giovedì 11 marzo 2010

Cile: oltre alle case ricostruire il tessuto economico e sociale

Per chi come me ha vissuto 5 anni in Cile, gli ultimi dieci giorni sono trascorsi nell’incessante ricerca di amici e conoscenti, e navigando in internet alla ricerca di notizie, foto, video e aggiornamenti.
Per fortuna non sono arrivate notizie drammatiche dalle mie conoscenze, solo tanta paura, qualche muretto crollato, e il difficile cammino per il ritorno alla normalità già intrapreso con forza e determinazione.
Passata la preoccupazione, vengono spontanee alcune valutazioni sulla portata e l’impatto della catastrofe, mentre con rapidità impressionante, almeno in Italia, le notizie relative al terremoto scompaiono dai mezzi di informazione.
Del resto il Cile è un Paese lontano, raramente al centro dell’attenzione mondiale. Nella sua storia recente, è successo per eventi tragici, come il colpo di stato del 1973, e per la lunga dittatura militare che ne è seguita, o per avvenimenti che hanno fatto epoca, come l’elezione nel 2006 di Michelle Bachelet, prima presidente delle Repubblica donna in America Latina.

Dalla notte del 27 febbraio scorso, il Cile è così di nuovo tristemente alla ribalta, e questa volta per un violentissimo terremoto. Il bilancio è di 900 morti e di un numero imprecisato di dispersi. Ma interi villaggi costieri sono stati spazzati via dal tsunami conseguente alla scossa, le importanti città di Talca, Curicó e Concepción (la seconda del paese con quasi 1 milione di abitanti) hanno subito gravissime distruzioni. In tutto il territorio nazionale ci sono stati crolli e danni materiali alle infrastrutture come strade, ponti, porti.
Al di là delle polemiche per i ritardi nei soccorsi, in parte vere e in parte eccessive per un Paese che ha subito uno dei più forti sismi della storia, e che tutto sommato ha resistito abbastanza bene, sono rimaste impresse negli occhi di tutti le immagini di distruzione dei villaggi di pescatori, delle piccole cittadine di campagna, delle umili case delle periferie di Santiago e Concepción, insomma proprio di quel Cile che non corrisponde all’immagine di modernità e sviluppo così conosciuta all’estero.
Negli ultimi 2 decenni, infatti, il Cile si è fatto conoscere all’estero proiettando un’immagine di sviluppo economico sostenuto, stabilità sociale ed efficienza. E la salvaguardia di questa immagine è sempre stata una delle principali preoccupazioni dei governi e della società cilena, che hanno invece cercato di occultare le fortissime disuguaglianze ancora presenti nel Paese.
Un commentatore cileno ha definita la catastrofe come “la frattura esposta in cui si vede l’osso delle disuguaglianze sociali e della leggerezza con cui il Cile si è costruito delle false certezze in questi anni”.
In prospettiva della lunga fase della ricostruzione, che inevitabilmente si protrarrà per anni, sarà importante tenere conto di queste considerazioni, e della realtà scoperchiata agli occhi del mondo dal terremoto.
Naturalmente un terremoto così violento colpisce indifferentemente tutte le fasce della popolazioni, al di là del loro reddito o della loro classe sociale. Ma è altrettanto vero che le popolazione più danneggiate sono state, come era prevedibile, quelle costrette a vivere in abitazioni precarie, nei quartieri meno moderni e in edifici non antisismici.
Non ho dubbi che saranno rapidamente ricostruite strade, ponti, e le altre infrastrutture che permetteranno al Paese riprendere a funzionare come prima. Altrettanto probabilmente ogni famiglia avrà la sua casa nuova costruita con criteri antisismici, in tempi relativamente brevi. Questi interventi saranno resi possibili dalla gran quantità di aiuti internazionali che arriveranno, e in parte già arrivati, e dall’organizzazione e dall’efficienza che lo stato cileno possono sicuramente garantire, oltre che dallo straordinario spirito che contraddistingue questo popolo nelle difficoltà.
Ma la ricostruzione rimarrà incompiuta se non ci si ricorderà di quelle fratture non visibili ad occhio nudo, ma che sono forse le più difficili da sanare.
Oltre alle case, ci sarà bisogno di ricostruire reti sociali ed economiche, opportunità per i più colpiti e i più deboli, nella direzione di riprendere quel cammino verso una maggiore giustizia ed eguaglianza sociale che rischia di essere trascurato, una volta di più, nell’anelo verso la modernità e lo sviluppo economico a tutti i costi.
E’questo, a mio giudizio, l’ambito in cui potranno nei prossimi mesi e anni contribuire con il loro lavoro le Ong, come ProgettoMondo Mlal, in direzione di uno sviluppo che parta dal basso, attento e sensibile, a stretto contatto con partner ed organizzazioni locali.
La ricostruzione di questo tessuto sociale ed economico, già gravemente compromesso negli anni “ruggenti” dello sviluppo cileno, e definitivamente devastato dal terremoto del 27 febbraio, sarà fondamentale, tanto e forse di più della ricostruzione materiale, e potrà rappresentare proprio quell’intercapedine flessibile e resistente che renderà più forte la società cilena di fronte al futuro.

Francesco Pulejo
già cooperante ProgettoMondo Mlal in Cile

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