossibile raggiungerli. Di molti amici ho avuto buone notizie, di altri... purtroppo no, ed è molto dura…”.

Poi la mail prosegue: “Faccio base all’ambasciata perché ormai tutti gli edifici sono danneggiati o comunque non più sicuri. Ci stanno arrivando continue sollecitazioni, dall’Unione Europea e dalla Francia, per farci rientrare il prima possibile con i loro aerei”.
“Io – confessa Nicolas Derenne - avrei voluto restare... ma ho cambiato idea. Del mio caro Progetto che andava così bene.. rimane poca cosa adesso. Qui, in queste condizioni, mi sento inutile. Haiti di tre giorni fa non è la Haiti di oggi”.

E allora il presidente di ProgettoMondo Mlal, Mario Lonardi, lancia un nuovo pressante appello alla solidarietà: “Proprio oggi – dice - che la mobilitazione pare generale e grande, e che il mondo vede scorrere forse per la prima volta sugli schermi delle proprie case le immagini del Paese più povero dell’America latina, occorre pensare al domani. Perché – conclude Lonardi - da questa catastrofe si salvi almeno una cosa: un’opportunità di cambiamento”.
L’appello a uno sforzo comune, e che guardi possibilmente anche al di là dei primi interventi di emergenza, parte ora da Verona, proprio dalla città in cui, 44 anni fa, la Conferenza Episcopale Italiana costituì l’allora Movimento Laici America Latina, oggi ProgettoMondo Mlal, Ong presente in 21 Paesi di America latina e Africa con all’attivo più di 400 progetti di cooperazione allo sviluppo.

“La variegata società veronese – ha dichiarato oggi Lonardi - ha da decenni un suo ambasciatore ad Haiti, proprio nel cuore della catastrofe, ed è ProgettoMondo Mlal. Consapevole di questo, il nostro Organismo, rappresentato in queste ore da un proprio operatore sul campo, Nicolas Derenne, scampato all’ecatombe e temporaneamente in salvo presso l’ambasciata francese, si candida a promuovere un intervento che pensi fin da ora alla fase della ricostruzione. Perché consumata la grande emozione di oggi, Haiti non torni troppo facilmente nel dimenticatoio”.

Già dal primo giorno dopo il terremoto, l’ufficio progetti della nostra Ong, sta studiando con una rete di propri partner ad Haiti, un’iniziativa mirata alla ricostruzione di alcune scuole. E questo per dare priorità prima di tutto ai tanti bambini e adolescenti, orfani, allo sbando o comunque privati di tutto; in secondo luogo per costituire da subito alcune prime strutture che, anche fisicamente, possano rappresentare il prima possibile un nuovo luogo di riferimento, aggregazione, aiuto, per tutta la comunità.

Per chi volesse partecipare alla ricostruzione delle scuole di Haiti, versamenti su
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I DISPERATI PREMONO SULLA FRONTIERA

