sabato 12 settembre 2009

In Burkina: senza casa, con la paura di epidemie e i militari per strada

In seguito alla drammatica inondazione che ha colpito la città di Ouagadougou il 1 settembre scorso, ProgettoMondo Mlal in settimana ha partecipato a un incontro con la direzione del monitoraggio delle Ong del Burkina Faso (DSONG) convocato dal primo ministro e rivolto a tutta la società civile.
L'occasione ha permesso alla nostra cooperante in Burkina, Marina Palombaro, di conoscere un po' meglio la situazione e di intervistare alcuni protagonisti della sciagura. Ci scrive:

Ho incontrato Raymond Poda, magistrato alla Corte di cassazione (Presidente della Camera sociale), già collaboratore di ProgettoMondo Mlal sul tema dei diritti umani e sul diritto di cittadinanza in Burkina. Mi ha raccontato che la corte della sua abitazione si è riempita improvvisamente d'acqua che, dopo un paio d'ore di pioggia, arrivava già alle ginocchia. L'acqua scorreva nella strada come un fiume in piena, trasportando detriti, oggetti, persone. Mi ha detto poi: “Ho capito che l'unico modo per non essere travolti era di rafforzare il cancello della corte e impedire che l'acqua della strada entrasse. Se non fossi stato a casa, non oso pensare cosa sarebbe successo. Io e mio figlio più grande ci siamo buttati nell'acqua per rafforzare il cancello, abbiamo spostato del materiale pesante per bloccare meglio la porta: appena in tempo per evitare che la forza dell'acqua spalancasse il cancello e ci inondasse completamente. Mio figlio si è ferito a una gamba ma per fortuna niente di grave. Inoltre la nostra casa è rialzata dal suolo e i danni per noi sono stati contenuti, anche se dobbiamo sistemare tutto e per il momento non possiamo che muoverci a piedi. Ma non mi lamento, i nostri vicini non sono riusciti a bloccare bene il cancello e si sono ritrovati la casa inondata: hanno la casa in piedi ma tutto quello che c'era dentro non è più utilizzabile. Un altro ragazzo del vicinato ha cercato di recuperare ingenuamente un pneumatico che l'acqua stava portando via: purtroppo non ce l'ha fatta ed è morto annegato”.

Lo stesso giorno ho avuto occasione di parlare anche con Joèle, un ragazzo che abitava in una zona periferica, nel quartiere Wayale, settore 27. La sua abitazione è stata spazzata via dall'inondazione. Racconta che sua madre è malata ed essendo protestanti è stata accolta in una chiesa. Lui dorme in una scuola insieme ad altri senza tetto. "Vieni a vedere dove abitavamo: non è rimasto più niente", mi ha detto. Parla, indica i posti e ogni tanto ride, di un riso nervoso. Andiamo nel suo quartiere, in effetti non c'è più nulla solo sabbia, tutto è stato spazzato via.Ci sono a terra vestiti, scarpe a testimoniare che prima li ci abitava qualcuno, altrimenti non si crederebbe che li sorgevamo delle abitazioni: non c'è in effetti più nulla.
L'inondazione ha spazzato via tutte quelle case costruite vicino alle dighe e soprattutto fatte con sterco di mucca, paglia e fango, tecnica economica e tradizionale di solito usata nei villaggi. Si tratta di gente povera delle zone non lottizzate o zone lottizzate recentemente. Le case costruite in cemento invece sono ancora in piedi. Magari con dei danni, se non sono state costruite in piena regola, ma almeno ci sono ancora. Anche se dov'è entrata l'acqua ha portato via tutto, quindi c'è chi ha un tetto e delle pareti dove dormire ma non ha nient'altro.
Joèle mi dice in continuazione: "ce n'est pas facile (non è facile)". Dice che hanno ricevuto dei tappeti su cui dormire e, dopo il primo giorno, hanno ricevuto anche alcune razioni di cibo. "Ma rubano tutto, lasci il tuo tappetino un attimo incustodito e non lo ritrovi più".
La povertà spinge a tutto, ma c'è anche chi è capace di guadagnare sulla sofferenza della gente senza alcuno scrupolo.
Guardo il dramma nella città che cerca di riprendersi, l'ospedale pare disastrato per tre quarti. Si dice che la TAC (l'unica in tutto il Burkina Faso) non sia più funzionante. Ma all'incontro il Ministro della sanità sembra essere ottimista, non menziona nemmeno l'ospedale. Si parla più che altro di igiene: la paura sono le epidemie, in particolare il colera, anche se nessuno lo menziona. Tutto sotto controllo dicono. I militari sono sul posto, non per aiutare ma per controllare "per evitare stupri e atti di sciacallaggio", per "la sicurezza dei cittadini". Poi chiedono aiuti, aiuti, aiuti: purché sotto il controllo del governo.
Insomma, militarizzazione, accentramento governativo, case fatte male, distribuzione clientelare degli aiuti. Io sono abruzzese, penso a l'Aquila e allo spaventoso terremoto che ci ha colpiti, e mi sembra tutto tremendamente uguale.

MARINA PALOMBARO, cooperante ProgettoMondo Mlal in Burkina Faso, nel progetto “I sentieri della salute

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