La popolazione, colpita, disperata, ferita e affamata, cerca in tutti i modi una via di fuga fuori dalla capitale, dal Paese, oltre confine, nella vicina Repubblica Domenicana. Dove la vista possa trovare respiro dall’atroce spettacolo delle strade di Port au Prince, e il dolore essere attutito da un qualsiasi tipo di soccorso, purché immediato.
Ma le prime reazioni non sono incoraggianti: bloccati i passaggi di frontiera in entrata. Respinti i profughi haitiani. Di là non si passa.
La repubblica Dominicana sta organizzando i primi aiuti per le vittime di Port au Prince ma non accoglie nuovi profughi nel proprio Paese. Aumentano dunque di ora in ora gli ingorghi, le colonne di persone in fuga, lungo la frontiera che taglia in due l’isola di Ispaniola.
Ed è qui che, appunto per valutare la reale situazione si trova in queste ore Sfw-Solidarieté Frontalière di Ouanaminthe, partner di Progettomondo Mlal nell'ormai concluso progetto Terra di Mezzo.
“Si parla di chiusura delle frontiere, di una Repubblica Domenicana ostile e “cattiva”, ma il problema è più complesso – riferisce il nostro cooperante Enrico Vagnoni rientrato in Italia da poco più di sei mesi dopo la chiusura del progetto”.
“Se da un lato, soprattutto a livello politico, si porta avanti un atteggiamento di chiusura e intransigenza, dall'altro la gente comune ha grandi doti di solidarietà e accoglienza, capace di aiuti grandi e incondizionati. Bisogna tenere conto dell'incapacità delle strutture, dei limiti e della scarsezza di mezzi dei domenicani stessi, che non permettono un aiuto incondizionato agli haitiani.
Ma la mobilitazione dal basso c'è, ed è spontanea. Il blocco che affiora è piuttosto a livello storico, politico e culturale. Dai tempi del colonialismo (francese e fatto di agricoltura per gli haitiani, spagnolo e basato sulle fattorie per i domenicani), dei vent'anni di dominazione haitiana in terra domenicana, fino alla recente dittatura domenicana, di Trujillo prima e Balaguer poi, basata sul riscatto di una discendenza europea per i domenicani, che prendeva le distanze da quella negroide dei vicini haitiani.
Ideologie che ancora adesso si fanno sentire, che ancora adesso hanno presa sui domenicani, timorosi di un possibile ritorno al potere di Haiti.
Come accade da noi lo straniero (in questo caso haitiano) viene sfruttato da chi appena ha qualche possibilità economica in più e, solo per questo, si sente ricco. Impiegati come braccianti nell'agricoltura o nel settore dell'edilizia, gli haitiani si ritrovano a svolgere i lavori più umili in un sistema di ricchezza/povertà che non lascia spazio alla ridistribuzione della ricchezza.
E nel superamento di antiche credenze e ideologie forzate, la frontiera oggi come oggi va vista come una risorsa, un momento di scambio, di incontro reale tra culture”.

Enrico Vagnoni
ex cooperante ProgettoMondo Mlal
Haiti e Repubblica Dominicana

Haiti, un Paese alla ricerca perenne di un riscatto

Un Paese dimenticato, che solo una tragedia di immani proporzioni come questa è riuscita a portare alla ribalta. Che solo una catastrofe è riuscita, per così dire, a portare sugli schermi di tutto il mondo. Un oblio e una trascuratezza le cui responsabilità vanno cercate soprattutto a livello internazionale.
Anche oggi, nel momento della disperazione, bisogna rendersi conto che il Paese va aiutato sempre, con costanza, senza riserva alcuna: altrimenti la gente che lo vive sarà per sempre condannata a una vita di stenti, sia per i continui disagi sociali, che per quelli ambientali che, con più o meno costanza, lo affliggono (basti pensare all'inondazione del 2004, ai 4 uragani del 2008 e alla continua deforestazione che sta devastando il suolo haitiano).

E dalla disperazione, dalla miseria già presenti, oltre che dalla fame, la sete e la morte che dominano le strade in questi giorni, non può che generarsi anche la violenza. Ma è una violenza che non va amplificata né ingigantita, prima di tutto capita. Perché il popolo haitiano ha anche spiccate qualità artistiche, di sensibilità e soprattutto di capacità di sopravvivenza.
La violenza c'è, certo, è tollerata e persino incoraggiata a livello istituzionale (il 25% della droga che viaggia dal sud al nord America passa da Haiti), ma questa piccola isola in mezzo all'atlantico, è anche popolata di gente sempre in movimento, in cammino, indipendentemente dalle non possibilità.
Persone capaci di organizzarsi anche in condizioni minime, e con una grande voglia di riscatto. Attente all'istruzione dei propri figli, per i quali, a fronte di una scuola pubblica precaria o inesistente, fanno sacrifici enormi e organizzano scuole comunitarie.
Anche per questo, e per il ruolo sociale che di per sé le strutture scolastiche sono in grado si svolgere in ogni luogo, ProgettoMondo Mlal ha scelto di destinare questa raccolta fondi straordinaria per Haiti proprio alla costruzione di nuove scuole, luoghi in grado più di altri di rappresentare un punto di riferimento per un'intera comunità.

Emilia Ceolan
ProgettoMondo Mlal
già responsabile Programmi Haiti


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giovedì 14 gennaio 2010

NOTA DELL’AMBASCIATA: NICOLAS STA BENE

A quasi 48 dalle prime scosse del terremoto che ha sepolto viva la capitale di Haiti, Port au Prince, finalmente un’altra piccola buona notizia –seppure indiretta- del nostro cooperante Nicolas Derenne, 30enne scampato miracolosamente al terremoto.

Una mail firmata da una funzionaria dell'Ambassade de France, Cécile Petereit, ma inoltrata da una terza persona a un piccolo elenco di indirizzi, conferma che le persone ricoverate presso la loro sede di Haiti sono in salvo e che “si stanno dando da fare tutti insieme per aiutare per quanto possibile nei soccorsi la popolazione. Pur tuttavia – si legge ancora nella nota- “non possono comunicare verso l’esterno, non c’è collegamento internet, né satellitare né funzionano i cellulari”.
Infine, si legge quella che dovrebbe suonare come una sorta di rassicurazione: “Sebbene la situazione si stia progressivamente deteriorando a livello igienico e di sicurezza, l’evacuazione è ancora possibile…”.

Dunque Nicolas sta bene e si è messo completamente a disposizione dei soccorritori. Ma queste 48 ore di assoluto impenetrabile silenzio, e anche il tono di questa nota ufficiale, confermano che l’interruzione delle linee e dei collegamenti ha di fatto non solo tagliato fuori lui e gli altri dal resto del mondo, ma ormai anche dal resto della città. Haiti è ormai totalmente fuori controllo.

I siti dei mass media francesi dicono per esempio che centinaia di persone si trovano accampate nei giardini dell’ambasciata. In queste ore, dunque, anche soltanto un giardino costituisce un riparo dalla strada che è ormai teatro di dolore e di violenza.
Le notizie che arrivano dalle strade sono infatti sempre più spaventose. La disperazione, la fame, la sete e il dolore cieco, hanno letteralmente fatto esplodere la situazione. Nostri amici a Port au Prince, come i Camilliani, ci raccontano che il loro Centro è diventato asilo di decine e decine di feriti gravissimi, di persone senza gambe, braccia, che ormai cercano soltanto un posto dove morire in pace. Infatti l’unico ospedale non crollato nel sisma, già poche ore dopo, non accettava più feriti.
E poi l’acqua sta finendo, le provviste di cibo sono esaurite o sparite, delinquenti fuggiti dalle carceri, ma anche gente semplicemente disperata, prende d’assalto qualsiasi cosa e qualsiasi persona abbia qualcosa da essere rubato.
Dunque non è possibile girare per la città, né probabilmente spostarsi di quartiere. Se è vero che il nostro Nicolas ieri aveva affidato a voce, a una conoscente incontrata per caso, l’incarico di pubblicare appena possibile su Facebook la semplice notizia che “lui sta bene, che non c’è da preoccuparci per lui”.

Ma niente di più. Perché come aggiungerebbe sicuramente lui stesso se potessimo chiederglielo, quelli di cui dobbiamo preoccuparci ora sono gli haitiani.

HAITI: Come faranno?

Ho sentito ieri sera gli amici Camilliani. Cipriano mi ha raccontato dei morti che sono ovunque, dei feriti che si trascinano al loro Centro senza mani, senza piedi, né braccia e che cercano un angolo per terra in attesa di morire…
Mi ha raccontato di centinaia di persone che vagano per strada senza meta, cercando con la disperazione della fame e del dolore, acqua e cibo… E allora è purtroppo obbligatorio chiedersi: ma come faranno a portare l’acqua a Port au Prince?
Come faranno a portare cibo e acqua necessari a sfamare una città di 2 milioni di persone? Una città che era già in ginocchio prima di questo terremoto.
Il ricordo delle baraccopoli arroccate sulle colline, o delle case in mezzo alle fogne a cielo aperto, che si vedevano lungo la strada per Leogane, fa capire quanto sia inverosimile e difficile in questo momento intervenire.
Come faranno a portare acqua e cibo là dove per secoli nessuno ha fatto il minimo sforzo per far sì che le persone avessero acqua e cibo?
Come faranno a ricostruire un Paese che non è mai stato costruito. Ma su cui tutti hanno fatto sempre i propri interessi?

Giuseppe Cocco
ProgettoMondo Mlal Centro America

HAITI, è il momento di agire insieme!

Terremoto ad Haiti, un disastro terribile. La capitale senza luce elettrica”.
Se non si trattasse di una tragedia immane, scorrere le notizie che arrivano dai continui aggiornamenti dagli organi di stampa televisivi, radiofonici e multimediali di tutto il mondo, indurrebbe un sorriso amaro. Haiti e gli haitiani convivono, quasi da sempre, in uno scenario di perenne emergenza e di povertà estrema, in cui il dolore e i drammi s’intrecciano con l’allegria e la speranza.
La mancanza di luce elettrica anche nella capitale Port-au-Prince non “fa” certo “notizia” per chi conosce Haiti, ma lo stupore e l’allarme che tale fatto suscita a noi europei è una reazione che ben descrive l’emarginazione e l’isolamento, non solo geografico, in cui si trova Haiti. Un Paese che nell’immaginario collettivo è un più vicino ad un “paradiso” caraibico che al reale “inferno”, situato giusto a due passi dall’abbagliante Miami.
Ho vissuto a Dajabòn, nella frontiera nord dominico-haitiana, per quasi tre anni, in Repubblica Dominicana. E quasi ogni giorno mi recavo nella vicina Ouanaminthe, ad Haiti, per svolgere il mio lavoro nel progetto “Terra di Mezzo” ( per la difesa dei Diritti Umani e lo sviluppo sostenibile della Frontiera), assieme ad un’equipe haitiana. Sono stato varie volte a Port-au-Prince ed ho lasciato tanti amici ad Haiti. Ma non posso certo dire di conoscere bene il Paese. Né penso che riuscirei a farlo, profondamente, anche se ci vivessi tutti i giorni della mia vita. Haiti è un Paese davvero speciale, interessante. Drammaticamente interessante. E difficilissimo da capire, perlomeno ricorrendo ai parametri e alle logiche che la nostra logica “cartesiana” ci impone e che la nostra cultura ci suggerisce.
Ho appreso la notizia del terremoto di Haiti, ieri notte, dal telegiornale RAI delle 23.30. Ero già a letto, in procinto di addormentarmi e lì per lì, complice lo stato di incipiente torpore, non ho realizzato bene cose fosse accaduto. In mancanza di ulteriori informazioni ho cercato di riprendere sonno, nella speranza che si trattasse dell’ennesima esagerazione mediatica e che, soprattutto, nulla fosse accaduto ai miei amici che vivono nell’Isola. L’indomani mattina, attraverso internet, ho avuto conferma dell’estrema gravità dell’evento occorso. E del fatto che, per fortuna, nessuno dei miei amici ne sia rimasto gravemente coinvolto. Il mio primo pensiero è stato per Nicolas, stimato amico e collega che ho avuto il piacere di “accogliere” nell’Isola, al suo arrivo circa 2 anni fa. Mi hanno colpito molto le sue laconiche parole in una fugace e (immagino) concitata telefonata con Martino (altro amico e collega del ProgettoMondo Mlal che coordina dal Nicaragua tutti i progetti dell’ONG nell’area Centro America e Caraibi): “..è un disastro. Non sapete, è un disastro!”. Ripetendo la sua frase è come se in un attimo potessi vedere e toccare quasi con mano la tremenda tragedia che, ancora una volta, ha colpito Haiti e gli haitiani.
Il mio ricordo, ben vivo e recente, di Port-au-Prince è di una città estremamente caotica e male organizzata, in cui anche gli spostamenti più brevi possono durare un’eternità e il camminare per strada può sembrare un’incoscienza. Per il pericolo di essere investiti dalle auto che animano un traffico colorato (dai bizzarri taxi collettivi, dipinti come i famosi quadri naif haitiani) quanto confuso (e senza regole), o di cadere in una delle numerosissime buche e voragini che si aprono d’improvviso, o di essere vittima di un assalto o ancor peggio di un sequestro lampo (avere la pelle bianca, sinonimo di ricchezza, soprusi e potere non aiuta di certo a passare inosservati nella nerissima Haiti).
Le infrastrutture della città sono (o forse sarebbe meglio dire “erano”) a dir poco fragili e fatiscenti, e i servizi pubblici (in primis acqua potabile e corrente elettrica) totalmente precari e insufficienti.
La struttura urbanistica della città, ristretta tra la montagna deforestata e il mare (usato come pattumiera principale delle città) e assolutamente avulsa da una minima pianificazione, è fatta di edifici a più piani innalzati (utilizzando spesso materiali scadenti e senza di misure di sicurezza) a fianco di baracche assemblate con legno marcescente e con lamiere arrugginite, assiepati disordinatamente dal livello del mare sino alle cime delle montagne che circondano la baia di Port-au-Prince. L’immagine che ne deriva è di una sorta di “universo dantesco” che dai gironi infernali dei livelli più bassi, sovrappopolati e maleodoranti, porta ai cerchi più alti della città, fino ai quartieri residenziali ultraprotetti dei “ricchi” (sede di tutte le agenzie ed istituzioni internazionali). Immaginare Port-au-Prince dopo il terremoto mi fa venire i brividi. Sia per le dimensioni delle perdite umane causate dagli effetti immediati del sisma, sia per le preoccupanti conseguenze che questo cataclisma, inesorabilmente, trarrà con sé: epidemie, piccoli orfani destinati all’abbandono, assenza di servizi essenziali, scarsità di alimenti, insicurezza sociale, instabilità politica, violenze e soprusi. Fenomeni già tristemente noti e presenti ad Haiti, ma che, con tutta probabilità, saranno enfatizzati e ulteriormente aggravati da questo devastante terremoto.
Al contempo, confido molto e ho speranza nella grande capacità di reazione degli haitiani ad ogni tipo di sciagura. Capacità di reazione che, peraltro, si contraddice con la passività e la rassegnazione con cui essi stessi evitano di prevenire i danni di tutti i frequenti disastri naturali che sconquassano la regione. Sarà l’abitudine a passare da una disgrazia ad un’altra, sarà la mancanza di mezzi e di conoscenze specifiche, sarà il profondo spiritualismo che permea la loro cultura, ma durante la mia permanenza ad Haiti ho avuto spesso l’impressione che gli haitiani non intravedano la speranza di evitare o mitigare simili disastri. E’ già, “capire Haiti” non è affatto semplice. Ma cercare di farlo e, soprattutto, fare qualcosa per alimentare la speranza di un cambiamento è un dovere di tutti, al Nord come al Sud del Mondo.
Sono convinto che la Società Civile Organizzata italiana saprà rispondere e andare incontro al disperato appello del popolo haitiano, con la grande solidarietà e le capacità professionali che la caratterizzano. Le nostre ONG presenti ad Haiti potranno offrire un valido contributo al tamponamento della grave emergenza e al lungo percorso di “ricostruzione” (?) di Haiti. Soprattutto se riusciranno a mettere a disposizione, senza condizioni, il loro privilegiato rapporto con il territorio e con gli attori locali, valorizzandone la loro conoscenza e visione della realtà; se si sommeranno, senza sovrapporsi, agli altri operatori internazionali, contribuendo, con l’esempio ed il lavoro incessante, a coordinare ed integrare gli aiuti esterni con gli sforzi delle organizzazioni locali. Questo non è il momento delle parole. E’ il momento di agire, tutti assieme. Allez mes amis!

Sassari, 13/01/2010
Enrico Vagnoni